«Mio figlio nato sordo, così ho imparato a farlo uscire dalla sua “prigione”», la storia di mamma Eleonora diventa un libro

Il romanzo autobiografico d’esordio di Eleonora Geria racconta la sua storia di donna e mamma che non si è arresa davanti alla sordità del primogenito Nicola e alle difficoltà della vita

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di Gustavo Marco Cipolla

Il suono muto delle parole e il silenzio che, spesso, dice molto di più delle frasi fatte. Con tutta la forza di cui una madre è capace, l’amore diventa amplificatore naturale delle emozioni e consente di ascoltare laddove la voce non arriva, parlando direttamente al cuore. “Un senso di te”, pubblicato da La Corte Editore e in libreria dallo scorso 19 maggio, è il romanzo autobiografico d’esordio firmato da Eleonora Geria. Una mamma che ha scelto di affidare alla sua penna la storia vera del primogenito Nicola, un bambino sordo dalla nascita, scrivendo tra le pagine le difficoltà provate da genitore nell’accettare il figlio nato “diverso”, ma senza lasciarsi sopraffare dagli ostacoli di ogni giorno. «Ho scritto questo libro per permettergli di ritrovare sé stesso attraverso il racconto dettagliato delle decisioni che io e mio marito abbiamo preso al suo posto, cercando di dare spazio, con la massima umiltà, ad un messaggio di educazione e accettazione delle diversità in tutte le sue sfaccettature», fa sapere Geria che è laureata in Scienze politiche e specializzata in tecniche di comunicazione. Tramite una narrazione autentica, intima e toccante, l’autrice non risparmia al lettore la personale battaglia per riconquistare la cosiddetta “normalità” che il destino le ha tolto: le visite mediche, i cinque interventi subiti da Nicola, la paura del pregiudizio sconfitta quotidianamente accogliendo con sincerità il continuo e involontario dolore che ha colpito lei e l’intera famiglia. Gli accenti sulla bellezza della tanto attesa maternità e sulla sordità, quest’ultima in grado di cambiare le dinamiche familiari e lavorative. Poiché una madre sarebbe disposta a qualsiasi cosa per la felicità del figlio, dedicandogli ogni prezioso minuto del proprio tempo fino a sovvertire certezze, orari e routine.

Cover del libro “Un senso di te”, Ed. La Corte

Una silenziosa gabbia ovattata sembra dividere il piccolo dal resto del mondo, generando un’insormontabile barriera invisibile che a sua volta produce ulteriore distanza dagli affetti più cari. Il coraggio di Geria scavalca il muro della rassegnazione e, da guerriera, Eleonora tenta tutte le strade per guarirlo con l’obiettivo di regalargli quel “senso” mancante che non era riuscita a dargli sin dal primo istante. Le colpe e i timori, la percezione di essere sbagliata, le illusioni che si trasformano in delusioni fuori dalla sala operatoria e non fanno altro che nutrire i dubbi sul miglioramento, spegnendo la luce della speranza. Tuttavia, in una costante e faticosa lotta, la scrittrice si renderà conto che l’inseguimento del concetto di “normalità”, consegnato da una società selettiva in cui vige la legge della perfezione, è un’utopica distorsione del reale e non ha alcun significato, se non quello di etichettare erroneamente qualcuno solo in base alle proprie e singolari caratteristiche. Il viavai dalle cliniche e dagli studi specialistici, le veglie notturne, il rapporto con i fratellini Valeriano e Fabio Massimo, a tratti gelosi per le attenzioni ormai concentrate sul maggiore. E, ancora, il papà Gigi, il nonno e gli amici che camminano disorientati su un sentiero impervio perché non sanno come comportarsi.

I sentimenti di Eleonora si tramutano nella chiavi per aprire le porte della prigione, priva di musiche e rumori, in cui è costretto a vivere Nicola. Così quegli affettuosi abbracci materni si fanno cuffie per sentire e creare una connessione con l’esterno. Un volume concreto che, in maniera coinvolgente e appassionante, sottolinea quanto il tema della diversità, apparentemente un limite invalicabile, possa essere da stimolo per non arrendersi ripartendo sempre da zero. Consapevoli di possedere una ricchezza in più che, dopotutto, è un valore aggiunto e non sottratto alla vita desiderata e considerata “normale”.

 

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