Le vicende di tre donne attraverso un arco temporale che va dall’avvento del Fascismo ai giorni nostri è al centro di una storia in cui ogni cenno di riscatto si nutre di perdita, dolore e, qualche volta, di ritorno sui propri passi.
Redazione Comune Torino
Al centro del bel romanzo “Il silenzio del mondo” di Tommaso Avati ci sono tre donne sorde, il cui destino sembra ripetersi, malgrado l’emancipazione innegabile che caratterizza le loro rispettive esistenze. Rosa è una trovatella, abbandonata in un convento di suore e adottata da Pietro e Lina più per ragioni di opportunità che per autentico amore filiale. Laura nasce a Roma, può frequentare una scuola per sordi e potrebbe andare a studiare al Gallet College, la prestigiosa Università americana per non udenti, ma rinuncia ai suoi programmi. Francesca vive in un mondo più fluido, dove i codici comunicativi si confondono e si contaminano, ma non può sottrarsi al legame viscerale con sua madre e sua nonna.
Rosa, Laura e Francesca provano ad affermare la propria identità in tre epoche storiche diverse, che le costringono a fare i conti in maniera differente con la condizione di donne sorde. Per Rosa, che cresce in un contesto rurale, l’appropriazione della lingua dei segni è una conquista e il rapporto con gli udenti rimane costantemente improntato alla più assoluta diffidenza. Laura ha molte più opportunità di sua madre, vive nel benessere e viene educata in un ambiente culturalmente vivace, dove i giovani sordi condividono un sentimento identitario, che gli permette di vivere la propria condizione con normalità. Quando la giovane Francesca diventa adulta, negli anni Duemila, le barriere tra sordi e udenti sembrerebbero superate.
La lingua dei segni non rappresenta più la terra promessa che è stata per sua nonna Rosa e non è più quel raffinato strumento di comunicazione che Laura e i suoi giovani amici maneggiavano con perizia e sapienza, ma sembra essere diventata una delle innumerevoli forme del comunicare contemporaneo.
È come se sordi e udenti si muovessero nel medesimo territorio fluido della comunicazione, abitato da una moltitudine di segni accessibili a chiunque abbia gli strumenti per decodificarli. Tuttavia, nel momento più difficile, Francesca non può evitare di confrontarsi con il mondo di sua madre e di sua nonna, fondato sulla divisione netta tra il noi e il voi, tra il mondo innocente dei sordi e quello corrotto, ipocrita, prevaricatore degli utenti.
«È una storia che mi riguarda perché parla della sordità che io conosco per averla sperimentata sulla mia pelle fin dalla nascita», scrive l’autore, che nella vita è sceneggiatore, scrittore e docente, oltre che figlio del noto regista Pupi Avati. «So cosa voglia dire non udire, vivere in un mondo ovattato e separato, distante e mai davvero raggiungibile dagli altri, persino dai tuoi cari». Eppure, malgrado la distanza, il dolore, l’incomprensione, il romanzo lascia intravedere un canale di comunicazione nascosto tra l’universo dei sordi e quello degli udenti. E celebra l’intramontabile potenza della Lis.
Fonte: superabile