Il velo di Maya – recensione del romanzo “L’orizzonte della notte” di Gianrico Carofiglio

0
551 Numero visite
Il protagonista di una fortunata serie di romanzi seriali, proprio come una persona reale, non è una realtà statica, è mobile, cambia, cresce, vive; negli autori migliori addirittura vive di vita propria, neanche il suo creatore sa di preciso dove andrà a parare crescendo e raccontandolo. Talora sorprendendolo e sorprendendoci, esattamente come sa ben fare la vita di suo.

Negli anni, accantona ricordi lieti e tristi, rimpianti, nostalgie, acciacchi, tende a cambiare, a fare bilanci e considerazioni diverse proprio in virtù delle esperienze acquisite. Non è che non riesce più ad orizzontarsi, è che i colori non sono più accesi come in passato, la luce sta calando, il sole è al crepuscolo, l’orizzonte di notte c’è sempre, ma non si riesce a vedere. Questo è quello che accade all’avvocato Guido Guerrieri ne “L’orizzonte della notte”, l’ultimo romanzo del magistrato felicemente prestato alla scrittura Gianrico Carofiglio. Avvocato penalista in Bari, Guerrieri è investigatore quasi per caso, per forza maggiore; infatti, per indole propria nell’esercizio della sua professione cerca e persegue prima la verità dei fatti, certamente non per una astratta e irrealizzabile ideologia utopistica di giustizia, equità e rettitudine, fini a sé stante.

Guerrieri è persona spiccia, pratica, esperta, considera acquisire il più possibile nelle diatribe giuridiche come sono andate effettivamente le cose, non la verità astratta, sempre relativa e opinabile, ma per appurare il contesto reale in cui i fatti stessi sono giunti a maturazione, è questo l’ elemento essenziale per un principio di equilibrata difesa del suo assistito, certo non per approntare scuse e cavillosità ostinate, che sono aliene al suo modo fondamentalmente retto di essere e di esercitare la sua professione. Guido Guerrieri è un legale che abbina ad una buona conoscenza delle aule giudiziarie una particolare sensibilità di persona, a renderlo professionista affermato, fallace ma coerente ed organico, prima con sé stesso e poi con colleghi, addetti ai lavori giuridici e clienti, è il suo essere persona aperta, ricettiva, cortese.

Possiede spiccata indole e propensione all’ascolto ed alla logica derivante, ed è tanto a dargli spunti, idee e riflessioni per ricondurre un processo nell’alveo della conclusione più corretta, moralmente accettabile, soprattutto accessibile, poiché troppo spesso voler fare giustizia resta solo un concetto accademico. L’avvocato Guerrieri non difende, considera; indugia sulle prove ed i riscontri, ma li tiene in conto alla luce del contesto umano in cui si svolgono gli atti, quelli delittuosi in maniera particolare, perché spesso l’andare contro la legge è più una costrizione o una fallace ricostruzione anziché una utilità per il reo o presunto tale. Il nostro avvocato è felice protagonista di alcuni dei romanzi più belli di Carofiglio, la sua creatura forse meglio riuscita, resa benissimo da una scrittura precisa, diligente, calibrata e capillare. Gianrico Carofiglio è titolare di una penna colta, ha trascorsi di magistrato, ma oltre ogni altra cosa è un fine intellettuale, un amante di libri e buone letture che gli hanno dato l’input a misurarsi come scrittore; non a caso nei libri di Guerrieri è presenza costante una caratteristica libreria esclusivamente notturna, l’”Osteria del caffellatte”, aperta tutta notte per una clientela d’élite affezionata, con chiusura appunto all’ora della prima colazione. Carofiglio scrive di ciò che sa e conosce a menadito, e bene, possiede prosa agile, scorrevole, spiega e rende, ma non è mai pedante, delinea il racconto in modo fiscale ed a tutto tondo, sottolinea con evidenza nitida i concetti del suo dire, redatti con logica deliziosa, leggere il magistrato significa fare letteratura della giurisprudenza, ammanta di poesia il codice più astruso, si fa seguire agevolmente.

Non scrive di gialli, ma di violazioni della legge, non riporta investigazioni, ma riproduzione di condotte delittuose, sempre queste storie trovano il loro epilogo nelle aule dei tribunali, ed il loro compimento nella giustezza della ragione. Guerrieri qui e ora è alla soglia dei sessant’anni, è uomo attivo, ma stanco: non è più un giovane avvocato con un piccolo studio ed una sola segretaria tuttofare ad assisterlo, è titolare di uno studio affermato, ed a detta del suo consulente finanziario potrebbe ormai ritirarsi a vita privata e smettere di esercitare. Cosa che medita di fare. Perché a lungo andare, le maglie della legge finiscono per mostrare tutti i punti, tanti e troppi, in cui la rete si è smagliata, Guerrieri allora un bel momento si ferma e si fa domande, non sa più che senso abbia la sua vita, e la sua professione, che occupa gran parte della sua esistenza.

È come un vecchio pescatore oramai mezzo cieco che non fa più altro che tirare le reti a secco per ripararne i danni, dopo tanto navigare sui flutti dell’esistenza. Ha visto porti, solcato altri mari, incontrato persone nuove e ne ha riviste altre, ha variato cieli ed orizzonti, ora che cala il buio è stanco del continuo rammendare, la notte non mostra più l’orizzonte. Da bravo professionista sa che giunge un momento in cui si può, e si deve, cercare aiuto, ed accettarlo, e l’aiuto migliore sa darlo solo un altro bravo professionista, per cui il legale non esita ad affidarsi ad un valente psicoterapeuta. E intanto un vecchio amico, il titolare della libreria “L’Osteria del caffellatte” gli formula una richiesta a cui non può sottrarsi: difendere in giudizio una signora dell’alta società, Elvira Castell, rea confessa di omicidio nei confronti di un poco di buono, l’ex compagno della sorella gemella Elena, da poco morta suicida su probabile istigazione del pessimo soggetto. Il morto è un piccolo delinquente, ma della peggior specie di parassiti, bieco e violento, una specie di gigolò che vive di sotterfugi, espedienti, piccoli reati, abile manipolatore di persone fragili, colpevole di aver sottilmente istigato al suicidio la compagna per approfittarne dei beni, per finire poi ucciso nel mentre provava ad aggredire la sorella della defunta che gli rimproverava la sua colpa. La cosa resa così però così com’è non persuade affatto Guerrieri, che tuttavia accetta l’incarico, fino al discusso e controverso finale.

Nel mentre prova a ricomporre la vicenda, parallelamente l’avvocato si sottopone all’analisi, si crea così un connubio tanto intenso ed insistente, sentito e sofferto, eppure terso, lineare e intrigante tra analisi dei fatti e analisi dell’io, la scomposizione dei dati e dei personaggi dell’inchiesta e la ricerca e verifica del proprio vissuto, un dialogo interiore tra l’io corrente e quello trascorso, provando ad intuire il senso dell’iter esistenziale compiuto finora, a fianco all’iter giudiziario da gestire professionalmente. Guido Guerrieri allora a giuste dosi appronta sia il sale del delitto che il soluto della sua persona, giunge alla soluzione che è unica e univoca, la filosofia del vivere consiste nel sollevare con coscienza il velo di Maya, l’illusione che nasconde la vera natura della realtà. Per valutare le cose, non bisogna illudersi, le stesse non vanno viste, vanno vissute. Il giudizio va sospeso, le cose vanno accettate per come sono, con le loro rotture, le loro imperfezioni che non vanno nascoste, o peggio ancora cancellate e sostituite. Come, per esempio, si fa in una antica arte giapponese, che consiste nel riparare le ceramiche rotte stuccando le crepe con polvere d’oro: l’oro impreziosisce, evidenzia le crepe, e intanto le rende uniche e insostituibili. Gli errori rendono amabili.

La vita può scoraggiarci, è vero, ma il modo migliore per contrastare il nostro scoraggiamento consiste nell’incoraggiare gli altri. Aiutare gli altri, questo ristabilisce giustizia, ordine, equilibrio, ci fa stare bene, funziona per gli umani come per chiunque altro in Natura, restituisce un senso ai giorni della nostra vita. Quindi anche a Guido Guerrieri ed alla sua arte giuridica. Perché non è affatto vero che giunge il momento che non si distingue più l’orizzonte, che di notte l’orizzonte non si veda più. L’orizzonte esiste sempre, se solo vogliamo vederlo, è chiaro e luminoso, in verità, è davvero solare, come il sole di mezzanotte.

di Bruno Izzo

 

L'informazione completa