Amore di mamma – recensione del romanzo “Genie la matta” di Ines Cagnati

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Questo è un romanzo atroce e crudele, una storia amara e infelice, uno scritto terribile, oscuro e contorto. Per molti versi ricorda, a chi lo conosce, quel libro altrettanto disumano, sofferto, ferino che narra una triplice orripilante realtà, appunto “La trilogia della città di K.”, di Agota Kristoff.

di Bruno Izzo

Ambedue sono romanzi feroci, quanto di malevolo e iniquo risalta dalle loro storie è accentuato dal fatto che in ambedue i casi le vittime protagoniste sono anime innocenti, donne struggenti, pratiche oltre che accorate, e bambini dolcissimi, teneri ed affettuosi oltre ogni dire. Più precisamente, mamme nobili, sollecite, attente senza parere, dedite ad ogni rinuncia, patema e sacrificio per le loro creature; e figlioli delicati, sensibili, intelligenti, perciò più fragili perché già in grado di recepire appieno, ad onta dei pochi anni di vita, la crudeltà disumana che li scalfisce già all’alba della loro esistenza. “Genie la matta” non ha nulla a che fare con disturbi della mente e case di reclusione per pazienti problematici, è solo una etichetta di comodo, una delle tante affibbiate da sempre alla stridente contraddizione tra il bene ed il male, applicato con protervia al dualismo uomo donna, dominatore e dominata, che si avvera in scala diversa e differente intensità in ogni tempo ed in ogni luogo. Diremmo nulla di nuovo sotto il sole, da sempre la sopraffazione dell’uomo sul suo simile è una prassi del sapiens, in particolare il predominio sull’altro genere, quello femminile, volente o nolente.

La protagonista, Eugenia detta Genie, è una pazza, una madre demente, una giovane alienata, esclusivamente perché si oppone alla violenza di genere, non vuole dipendere da nessun uomo, è una ragazza madre che tale intende rimanere, non vuole sancire un matrimonio obbligato, costretto, di comodo, che non sente suo, compie la sua scelta, resta da sola, e pur additata al pubblico disprezzo, senza indugio si rimbocca le maniche, lavora senza indugio come e più di un animale da soma per provvedere ai bisogni di Marie, la sua creatura. Non si tira indietro, rinuncia a sé stessa, si lascia sfruttare come manovalanza spicciola per poche lire, ma la sua retribuzione, il suo compenso risicato altro non è che un dispetto, un osso ai cani, è solo una neanche tanto velata ipocrisia collettiva, un perbenismo becero, una carità rivoltante, Eugenie è definita da chiunque la conosca come Genie la matta prima di ogni altra cosa perché è una donna libera ai suoi stessi occhi, i soli che contano.

Una donna indipendente, fiera di sé, niente affatto una eroina stoica, umile, semplice, dimessa, senza alcuna autostima, ma con un cuore di mamma immenso, soave, caldo, intenso, ad onta del suo modo acre, aspro, agro di evidenziarlo alla sua stessa figlia. “…Non starmi tra i piedi…”, le ripete spesso e volentieri. Genie è ruvida, rigida, lapidaria, ma la sua è solo una difesa, Eugenie lo ripete spesso, dalla vita non ha avuto niente, e semmai, quello che ha ricevuto è solo cattiveria putrida e riprovevole. “…Non ho avuto niente, io. Io dicevo: Hai me. Lei piangeva…” Genie è fredda, distante, distaccata anche fisicamente dalla sua bambina che inutilmente la segue stentando la sua corsetta di bambina di gambetta svelta sui passi lunghi e frettolosi della mamma, ma il suo agire è solo una preghiera, in verità uno scongiuro, un voler fungere a silenzioso monito ed esempio per Marie, perché la figlia non abbia a ripetere la sua grama esistenza. Genie è scostante, indifferente, lontana, soprattutto perché è una donna che vive in tempi in cui le donne non hanno difesa, le sue sono epoche e luoghi in cui il suo essere donna è vox populi di per sé una evidenza di colpevolezza, una scheda di inferiorità, un cartellino di doveroso assoggettamento, se non un vero e proprio marchio di proprietà privata.

Genie è pazza, per i suoi simili, in particolare, per amaro paradosso, per le altre donne, perché è una ragazza che non ha saputo salvaguardarsi e difendere la propria integrità morale intrinseca a quella fisica. I più maligni, che coincidono con le più cattive, dicono seraficamente che non ha voluto sottrarsi ad una attenzione non desiderata, in sintesi una violenza, neanche ha voluto in qualche modo “ripararla” o “giustificarla agli occhi degli immancabili ipocriti pseudo benpensanti come la logica corrente imporrebbe. Peggio di ogni altra cosa, poiché da quella violenza ne è derivata una gravidanza, la vittima aveva il dovere morale di provvedere chinando il capo ad un matrimonio riparatore, legalizzando così lo stupro per evitare la vergogna, o almeno disfarsi clandestinamente della prova, nascondendo quindi sia il reato contro la sua persona che la gravidanza che ne è derivata.

La giovane Genie invece non è una eroina, ma è semplicemente una ragazza normale, di comune buon senso, e presente a sé stessa, accetta il suo destino e se ne fa carico, è una ragazza madre, figlia di una facoltosa famiglia della zona, vittima di una violenza da parte di un becero individuo, un muratore attratto dalla sua posizione sociale. “…La giovane stuprata, che non ha saputo proteggere la sua virtù fuori dal matrimonio, sembra più colpevole dello stupratore che in fondo…ha fatto solo la sua parte di maschio…” Eugenie non ha voluto però riparare; perciò, agli occhi della comunità in cui vive è prima di tutto una sciagurata ed una svergognata. Poiché poi si ostina a tenere e crescere da sola Marie, la bimba nata dalla violenza, trascorre la sua esistenza stentando la vita, vivendo in una casa che è poco più di una fatiscente baracca, pur non avendone esperienza si industria a procurarsi duramente da vivere, lavora come e più di un mulo per poche lire, spesso solo quanto basta per il sostentamento fisico suo e della sua bambina. Tutta la storia si snoda, precisa ed esauriente, in un romanzo breve, a capitoli struggenti, affilati ed efficaci. Non è una scrittura sanguinosa, nessuna prosa luttuosa o raccapricciante, tutt’altro, Ines Cagnati ha uno stile incisivo, scolpisce poche parole sulla pietra di un animo inaridito, che è sola una corazza con molte crepe, ha un corsivo conciso, asciutto ma non tetro, il racconto è potente, descrittivo in pochi tratti, esaustivo ed esauriente.

Quello che il lettore in particolare recepisce forte e chiaro è l’atmosfera arcigna, l’aura predace di ingiustizia perenne sospesa sulle due protagoniste principali, madre e figlia, Genie e la sua piccola Marie, dapprima bambina, poi ragazza, poi giovanissima e già provata, adulta che è la sola voce narrante del testo, una voce che anela amore e attenzione ad ogni rigo. Genie possiede uno straordinario cuore di mamma, ma il suo vissuto non è né dolce nè amorevole, la sua è storia spacca cuore, come in mille frammenti aguzzi è stato frantumato il suo: in sintesi è un racconto commovente, certamente, dopo tutto c’è tutto il mondo d’amore di una mamma per la sua creatura, ma non ti fa venire gli occhi lucidi, semmai suscita rabbia, perché è tutta una corsa a ricorrere il bene, la giustizia, il voler rimettere a posto tutti i cocci, la trama è ingiusta, l’epilogo straziante, i veri colpevoli restano impuniti, è un testo crudele come sa esserlo la vita per alcuni, i puri di cuore in particolare.

Non molte pagine in questo libro, che però raccoglie tutto: cuore e batticuore, confusione e disorientamento, dolori e inquietudini. E poi ansia, angoscia, scandalo, ma su tutto ingiustizia, con tutto un corollario di abusi, arbitri, prepotenze, storture, il male fatto di persone, finanche quelle a te più vicine. “…Viene qui a spiare…” Come è possibile racchiudere tutto quanto in poche pagine? Con il silenzio. Questo non è romanzo di parole, in questo Ines Cagnati è immensa, magistrale. Non è un testo di dialoghi, ma uno scritto di silenzio che dice, che racconta, che esplica, che sottolinea. Il lettore ne esce, ne usciamo, annichilito. Sconcertato e impietrito. Perché vedete, un cuore di mamma riscalda, ma quello di una matrigna raggela. Un’esistenza di angherie è una matrigna, una megera fuori di testa, una pazza, una arpia, lei sì, matta. Da legare.

https://www.youtube.com/watch?v=uXHzZtXWy00

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