«Non lasciate i nostri figli da soli davanti a un pc»: l’appello delle famiglie degli studenti più fragili

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Lezioni in presenza garantite agli alunni con disabilità e Bes: la legge è chiara, ma il coronavirus ha accentuato le difficoltà per gli studenti più fragili

di Francesca Barbieri e Serena Uccello

«Inclusione: se ne fa un gran parlare, è diventato un termine di quelli alla moda, stra-abusato e buttato qua e là per fare bella figura, ma di che stiamo parlando? E mentre noi ne parliamo la ragazza è sola davanti al computer» . È un doloroso scoramento quello che lancia via mail Sabrina Vecchione. La sua è la storia di chi negli ultimi giorni prende atto, in fondo, di una sconfitta. La chiusura della didattica in presenza di tutte le scuole infatti ha messo in difficoltà molte famiglie italiane, ancor di più quelle i cui figli hanno una disabilità.

ALUNNI CON DISABILITÀ PER REGIONE

In Italia ci sono circa 270mila alunni con disabilità: oltre 100mila alla scuola primaria, 70mila alle medie, quasi 80mila alle superiori e 20mila nella scuola materna. Si tratta del 3,5% del totale degli studenti italiani, con un trend in crescita. Gli studenti con bisogni educativi speciali (Bes) sono invece 60mila. Dall’altro lato – come fotografa la Cisl Scuola – ci sono pochi insegnati di sostegno: nell’anno scolastico 2020/21 su 21.453 posti di sostegno vacanti, le assunzioni di ruolo sono state appena 1.657 e si registrano ben 104mila posti di sostegno che sono andati a insegnanti a tempo determinato.

Pochi insegnanti di sostegno

Da anni capita che le cattedre di sostegno vengano assegnate a profili non in linea con il ruolo da ricoprire, tanto che l’Istat ha calcolato che il 37% non ha competenze specifiche. È capitato, qualche anno fa, in un noto istituto alberghiero della Brianza, in Lombardia, dove un giovane fresco di diploma è stato assunto proprio dalla scuola che ha frequentato come docente di sostegno. E ci sono stati casi di cattedre assegnate a infermieri, ragionieri, periti agrari, con in tasca il diploma di scuola superiore. Tutte queste scelte non sono frutto della «follia» di qualche preside, ma piuttosto dalla disperazione di fronte a due fenomeni che insieme creano scompiglio: il numero crescente di ragazzi con problemi di disabilità e la carenza di insegnanti di sostegno con la specializzazione in tasca.

Per il 2020/21 – come si legge sul Sole 24 Ore dell’8 marzo – le deroghe sono state circa 80mila e il dato non è ancora definitivo.A fronte di questo quadro, la legge di Bilancio 2021 prova a correre i ripari prevedendo un piano di immissione in ruolo di 25mila docenti di sostegno entro il 2024.

Effetto Covid sugli studenti fragili

Gli effetti negativi di questo «mismatch» ricadono inevitabilmente sugli studenti più fragili, ora ancora di più a causa del Covid. E, ciò nonostante, l’ultima nota diffusa dal ministero dell’Istruzione assicura che: «Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali». Ma è davvero così? Scrive Sabrina: «Ho letto con interesse il vostro articolo con la notizia del ritorno alla Dad,o Did, purtroppo sul vostro e su molti altri siti leggo l’indicazione che per gli studenti disabili sono garantite le lezioni in presenza. Purtroppo devo contestare questa notizia, la verità è che dovrebbe essere così, in un mondo perfetto sarebbe sicuramente così ma non nel nostro. Nella nostra realtà una ragazza disabile che frequenta la prima superiore di un noto istituto nell’hinterland milanese, deve rimanere a casa».

Questo perché, spiega Sabrina: «Le lezioni possono svolgersi solo in presenza dell’insegnante di sostegno, neanche degli educatori. Dato che i professori svolgeranno le lezioni da casa, la mia ragazza non potrà frequentare come sarebbe auspicabile perché ovviamente non può stare in classe da sola». Quindi, aggiunge: «In teoria i decreti legge stabiliscono che per favorire l’inclusione agli studenti diversamente abili devono essere garantite le lezioni in presenza ma nella pratica, dato che gli insegnanti hanno la facoltà di scegliere se fare smart working, la ragazza deve rimanere a casa, da sola, a seguire su un monitor delle lezioni che, senza un adeguato aiuto, le costano una fatica immane». I piani a cui allude la lettera di Sabrina sono diversi.

Un puzzle complicato

C’è quello organizzativo e quello della realizzazione dell’inclusione. Sul primo fronte, 19 ore di sostegno per alunno coprono quattro giorni da quattro ore e uno da tre. La scuola, in genere, organizza attività e ambienti di apprendimento per più soggetti (alunni con particolari esigenze). La didattica digitale integrata (Ddi) può essere attivata da scuola e/o da casa: è il dirigente scolastico che dispone, d’intesa con i docenti e gli organi collegiali della scuola, le modalità operative: se c’è poca copertura, si preferisce mandare tutti a casa; se c’è da seguire gruppi misti, si presta servizio in classe e cosi via.

Secondo Gianfranco de Robertis, consulente Legale di Anffas Onlus per le politiche scolastiche, sociali e socio-sanitarie in tema di disabilità dell’Associazione nazionale delle famiglie di persone con disabilità, «le scuole devono garantire la didattica sia per le ore in cui questi ragazzi sono “sincronizzati” con il resto della classe in Dad, ma anche per le ore in cui sono “collegati da remoto” con gli altri compagni».

Da qui la necessità che, oltre all’insegnante di sostegno, anche gli insegnanti curriculari siano in classe. Ci sono scuole che si muovo in questa direzione. È così, per esempio, all’Istituto alberghiero «Olivetti» di Monza. «Nella nostra scuola abbiamo 67 studenti con disabilità – racconta la docente Lorenza Brucculeri – e siamo 35 insegnanti di sostegno. Ai nostri ragazzi è stata assicurata sempre la possibilità di venire a scuola sia per la didattica sia per le attività di laboratorio: in questi mesi sono stati i ragazzi con disabilità più gravi a frequentare più assiduamente le lezioni presenza e in ogni caso, quando una famiglia ne fa richiesta, la scuola si attiva subito per accontentarla».

L’autonomia delle scuole

«Ogni scuola, attraverso i consigli di classe, definisce la propria organizzazione e individua le modalità più opportune per accogliere gli alunni – commenta Lena Gissi, segretario generale Cisl Scuola -. In classe si lavora per la socialità, per la piena integrazione. Per i più fragili, servono momenti laboratoriali tra pari; i docenti stanno reinventando ogni giorno il proprio modello didattico. Non è semplice ma dobbiamo costruire luoghi e occasioni per ascoltare i bisogni di tutti».

«L’intero orario è sempre garantito ma in modalità mista, cioè sincrona e asincrona», conferma Antonello Giannelli, Presidente nazionale dell’Anp, associazione nazionale presidi».

Non è però esattamente sempre così, perché l’autonomia scolastica ha il suo peso. «Di norma – dice Giannelli – i docenti dovrebbero gestire la Dad dalle aule scolastiche ma le scuole possono decidere diversamente, in forza della loro autonomia, in considerazione di vari fattori quali la tenuta della rete, l’esigenza di minimizzare le presenze, l’uso dei mezzi pubblici da parte del personale. Resta fermo che in presenza di alunni diversamente abili o con bisogni educativi speciali i docenti effettuano il loro servizio da scuola collegandosi con gli studenti a casa».

Il corto circuito è evidente: se le scuole possono decidere per lo smart working degli insegnanti, come garantire l’orario interno anche in modalità mista?

Isolati anche a scuola

In più, e passiamo al secondo piano relativo all’inclusione, l’ultima nota ministeriale del 7 marzo ha escluso dalla platea di coloro che hanno diritto alla didattica in presenza i figli del personale medico e quelli di coloro che svolgono attività considerate essenziali per il funzionamento del Paese.

L’aver ridotto la platea degli eventi diritto alla didattica in presenza, se da un lato sembra aver facilitato il lavoro delle Regioni, dall’altro ha scatenato la durissima reazione dei medici italiani e creato una situazione di oggettivo isolamento per gli allievi più fragili.

«La possibilità di una didattica per piccoli gruppi era quella che avevamo sollevato quando lo scorso 26 aprile avevamo posto il tema dell’organizzazione dei centri diurni», spiega Gianfranco de Robertis. «Possibilità che ora viene meno: mi domando se una nota ministeriale più stralciare quanto fissato da un decreto ministeriale», dice. Il riferimento è al decreto 39 del 2020.

«Le complessità di questo periodo, malgrado il grandissimo impegno di tutto il personale della scuola, stanno purtroppo acuendo le difficoltà che studenti disabili o Bes incontrano nel loro percorso scolastico – conclude Giannelli -. Questo perché la scuola non è solo acquisizione di competenza ma anche comunità, crescita collettiva e condivisione. D’altra parte il Dpcm e i chiarimenti del ministero dell’Istruzione prevedono che sia garantita la didattica in presenza solo agli alunni con disabilità o Bes, impedendo di fatto l’ingresso a scuola di altri studenti. Si tratta di un difficile punto di equilibrio tra il diritto all’istruzione e la tutela della sicurezza pubblica».

 

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