L’uomo giusto – recensione del romanzo: “Se esiste un perdono” di Fabiano Massimi

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di Bruno Izzo

Esiste un giorno preposto per ricordarli, a imperitura memoria. Istituito semplicemente perché ciò che accadde allora, non si ripeta.

Mai più. Ogni anno il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria, istituito per ricordare le vittime dell’Olocausto, e per inciso, quelli della Shoah, giusto perché si intenda che non fu un sacrificio inevitabile, ma un delitto coscientemente perpetrato dalla malvagità umana verso i propri simili. Un giorno che rammenta a tutti, specialmente alle nuove generazioni, lo sterminio messo in atto tra il 1933 e la metà degli anni Quaranta dalla Germania nazista e dai suoi alleati, Italia compresa, in misura massiccia nei confronti del popolo ebraico, ma non solo, anche contro tutte le categorie ritenute deleterie all’ordine nuovo razziale del Terzo Reich. Senza distinzione di età, di genere, di nazionalità, e senza provare mai un briciolo di umana pietà e misericordia, nemmeno per i bambini. Per estensione, però, è anche un’occasione per ricordare i giusti, coloro cioè che pur non essendo ebrei, e quindi immuni dalle persecuzioni, non esitarono a rischiare, ad esporsi, a mettere in gioco la propria esistenza nel tentativo di mettere in salvo quanti più ebrei e perseguitati possibili.

Nascondendoli, proteggendoli, ponendoli in salvo in altri paesi, aiutandoli in tutti i modi, a rischio della propria vita, disinteressatamente, rimettendoci tempo, valori, stress e salute, solo ed esclusivamente nel nome della loro normale, innata e mai sopita umanità d’animo. Erano costoro i giusti tra le nazioni, uomini e donne dal cuore buono, generoso, solidale ed altruistico, a cui tantissimi ebrei devono la vita, questi fortunati furono salvati perché i non ebrei si adoperarono per loro. Non erano eroi, neanche giusti; erano le persone giuste, uomini e donne semplici e genuine, di comune buon senso, diversi dai perseguitati per nascita, etnia, religione, e però con loro saldi e concordi nel considerarsi come appartenenti tutti ad una ed una sola unica razza: quella umana. Il più noto dei giusti tra le nazioni fu, paradossalmente, un tedesco: l’industriale Oskar Schindler, che con la scusa di impiegarli come manovalanza nelle sue fabbriche, sottrasse ai campi di sterminio oltre un migliaio di ebrei, i cui nominativi erano presenti in una lista, la lista di Schindler, appunto, da cui il famoso regista Steven Spielberg trasse il celebre film omonimo “Schindler list”, divulgando in tutto il mondo il coraggio e l’altruismo dell’industriale tedesco sì, ma certamente alieno alla logica aberrante dello sterminio nazista.

Come lui, tanti altri, meno noti ma non meno meritevoli, hanno operato nello stesso modo per trarre in salvo quanti più ebrei possibili; e meritano un plauso particolare quanti hanno rivolto i loro sforzi a porre in salvo i più innocenti tra gli innocenti, i bambini. “…quello che facciamo qui non è illegale, ma potrebbe diventare rischioso…Lavoriamo venti ore al giorno, non siamo pagati, nessuno ci ringrazierà.” In questo modo questi relativamente pochi prodi, agendo spesso senza alcuna copertura politica o diplomatica a protezione del loro operato, hanno in un certo senso riscattato il Bene, l’umanità degli uomini, la dignità dell’Uomo, degradata e svilita dal Male bieco e belluino, celato sotto la croce uncinata. Certo, il tutto non vale a porre rimedio, quanto accaduto è una vergogna della Storia, che non ammette assoluzione, remissione, venia, non è assolutamente possibile ipotizzare indulgenza. Nessun abbuono; può esistere solo, per merito dei giusti, una minima forma di riscatto. Se esiste un perdono, è perché tanti, e quasi tutti misconosciuti, si adoperarono per la salvezza di tantissimi. “Se esiste un perdono”, l’ultimo romanzo di Fabiano Massimi, è un racconto di fede, di promessa, di attesa; non è un’opera di fantasia, nemmeno Storia romanzata, è l’accurata e documentata descrizione del romanzo dell’esistenza, in una delle epoche più buie della nostra Storia recente.

Massimi non è nuovo a questi lavori attenti, curati al dettaglio, ineccepibili, scrupolosi nella ricerca di fatti e protagonisti, letture che sono però allo stesso tempo deliziose, eleganti, d’autore. Già nei precedenti “L’angelo di Monaco” ed il suo sequel “I demoni di Berlino” lo studioso e ricercatore, il bibliotecario modenese prestato e prestatosi alla letteratura, aveva dato validissima prova di sé, narrando a modo suo l’ascesa al potere di Hitler e del nazismo romanzando con arte aspetti meno noti della storiografia ufficiale, e però reali, documentati, storicamente innegabili. Fabiano Massimi sa scrivere molto bene, vale a dimostrarlo tra l’altro la circostanza che si è cimentato felicemente anche in pregevoli lavori di genere poliziesco, in cui i buoni di turno non sono le forze dell’ordine, ma una cooperativa di ex carcerati riuniti in una forma di mutuo e solidale soccorso.

Massimi nutre una evidente amore per la Storia, è inoltre un bibliofilo, e bibliotecario, curioso e appassionato, ma a tutto questo si accompagna, con pari scrupolo, anche talento, dote e genio nel riportare su carta la sua inventiva. Scrive con uno stile fermo, risoluto, sa esporre il suo narrato con classe, sicurezza, il suo racconto ha un ordito forte, completo, abbina fascino e disciplina, sentimento e azione, paura e audacia. I suoi personaggi, quelli realmente esistiti e rivisitati, e quelli dettatogli dalla sua inventiva, sono delle perle, delle finezze, sia che si tratti di protagonisti positivi, uomini e donne, eroi tanto banali e comuni quanto splendidi portenti, sia che si tratti della feccia dell’epoca, gli obbrobri umani con il loro repertorio di oscenità d’essere, permeati dalla mostruosità del nazismo. In particolare, protagonisti sullo sfondo di questo romanzo, ma in verità i veri mattatori della storia, sono i bambini, costretti a scappare oltrefrontiera, posti in salvo in paesi pronti ad accoglierli, almeno in un certo numero, ma necessariamente Paesi stranieri che i piccoli, alcuni piccolissimi, non conoscono e nemmeno ne intendono la lingua, da soli e senza i loro genitori. Genitori che consapevolmente non li abbondano per salvaguardarli, se li strappano letteralmente a forza dal loro cuore e dalla loro anima, li affidano ad estranei perché li portino via, in aereo, per treno, in ogni modo lontani dal tedesco invasore, che abbiano almeno i piccoli una residua speranza di salvarsi e godere di una vita non diciamo felice, ma almeno comune e banale, a misura d’uomo.

Il loro emblema è una misteriosa, e incantevole, Bambina del Sale; una piccola che si aggira solo di notte per i vicoli bui, sfidando pericoli e paure per vendere per pochi soldi sacchettini azzurri ripieni di sale, per i tempi un bene introvabile, qualcosa di raro e prezioso. “…si cresce in fretta, quando serve.” La bambina del sale: non a caso. Perché il sale è componente delle lacrime, è contenuto nel sangue, ma soprattutto si resta di sale davanti a certe vicende. Gli adulti che sono, ma solo in apparenza, i protagonisti principali, i salvatori, tutte persone realmente esistite, e ricordiamo qui i nomi di questi giusti, Doreen Warren, Trevor Chadwick, ma soprattutto lui, l’artefice primario di queste missioni di salvataggio di bambini, Nicholas Winston, l’uomo giusto, nel senso più nobile del termine, il più giusto tra i giusti, cittadino inglese operante da straniero in terra straniera, che tanto si spese per espatriare i bambini ebrei da Praga prima dello scempio dell’invasione nazista. “…Aiuto chi è senza aiuto.” E che rivedrà a sorpresa i piccoli da lui salvati, potremmo dire i bambini della “Winston list”, a decenni dalla fine del conflitto, sul finire della propria esistenza terrena, vissuta in discrezione e misconosciuto, perché i giusti sono così, una volta esaurito il loro compito, ritornano nell’ombra, perché…perché li tormenta, è sale sulle ferite, il loro convincersi che potevano fare di più, salvare più bambini, salvarli tutti, nessuno escluso. Anche la bambina del sale, il loro più grande rimpianto di una vita spesa giustamente.

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