Questo romanzo, che è l’esordio del giovane autore Davide Gregori, è un fantasy, almeno lo sarebbe sia nelle intenzioni dello scrittore, sia come genere in termini di etichetta. Invece, risulta ben altro, gradito e apprezzato di più, e meglio, anche dai lettori non particolarmente appassionati delle storie analoghe. Ispirate, cioè, sia per gli ambienti che per i personaggi, ai temi classici delle fiabe. Una letteratura certamente irreale, però incantevole, talora meravigliosa nei titoli maggiori, intrigante e incredibile: con tanto di re, principi, principesse, eroi misconosciuti all’inizio e poi rivelatisi tali nel turbinio di azioni finali, dove i buoni sentimenti ricevono giustizia e ricompensa dei patemi iniziali. Tutto questo certamente c’è in “Fiabe di carta per cuori di piombo”: anche ben riportato con scrittura corretta, precisa, fluida nello scorrere dell’azione, con frasi lineari e rigorose nelle descrizioni, dialoghi evocativi di pensieri ed emozioni dei protagonisti. Ricco di cambi di direzione, imprevisti, sorprese, colpi di scena tali da avvincere chi legge, e allo stesso tempo ben congegnati per esplicare la morale sottesa alla storia. Gregori però fa di più, come detto, non ci offre qui né un romanzo distopico e nemmeno un favoleggiare, diretto in particolare ai giovanissimi con fini pedagogici, il suo è un testo adulto, maturo, talora anche lento e tortuoso, a rischio di diventare pesante in certi punti. Il suo è un messaggio delicato quanto accorato, delizioso, redatto con chiarezza, destinato a coloro con una certa durezza di cuore, restii a fare della cultura, della conoscenza, della solidarietà, e di tutto quanto da ciò deriva in termini di tenerezza del vivere, il faro guida della propria esistenza: mutando cuore e prospettiva. Perciò, il suo è anche monito di cambiamento, in estrema sintesi, la sua è una favola di carta per cuori di piombo. Una storia precisa, redatta direi con logica matematica, e manco a farlo apposta l’autore matematica vanta nei suoi studi, è una equazione logica il suo dire, che espressa e risolta con chiarezza e criterio giunge a un preciso risultato. Funzionale all’intenzione reale dello scrittore: quella di riportare le proprie considerazioni su alcuni tra i più diffusi e dilaganti difetti di noi umani, offerte in maniera insolita ai fini di meglio evidenziare certe nostre palesi incongruenze. Gregori qui sottolinea, ben evidenzia in giallo fosforescente, quanto stiamo tutti progressivamente perdendo, talora senza manco accorgercene, cioè il patrimonio e la ricchezza che ci rende umani consapevoli: la cultura, i libri, la lettura, il narrare, il raccontarci, il diffondere storie e resoconti ai fini di crescita personale. Davide Gregori nel suo libro lo dice chiaro: non leggiamo più, non sappiamo più leggere e perciò inventare, inventarci, aggiornarci, il nero su bianco è diventato un orpello inutile, un peso, se non un fastidio, quasi da abolire perché inutile e sorpassato. Lo scrittore a questo si riferisce espressamente, basti solo pensare che alcuni dei suoi personaggi prendono nome “Il ragazzo di carta” o “Il mostro d’inchiostro”, sottolinea stavolta in rosso l’importanza della lettura, e per converso anche della scrittura, esalta la validità e solennità della parola scritta, e scritta bene, nella forma classica, all’antica, inchiostro su carta, nero su bianco. Quella di questo giovane autore è una denuncia precisa, sottile, intelligente, desidera non tanto narrare un fantasy in chiave disneyana, animando animali, piante, e infarcendo la storia di maghi, streghe, eroi e damigelle in pericolo. Intende invece rimarcare l’essenzialità della cultura, la necessità della sua diffusione, l’impellenza d’insegnare a tutti e a chiunque il valore dei libri, della lettura, della parola scritta che dice e insegna, racconta e si imprime, educa e induce alla riflessione, alla discussione, al dialogo e alla condivisione d’idee e valori. Non come erudizione fine a sé stessa, ma come mezzo essenziale di comprensione, solidarietà, coscienza tra gli uomini, generando in diretta conseguenza tolleranza, fratellanza, amorevolezza che dovrebbero essere insiti nel genoma di una razza intelligente, e che la parola scritta ricorda e interviene nel riparare mutazioni nefaste. Tutta la storia quindi si snoda in un paese fantastico, il regno di Araden, dove vige un principiato dittatoriale in cui:
“…libri e libercoli, poesie e racconti, favole e fiabe, tomi e saggi, tutto ciò che resta sulla carta è un frutto maligno che noi siamo chiamati a combattere”.
Un regime assurdo e assoluto, maligno ed hitleriano, tant’è che gli sgherri addetti a mantenere con la forza e la paura l’ordine pubblico, sono come le SS di nefasta memoria, sono dette “Guardie di piombo”, quasi a dileggio dei caratteri di stampa del buon tempo antico, e di piombo sono fatti, ottusi, grigi, cupi, e come il piombo velenosi; nonché abbiamo i “Cavalieri di Marmo”, la guardia personale della famiglia reale; finanche il “Sergente di ferro”, il prototipo del boia, del torturatore dei prigionieri da interrogare, oppure il crudele Rorido, un autentico killer designato. Al comando, il braccio armato del regime, il Generale Antimonio, diviso tra il dovere impostogli dal grado e dal rango, e i nobili dubbi sul suo operato che lo tormentano nell’animo e dettati dalla sua intelligenza e sensibilità. Nel regno di Araden vige un regime che si è imposto vittorioso e dominante con la violenza in quella che fu detta la “Rivolta di carta”, contro gli strenui difensori della carta stampata e della libertà che da quella deriva, tuttora attivi seppure in clandestinità, una forza partigiana che combatte per la libertà di stampa, è il caso di dirlo. In estrema sintesi:
“…Per legge del nostro amato e illustre sovrano chiunque sia trovato in possesso foss’anche solo di un foglio di pergamena dovrà essere arrestato e interrogato. Non possiamo permettere che nuovamente l’ordine venga sovvertito da pochi patetici praticanti del caos”.
Davide Gregori, potremmo affermare, in un’ottica personale e originale, ha riscritto in chiave fantasy “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, il noto romanzo in cui si descrive una società distopica dove leggere o possedere libri è considerato un reato, e gli oggetti di tale reato vengano bruciati in pubblico, spesso insieme ai loro sfortunati possessori. I combattenti della libertà che agiscono contro il maligno ordine costituito sono vari, originali, curiosi e audaci: Luna, per esempio, la dolcissima principessa degli Argenti, e perciò insospettabile, sorella di Vivace degli Argenti, il dittatore in carica, Principe reggente di Araden; Piombino, il buono della storia, una delle Guardie di Piombo, diverso nel cuore e nell’animo dai suoi commilitoni, che non esita a rischiare la vita, a mettersi in gioco sfidando tanti più forti di lui e i rigori della prigione per amore e convinzione di schierarsi dalla parte giusta. E poi altri personaggi che incantano e da divertirsi a scoprire nelle fattezze e nelle emozioni che li agitano, come Vermiglia, Ortensia, Antinea, il ragazzo d’edera Lisandro. Su tutti, il più grande, il motivo della discordia nel reame, diremmo il leader carismatico indiscusso dei resistenti, seppure rinchiuso in galera e debilitato, logorato dalla prigionia, l’Antonio Gramsci della situazione, l’ideologo della parola scritta: “Il ragazzo di carta”. Sopravvissuto a forza per gli scopi del regime: perché è paradossale, ma una qualsiasi dittatura non può esimersi comunque da documenti scritti, nero su bianco. Inchiostro su carta, a caratteri adatti, in grassetto, corsivo, sottolineato secondo necessità, indispensabili per mandare avanti il regno: editti, ordini del Principe, regolamenti da rispettare, cose che venissero scritte per poterle ricordare. Un paradosso che si ritorcerà contro il regime stesso, per contrappasso: ciò che si scrive, dipende da chi lo scrive. In sintesi, non si nasce cattivi, né lo si diventa: si sceglie di esserlo. “Fiabe di carta per fiori di piombo” è il racconto di una vera e propria guerra, si snoda con continui colpi di scena e cambi di prospettiva sotto forma di guerriglia e resistenza, per poi sfociare in conflitto aperto a rovesciare le posizioni. Una storia che difende la parola che resta, e pertanto necessariamente riportata in uno scritto, questo in ogni modo vergato, con qualsiasi carattere e dimensioni, in grassetto, corsivo, sottolineato, che resti e conservi memoria, testimonianza e insegnamento per tutti quanti a venire. Una lotta per la libertà, e libertà è sempre sinonimo di fantasia:
“Un mondo senza fantasia è un mondo morto, una società senza idee nuove non può progredire. Per cambiare il mondo servono la speranza, la capacità di scoprire, d’immaginare, di pensare, di sognare…”.
A questo servono carta e inchiostro, Davide Gregori utilizza il fantasy per parlare a noi tutti, invitandoci alla libertà e alla fantasia. Che richiedono carta e inchiostro, libri e non cellulari.
Autore: Bruno Izzo