Sara Morozzi, ex agente dei servizi segreti italiani ormai in pensione ed avanti negli anni, oggi con tutta evidenza una comune signora dai capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca, tacchi bassi, dismessa e senza trucco, cela a chiunque lo ignori un passato come effettivo di polizia, impiegata in una struttura investigativa insolita e di particolare valore ed importanza.
di Bruno Izzo
Soprattutto per indole e per le sue mirabili capacità naturali, ha rappresentato per anni l’autentico fiore all’occhiello della segretissima unità di analisi ed intercettazione ambientale.
Una struttura dello Stato in qualche modo legittima e legittimata dai vertici più elevati dello Stato stesso, e però anche celata ai più, certamente del tutto ignota tanto ai media che ai comuni cittadini,
in virtù di supremi interessi collettivi nazionali e internazionali, che ne giustificano necessariamente la massima secretazione, sia dell’identità degli agenti che della natura delle operazioni condotte.
Sara Morozzi è anche l’ultimo riuscito personaggio scaturito dalla fertile fantasia di Maurizio De Giovanni, scrittore che oramai non ha più bisogno di presentazioni di sorta, dato il livello di popolarità raggiunto con i romanzi precedenti.
Non c’è chi non conosce, finanche per sentito dire, per merito anche di seguitissime fiction televisive, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, funzionario di polizia in servizio presso la Regia Questura di Napoli all’epoca del ventennio fascista; o i Bastardi di Pizzofalcone, una sorta di eterogenea quanto efficientissima Armata Brancaleone di agenti di polizia in organico nel centro storico del capoluogo campano; o infine l’incredibile giovane assistente sociale Gelsomina Settembre, un misto di sacro e profano, una serissima e capace operatrice intenta a ricucire efficacemente gli strappi del degrado sociale nei quartieri più popolari e disastrati della sua città, nel mentre si barcamena in modo sottilmente umoristico con il proprio complesso privato sentimentale, marcato da un florido quanto imbarazzante decolleté generosamente fornitele da madre Natura.
Tuttavia, a differenza dei precedenti, l’ex effettivo dei servizi Sara Morozzi possiede un che di caratteristico, direi che è un personaggio più introverso, più chiuso, più riservato, ancora sfumato, misterioso come il suo ruolo impone, e non è ancora, malgrado questo sia il quarto volume della serie, un personaggio completamente noto e amato con la stessa intensità dei precedenti che abbiamo citato dall’esercito dei fan di De Giovanni.
Sembra un personaggio ancora agli albori della sua comparsa, grezzo, appare discosto e distante, non ben rifinito completamente, quasi che lo scrittore faticasse a dargli una precisa connotazione ben definita.
Intendiamoci, non è un personaggio serioso o pesante, tutt’altro; presenta anche dei risvolti umoristici, qui il lato sorridente delle storie di de Giovanni, che per esempio in Ricciardi si esplica nei duetti Maione-Bambinella o Ricciardi-Modo, e nei “bastardi” con le tragicomiche vicende sentimentali del presuntuoso quanto ingenuo agente Aragona, qui vede protagonista assoluto, deputato a stemperare nel sorriso la tensione narrativa, uno splendido esemplare di Bovaro del Bernese. Invece, contrariamente a quello che si crede, Sara Morozzi è il personaggio forse meglio rifinito e caratterizzato, il più difficile, quello che ha rappresentato il vero banco di prova, brillantemente superato, quello che certifica la piena maturità come affabulatore di Maurizio De Giovanni, la prova provata del suo acume, della sua intelligenza, soprattutto della sua profondità di analisi dell’animo umano, unita ad una indubbia valenza di scrittura avvincente e coinvolgente, tanto semplice quanto elaborata ad un tempo.
Maurizio De Giovanni ha creato dal nulla un personaggio nullo nell’aspetto, insignificante nell’apparire, silenzioso nel suo agire, e di questa scarsità e limitatezza è stato tanto abile da farne realtà, di scriverne pagine e pagine, delineando storie, ambienti, e protagonisti, e sempre gli stessi raccontati anche a distanza di decenni, con luoghi identici dagli scenari mutati, con una capacità ed un talento incredibile.
Ha delineato magistralmente sentimenti ed emozioni della sua eroina, mostrati in difetto ed in carenza, nascosti, celati come un buon agente segreto deve saper fare, un perfetto agente sotto copertura nulla ha a che fare infatti nella realtà con un appariscente James Bond con Aston Martin super accessoriata e Martini agitato e non mescolato, piuttosto è completamente credibile, verosimile e reale con abiti fuori moda, passo strascicato, aspetto banale e insignificante.
Un personaggio grigio, insipido, banale, appare così perché così vuole apparire, così deve essere, solo così è funzionale al suo ruolo.
Di questo grigio, di tale materiale insipido e banale, scialbo e insulso, De Giovanni ha fatto avventure, tragedie, tensioni, legami affettivi e cronache di vita reale.
Ne ha tratto materiale per questo bel romanzo, dove ci racconta di ospedali pediatrici e di malattie senza scampo, della caduta del Muro di Berlino e del regime di Ceausescu in Romania negli anni Novanta, della vita, dei sogni, delle ambizioni e anche della disperazione di giovani stranieri in città per frequentare l’università, descrive la contemporanea visita a Napoli dell’allora Papa Giovanni Paolo II. Intanto che la storia si dirama avanti e indietro nel tempo su fatti e scenari lontani tra loro trent’anni, delineando l’intreccio inestricabile e talora beffardo, ma terribilmente reale, tra i destini di tutti quanti i coinvolti, De Giovanni unisce la vita privata e professionale della sua protagonista, perché è vero, è così, nella realtà pubblico e privato di ognuno sono avvinti e si influenzano a vicenda.
Pertanto, l’autore ci conduce con delicatezza e discrezione a visitare il cuore ed i sentimenti di una donna che lascia il marito e l’adorato figlio per amore, compie una scelta sentimentale radicale e definitiva come solo una donna sa fare, relativamente anche ai tempi retrogradi in cui compie la sua scelta. Lo scrittore napoletano ci strazia l’anima raccontando cosa significhi la perdita sia del compagno sia del figlio adorato, ci commuove raccontandoci cosa significherebbe perdere anche l’adorato nipotino di pochi anni afflitto da un male incurabile, ci intenerisce facendoci assistere alla speranzosa tenacia, di quanto è disposta a fare una compagna, una madre, una nonna, una donna, qualunque donna per evitare un simile tormento incancellabile, senza arrendersi mai:
“…sapete perché sbagliate? Perché lo avete già seppellito, a vostro figlio.”
Maurizio de Giovanni si è messo in ascolto del cuore di una sua creatura, Sara, un personaggio dal nome biblico che cela in sé un libro sacro di emozioni e sentimenti, una bibbia intera, segreta, recondita, confidenziale, un testo elevato spiritualmente, e Sara lo ha ricambiato sussurrandogli all’orecchio con voce sommessa, quelle emozioni, quei sentimenti, quelle storie intense e dismesse ad un tempo, che poi lo scrittore ha riversato abilmente su carta da par suo.
Se Sara Morozzi si presenta ancora particolarmente impenetrabile a qualche lettore, è perché l’invisibilità del personaggio è voluto, è il suo abito mentale per definizione.
Nel pieno della sua attività, l’agente era predisposta mentalmente e fisicamente ad essere invisibile, il suo compito era essenzialmente, e solo quello, di raccogliere informazioni.
Per farlo, ascoltava; e per ascoltare bene, devi scomparire, tutto te stesso ascolta, devi annullarti completamente nell’ascoltare, sia che esplichi l’ascolto vedendo e rivedendo più volte i filmati raccolti dalla sorveglianza, sia ascoltando le registrazioni audio, sia soprattutto direttamente sul campo. L’agire in prima persona richiede che sparisci, che passi letteralmente inosservata, che ti mimetizzi perfettamente nell’ambiente, che ne diventi struttura portante e dismessa, un contorno malamente definibile, un’ombra, uno spirito, comunque una essenza che anche se avvertita tanto è banale, di nessun rilievo che tende ad essere automaticamente disconosciuta, accantonata istintivamente come di nessuna importanza. Non si vede, non viene vista pure distante pochi passi.
Sara Morozzi non sente e non vede, si badi bene: lei osserva ed ascolta, il che è una cosa del tutto differente.
La Morozzi non usa vista e udito, occhi e orecchi sono solo strumenti: lei ascolta e osserva, il che significa compenetrare l’oggetto o il soggetto di sorveglianza.
Sara sente con l’orecchio non i suoni, ma le sinfonie della verità o le note stonate della menzogna; osserva con occhi chiari, occhi di ragazza, acuti e profondi che scandagliano oltre qualsiasi schermo o apparenza posticcia a captare il reale.
L’agente segue il labiale, il linguaggio del corpo, la mimica, le espressioni, la postura, i tic ed i movimenti inconsulti ed involontari; si concentra sul sorvegliato non come una sorvegliante, semplicemente diviene l’aura di quello. Il corpo parla, Sara si sostituisce alla sua anima, e ascolta:
“La naturale propensione, affinata con studi e ricerche, a riconoscere pensieri ed emozioni nascoste dietro parole od atteggiamenti che ostentavano sicurezza, le faceva vedere la gente per com’era in realtà: e la realtà era sempre meno splendente dell’apparenza”.
Non ascolta quello che si aspetta di sentire, o che si immagina che sentirà: raccoglie semplicemente quello che dice. L’agente si concentra quasi andasse in trance, fissa lo sguardo vacuo nel vuoto concentrata completamente dall’ascolto totale, al punto da far sospettare a qualcuno che la donna sia in qualche modo afflitta da autismo, si insinua in ogni fibra intellettiva, in ogni sinapsi, in ogni connessione neuronale di chi ha di fronte rilevando le modifiche esterne involontarie quanto veritiere, impossibili da mistificare. E poi restituisce la realtà dei fatti.
“…l’irritazione si traduceva in broncio e sopracciglia corrugate, le grandi pupille nere emettevano lampi; la tenerezza faceva sporgere le labbra carnose, mentre la testa si inclinava; il divertimento le stirava le guance…”
In estrema sintesi, come Ricciardi, Sara Morozzi è un personaggio estremamente sensibile, “ascolta”, ma lo fa ancora meglio, De Giovanni questo suo “fatto” glielo fa fare veramente bene, magari proprio in virtù dell’ esperienza compiuta con il “fatto” del suo trascorso personaggio
Semplicemente, Sara ha imparato, e nella sua città è un “fatto” particolarmente comune, che la gente non comunica solo parlando, ma gesticolando, accompagnandosi con ben altro che le sole parole, utilizzando tutto il corpo; di questo ascolto ne ha fatto un’arte.
È un ascolto che riferisce anche i sentimenti più profondi ed intrinseci, quelli che per esempio lampeggiano all’incrociarsi degli sguardi di due giovani, che si cercano come una calamita; se ne può accorgere anche un terzo, una brava persona che di Sara è innamorato, che sa leggere negli occhi chiari della ragazza, e viene perciò colto, che so, da un moto di gelosia, per esempio.
De Giovanni tutto questo lo “ascolta”, lo scrive e ce lo racconta chiaro.