L’insegnante di sostegno: intervista a Evelina Chiocca

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Evelina Chiocca Presidente CIIS, Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno

1) Chi è l’insegnante di sostegno? 
L’insegnante di sostegno è un docente “specializzato”, che ha acquisito ulteriori competenze professionali mediante un apposito corso formativo (Corso di specializzazione per le attività di sostegno).

2) Quali sono le sue mansioni? 
Il docente specializzato, incaricato su posto di sostegno, si occupa delle “attività di sostegno alla classe”, al fine di favorire l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Assume la contitolarità della classe, alla quale è assegnato, insieme ai colleghi incaricati su posto disciplinare. Collabora con i colleghi secondo criteri di corresponsabilità (Linee guida del 4/08/2009) e di collegialità (L. 104/92 e CCNL).

È insegnante di tutti gli alunni della classe e, in sede di scrutinio, valuta ciascun alunno della classe. In quanto esperto di pedagogia e di didattica speciale, stimola i colleghi affinché si adottino approcci inclusivi (apprendimento cooperativo, didattica metacognitva, didattica laboratoriale). Osservando gli alunni da una posizione diversa rispetto a quella dei colleghi incaricati su posto comune o su posto disciplinare, può rilevare più facilmente le dinamiche relazionali che intercorrono fra gli alunni, fra gli alunni e i colleghi, nonché le reazioni manifestate; questo diviene strategico per individuare, insieme ai colleghi, le strategie più opportune per la gestione della classe e per l’adozione di metodologie didattiche efficaci. Al tempo stesso, la sua presenza favorisce forme organizzative diverse, come la divisione della classe in due gruppi o l’adozione della cattedra mista o incarico misto. Che cosa si intende per “cattedra mista o incarico misto? Il docente specializzato interviene nella classe per parte del suo orario su posto di sostegno e per parte su posto disciplinare, coinvolgendo in questo “scambio” uno o più colleghi della classe. Se da un lato quest’impostazione sostiene indubbiamente la corresponsabilità, dall’altro promuove fattivamente il processo inclusivo, grazie alla sinergica e reale partecipazione di più insegnanti. Culturalmente si tratta di un messaggio chiaro, che non lascia spazio a equivoci: l’alunno con disabilità è alunno di tutti i docenti della classe e tutti hanno uguale responsabilità per quanto riguarda il suo percorso formativo, così come deve essere per ciascun alunno della classe o della sezione. L’insegnante specializzato predispone, congiuntamente ai componenti del GLHO, i documenti previsti: Profilo Dinamico Funzionale e Piano Educativo Individualizzato, nonché verbali e Relazione finale. Il GLHO è il gruppo di lavoro costituito da tutti i docenti della classe in cui è iscritto l’alunno con disabilità, dai genitori dell’alunno, dagli specialisti dell’ASL che seguono l’alunno e, se presente, dall’assistente all’autonomia e alla comunicazione.

3) Come lo si diventa? Vi è un percorso ad hoc? 
Il docente specializzato è, come detto, un insegnante, ed è “abilitato all’insegnamento”. Il primo percorso formativo è lo stesso compiuto da tutti: per la scuola dell’Infanzia: laurea in Scienze della Formazione Primaria (che, oggi, abilita per entrambi gli ordini di scuola), per la scuola secondaria di Primo o di Secondo grado: laurea magistrale che, per ciascun grado, corrisponde a una o più discipline d’insegnamento; dopo la laurea, tramite concorso, si consegue l’abilitazione all’insegnamento. Al momento vi sono dei cambiamenti in atto, per cui il percorso non è ben definito. Per tutti gli ordini e gradi di scuola, una volta conseguita l’abilitazione, il candidato può accedere, previa prova selettiva, al corso di specializzazione per il sostegno (anche per l’accesso al corso ci sono cambiamenti in atto; oggi, infatti, possono iscriversi al corso aspiranti privi di abilitazione: per la secondaria: candidati laureati che abbiano conseguito 24 Cfu, definiti in apposito decreto; candidati che abbiano lavorato come docenti per almeno tre anni negli ultimi otto; a questi si aggiungano aspiranti diplomati, afferenti alle classi di concorso ITP, teorico-pratiche. per la primaria e per l’infanzia: candidati in possesso del diploma sperimentale sociopsicopedagogico o linguistico o della vecchia maturità magistrale (il diploma deve essere stato conseguito entro l’a.s. 2001-2002).

4) Quali sono a suo avviso le qualità che un docente di sostegno dovrebbe possedere? 
Sono dell’opinione che non esistano requisiti o qualità particolari se non quelle che debba possedere un buon insegnante. Come per i colleghi, infatti, il docente specializzato per il sostegno deve essere in grado di lavorare in team, di progettare, di mediare, di confrontarsi, di collaborare, di condividere, di suggerire metodologie didattiche, di fornire informazioni sugli alunni della classe, di stabilire rapporti significativi e collaborativi con i colleghi, con gli alunni e con le famiglie. Ovvero tutto ciò che un docente, in quanto tale, deve possedere. A ciò si potrebbero aggiungere specifiche conoscenze afferenti la pedagogia speciale e la didattica speciale. In realtà non dovrebbero esserci elementi di diversificazione, semmai di approfondimento e di arricchimento di tutti i docenti. Il docente specializzato, ma così anche tutti gli altri docenti, devono saper riconoscere gli alunni come persone, devono andare oltre le apparenze o ciò che vedono, superare gli stereotipi, non dare nulla per scontato, e, soprattutto, credere nell’alunno, nelle sue capacità e nelle sue potenzialità. In due parole, ogni docente, quindi anche quello di sostegno, deve essere “professionalmente competente”.

5) Essere insegnante di sostegno: ripiego o vocazione? 
Né ripiego, né vocazione. Sono espressioni in contrasto con il ruolo stesso del docente. È bene, qui, ricordare che, per lavorare come docenti incaricati su posto di sostegno, il primo requisito è “essere insegnante”, un insegnante professionalmente competente che lavora e interagisce, a favore di ciascun alunno, con altre professionalità competenti (i docenti su posto comune o disciplinare).

6) Che tipo di collaborazione si dovrebbe instaurare tra docente di sostegno e docente curriculare? 
Una sinergia o, per dirla come il prof. Luigi d’Alonzo, una “unione di intenti”. È necessario saper lavorare insieme, condividere, concordare, programmare, ascoltarsi, camminare insieme, fidarsi, secondo un’impostazione professionale. E lavorare coordinandosi. Sembra facile a dirsi, ma non è così scontato.

7) Durante l’orario di lavoro il docente di sostegno può essere chiamato a svolgere attività di supplenza? 
Durante il suo orario di servizio ogni docente, quindi anche quello incaricato su posto di sostegno, non può essere utilizzato per fare supplenze. Deve restare nella sua classe o sezione. E proprio per richiamare la scuola a questa sua responsabilità, nelle Linee Guida, emanate il 4 agosto 2009, il MIUR ribadisce che “l’insegnante per le attività di sostegno non può essere utilizzato per svolgere altro tipo di funzioni se non quelle strettamente connesse al progetto d’integrazione”.

8) Quali sono le figure che gravitano intorno all’alunno disabile in ambito scolastico? 
Sicuramente tutti gli insegnanti della sua classe e, in base alle specifiche situazioni, il personale scolastico come i collaboratori. Inoltre, per alcuni alunni con disabilità è prevista la figura addetta all’assistenza all’autonomia e/o alla comunicazione, assegnata agli alunni con disabilità fisica e/o sensoriale, detta anche assistente ad personam o AEC o ASACOM (le denominazioni sono differenti per ciascuna regione).

9) Qual è la differenza tra insegnante di sostegno e Assistente all’Autonomia e alla Comunicazione (ASACOM)? 
Si tratta di due figure professionali differenti. Sarebbe, tuttavia, più preciso chiedere la differenza fra “insegnante” e “assistente all’autonomia e alla comunicazione”. Il docente incaricato su posto di sostegno è assegnato alla classe; in quanto insegnante si occupa di attività educativo-didattiche, collabora con i colleghi nell’individuazione delle strategie per la gestione della classe e per gli apprendimenti; egli partecipa a tutte le attività collegiali previste (programmazione settimanale o Consigli di classe, in base all’ordine di scuola, Interclasse e/o Dipartimenti, Collegio docenti, per citarne alcune), inoltre valuta ogni alunno della classe (cioè tutti). Con i colleghi è corresponsabile di tutti gli alunni della classe che, a scuola, sono per l’appunto affidati ai docenti. L’assistente all’Autonomia e alla Comunicazione è una figura professionale, che si occupa dell’autonomia personale e/o della comunicazione dell’alunno con disabilità, al quale viene assegnato. Collabora con i docenti e lavora con l’alunno nel pieno rispetto della volontà da questi espressa, seguendo le indicazioni del docente in servizio. Partecipa alla stesura del PEI, per quanto riguarda gli aspetti educativi e, in relazione a questi aspetti, si coordina con tutti gli insegnanti.

10) Attualmente gli insegnanti di sostegno posseggono le adeguate competenze per poter affiancare i disabili sensoriali? 
Il corso di specializzazione per le attività di sostegno, negli anni, ha subito diverse modifiche, tanto che sia quello successivo al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria (per l’Infanzia e la Primaria) che quello successivo alla SSIS, scuola di specializzazione per i docenti della secondaria divenuto abilitante, pur essendo corsi “polivalenti”, rimandavano alla formazione in servizio, nel caso di assegnazione a classi in cui fossero iscritti alunni con disabilità sensoriale, attribuendo tale compito al Dirigente Scolastico. Gli ultimi corsi, attivati in conformità al DM 30/09/2011, rilasciano un titolo polivalente e prevedono l’acquisizione di competenze per lavorare con tutti gli alunni (va precisato che in questi corsi non è previsto l’insegnamento della LIS, lingua dei segni italiana). Direi, però, che si tratta di una questione, “marginale”, se pensata solo “per i docenti di sostegno”. Le competenze necessarie per lavorare con alunni con disabilità sensoriale devono appartenere a tutti i docenti della classe. Il tempo-scuola non è limitato alle sole ore di sostegno! Non dobbiamo trascurare questo aspetto, altrimenti è come legittimare “classi speciali” nelle “classi comuni”. Bisogna uscire dalla logica che solo alcuni debbano possedere determinate competenze. D’altra parte, e lo abbiamo già detto, tutti i docenti della classe sono insegnanti dell’alunno con disabilità; quindi, oltre ai contenuti disciplinari, che anche il docente incaricato su posto di sostegno possiede (ricordiamo che l’abilitazione all’insegnamento è il requisito base, obbligatorio, per insegnare), non possono mancare, nel bagaglio professionale, le competenze afferenti la pedagogia e la didattica speciale, quindi anche le competenze per lavorare con alunni con disabilità sensoriale.

11) Quali sono le normative che riguardano nello specifico gli studenti disabili? 
Potrei, al riguardo, proporle un lungo elenco. Iniziando con la legge 118/71, che ha consentito per la prima volta l’ingresso nelle classi comuni di alunni disabili, ma non di tutti, possiamo citare la legge 517/77, che ha abolito le classi differenziali, introdotte con la legge di riforma della scuola media del 1962, per giungere alla legge-quadro, la legge n. 104/92, una legge che ha raccolto quanto emanato negli anni ad essa precedenti, facendo propri i principi fondamentali , enunciati già in provvedimenti precedenti. Il DPR 24/021994, applicativo della 104/92, illustra i documenti necessari per l’integrazione scolastica (il provvedimento è ancora attuale; sarà non più attuativo dal 1° settembre 2019 se verranno emanati i decreti attuativi del D.lgs. 66/2017). Seguono altre norme, successivamente abrogate, e altre ancora in vigore, come le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, pubblicate dal MIUR il 4 agosto 2009. Altri utili riferimenti sono rappresentati dall’O.M. 90/2001, dal DPR 81/2009, di riorganizzazione del sistema scolastico, e, più recentemente, dal D.lgs. 66/2017 e dal D.lgs. 62/2017. Vanno anche richiamate le Sentenze della Corte Costituzionale (fra cui: la n. 215 del 1987, con la quale è garantita l’iscrizione alla scuola Secondaria di Secondo grado degli studenti con disabilità; la n. 80 del 2010, che riconosce il rapporto 1:1 per gli alunni con disabilità certificati con art. 3 comma 3; la n. 215 del 2016, con la quale viene riconosciuto che «È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione») e le Sentenze del TAR a tutela degli alunni nel riconoscimento delle ore di sostegno o per lo sdoppiamento delle classi, nei casi di sovraffollamento. Ma, ripeto, a queste ne vanno aggiunte molte altre.

12) Qual è la differenza tra integrazione e inclusione scolastica? 
Chi si sofferma a riflettere sulle parole, partendo da “inserimento” e, oggi, pervenendo a “universequità”, si appella a concetti che si discostano dalla mera semantica. Che dire. Le parole aiutano a riflettere, a recuperare concetti, idee, a orientare il pensiero. Nel caso specifico, preferirei non addentrarmi in disquisizioni sovente demagogiche. Integrazione o inclusione, se non mostrano una società capace di vivere nella reciprocità del rispetto dell’accoglienza, dell’aiuto, del supporto, rischiano di essere termini vacui, che possono favorire distorsioni interpretative. Se lei legge le diverse definizioni, infatti, noterà che ogni nuovo termine tende ad attribuire al precedente gli stessi significati negativi che, in precedenza, venivano assegnati a quello antecedente. Se però devo scegliere un termine, che illustri reciprocità di rispetto, accoglienza e aiuto, allora non ho dubbi: integrazione è ciò che, a mio parere, meglio rappresenta e definisce l’idea di una società costituita da tante, mille, molteplici diversità, capaci di camminare insieme, fianco a fianco, e di vivere insieme, contraddistinguendosi per saper agire secondo il criterio della reciprocità e/o dell’aiuto.

13) La scuola italiana è pronta all’inclusione? 
Riformulerei la domanda: la nostra società è culturalmente pronta per l’inclusione? Perché l’inclusione è, prima di tutto, un fattore culturale che distingue una società (non so se aggiungere “civile”). Credo che si debbano superare le logiche dei tempi e dei momenti: culturalmente possiamo dire sì, perché con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo siamo già nel tempo in cui ciascuno, nella sua unicità, libertà, dignità, è destinatario dei diritti fondamentali. La questione, allora, diviene: “Vogliamo riconoscere semplicemente l’altro in quanto persona o ci riteniamo superiori perché il nostro essere aderisce ad uno pseudo-standard culturale?”

14) Sulla base della sua esperienza quali possono essere le principali strategie da applicare ai fini dell’inclusione scolastica? 
Ne indico una per tutte: la formazione obbligatoria in ingresso per tutti coloro che lavorano nella scuola, ricoprendo il ruolo di docenti e di dirigenti scolastici. La formazione è una parola chiave, alla quale si aggiunge la consapevolezza che l’alunno con disabilità è alunno di tutti i docenti della classe e quindi, tutti insieme (in modo concreto) devono progettare, programmare e attuare. Se ciascuno farà la sua parte con consapevolezza, con responsabilità e con professionalità, collaborando e confrontandosi con le famiglie, potremo affermare che il processo ha finalmente preso corpo. Diversamente, se si continuerà a pensare che l’inclusione spetta ad alcuni docenti soltanto, o se continuerà a mancare la formazione e se si accetterà che nella scuola entrino persone che pensano di non insegnare anche agli alunni con disabilità, perché si sentono “non portati” o perché “non se la sentono” oppure perché ritengono non sia compito loro, allora, evitando ipocrisie, parliamo di altro. Per quanto mi riguarda, sono del parere che, nell’immediato, occorre formare tutto il personale in servizio e quello in ingresso. E, giusto per sgomberare il campo da eventuali equivoci, ritengo che la separazione delle carriere non sia la via da intraprendere: essa garantirà il posto di lavoro ad alcuni, ma non inciderà per nulla sulla qualità della scuola. Anzi! Legittimerà la delega al solo docente di sostegno dell’intero processo inclusivo e amplierà la deresponsabilizzazione dei docenti incaricati su posto disciplinare o comune. Chi la auspica, a mio parere, non solo non conosce la scuola, ma forse non riesce a cogliere la portata di quei principi insiti nella corresponsabilità, nella collegialità, nella collaborazione, nell’unitarietà di intenti che davvero possono realizzare una società in cui l’inclusione sarà sostituita dal vissuto quotidiano di “diversità che insieme vivono e partecipano a pieno titolo”, senza distinzioni, pregiudizi, stigma: ciascuno secondo le proprie capacità e potenzialità.

15) Cosa le piace del suo lavoro? 
Vedere come gli atteggiamenti di fiducia e il riconoscimento delle capacità e delle potenzialità contribuiscano, insieme alle attività proprie della didattica, a produrre cambiamenti significativi negli alunni. Accompagnare gli alunni nei loro apprendimenti, sostenendoli nell’interazione con i compagni, aiutarli a imparare a lavorare insieme e ad aiutarsi reciprocamente, indipendentemente dalle capacità riconosciute dagli adulti, stimolarli a divenire protagonisti attivi del loro apprendere e valorizzare le loro capacità (cito l’esempio di alunni con disabilità che “insegnano” ai loro compagni e viceversa): sono soddisfazioni difficili da descrivere, in quanto danno senso e significato all’agire dei docenti, perché sappiamo quanto tutto ciò possa essere significativo per la vita di ciascun bambino. Sono piccoli semi che contribuiscono a costruire “la società di tutti”. Al tempo stesso, del mio lavoro apprezzo molto, laddove si verifica, il lavoro in team, il confronto, il riflettere con i colleghi, cercando insieme le strategie migliori e più efficaci, la condivisione, il supporto, lo studio e gli approfondimenti, il cercare e trovare strade nuove, il saper guardare oltre e non fermarsi allo scontato o ai timori dettati da pregiudizi o da false convinzioni, bensì il lasciarsi guidare dalla fiducia negli alunni, riconoscendo in ciascuno di loro sia le capacità che le potenzialità.

di Michele Peretti
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