“Ho imparato che l’arrampicata sugli specchi non serve a nulla e impatta contro la razionalità infantile esplodendo in mille frammenti”.

di Bruno Izzo

Questa breve frase, poco dopo l’incipit de “Gli insospettabili”, di Sarah Savioli, riassume in felice sintesi tutto quanto c’è da sapere su questo fantastico, e sorprendente, romanzo d’esordio della scrittrice sarda.
Una piacevole novità nel panorama delle ultime uscite editoriali, una storia dal taglio insolito, diversa, ma intensa, incisiva, profonda, reale. Un libro gentile, ma vigoroso, sostenuto, geminato.

Da leggere con l’animo lieve e sgombro da preconcetti, con semplicità e candore. E attenzione.
La frase riportata dice tutto, sancisce che solo un bambino, infatti, con l’innocenza neutrale che si riconosce ai bambini, riconduce razionalmente alla norma la capacità di comunicazione con l’altro, qualsiasi altro, quantunque diverso.
Ritenendolo d’istinto come un processo logico e naturale, e giustamente, una normalità semmai da apprendere, diffondere e rendere accessibile a tutti.
Senza stare tanto a chiedersi e a preoccuparsi del come e del perché della comparsa di tale facoltà, e soprattutto di indagare come sia possibile che sussista una tale “stranezza”.

Comunicare placidamente con un altro essere vivente, qualunque sia, tanto strano a loro non appare per niente, non se ne meravigliano per nulla, non la considerano una devianza o una follia, come invece sarebbe facilmente portato a etichettarla un adulto.
In un’ottica tanto semplice, candida ed equanime, per quanto possano essere diversi tra loro, tutti i viventi comunicano, per definizione stessa di vita, quindi l’interazione tra esseri senzienti dovrebbe scaturire spontaneamente, il minimo sindacale garantito, senza preclusioni di sorta.
La comunicazione e tutto quanto segue di conseguenza, la condivisione, l’empatia, la compartecipazione si attua senza se e senza ma.
Senza arrampicarsi sui vetri delle facili e sciocche convenzioni, che impediscono di considerare “naturale” questo tipo di ponte tra vissuti diversi, portano a temere le eventuali reazioni di quanti sono sprovvisti di tale capacità empatica, e solo per questo la respingono con prepotenza e bieca ottusità perché impossibile a priori.

S’intende in questo romanzo che la comunicazione con il diverso “diversamente vivente” di cui si parla, concerne il dialogo tra la protagonista umana e l’universo animali e piante nello specifico, ma va da sé che il concetto si estende ad ogni presunta diversità.
Anna, la protagonista, moglie devota, madre amorevole del piccolo Luca, impiegata come aiuto di una coppia d’investigatori privati, a seguito di un’accidentale diversità anatomica, un ematoma in una specifica, atavica area encefalica, ha scoperto all’improvviso la sua capacità di “comunicare” con piante e animali.
Dialoga così tranquillamente con cani, gatti, tartarughe, ficus, tigli, oleandri, e insomma tutto il creato animato che ci circonda, di cui spesso, se non sempre, siamo testimoni inconsapevoli, li notiamo cioè senza in realtà soffermarci a considerarli più di tanto, senza sapere nulla d’essenziale degli altri viventi, li diamo per scontati.

Al limite, li utilizziamo, li sfruttiamo, ne abusiamo, non altro, con tutte le pessime conseguenze del caso. Non gli portiamo rispetto, eppure vivono, esistono, assistono, sono testimoni attenti e sensibili. Senzienti e consapevoli.
Così, se in un’indagine investigativa la polizia e gli investigatori raccolgono indizi e testimonianze come da manuale, Anna interroga, ma sarebbe più esatto dire che chiede gentilmente, ricevendone pari cortesia, a quadrupedi e pennuti presenti, ai platani e alle piante in loco.
Certo, la sua qualità la differenzia, ma non è un vantaggio investigativo, poiché quanto ricava, va comunque filtrato dalla propria sensibilità: ogni vivente ha il suo idioma, sta a ciascuno comprenderlo correttamente. Talora, non è così facile.
Da questa idea di partenza, ne deriva davvero un bel libro, di grande freschezza, oserei dire vitale e sbarazzino, davvero una lieta novità nel panorama editoriale recente.
Un racconto originale e gradevole, ottimamente scritto, si legge che è un piacere, fluido, scorrevole, emoziona e indulge al sorriso, indigna e esorta alle riflessioni, anche ispide o struggenti.
È una storia di fatti e persone, un racconto poliziesco anche a tinte gialle, e di finale movimentato.
Con una particolarità che lo trasforma e lo differenzia dai testi simili, proprio per questa capacità comunicativa con il vivente di qualsiasi genere, insita nella protagonista.
Nessun potere fantastico o paranormale, ma ben altro, un requisito più sottile, una forma di concreta empatia con il vivente che ci circonda, che troppo spesso tendiamo a ignorare.

Tutto il romanzo, a mio parere, utilizza questo tema di confronto “con gli altri” come una lente d’ingrandimento, per soffermarci su quelle che sono le nostre crepe di umani.
Piante e animali sono testimoni del nostro vissuto, loro sì consapevoli dei nostri limiti e delle nostre miserie. Ci osservano, meditano sui fatti e i personaggi della storia, un suicidio “forzato” di un giovane da poco uscito dal tunnel delle tossicodipendenze, un racconto ambientato nel mondo talora ambivalente ed elusivo dei centri e delle comunità di recupero e riabilitazione dalle dipendenze “non naturali”.
Soprattutto tutto il racconto è un invito a riconsiderarci, noi persone adulte, non più, una volta per sempre, il centro del creato.
A tornare umili e in simbiosi con la natura e i nostri simili, a rifiutare l’alterigia dei cavalli di razza per accogliere l’umiltà, e la conseguente intelligenza, degli asini rivoluzionari, nel libro giacobini e rivoltosi finanche nel nome.
Tutto intorno a noi sussiste una biomassa animata assai più insigne e mirabile della nostra esistenza, e che però, pur avendone i numeri, non si pone al centro, non pecca dell’egocentrismo ed egoismo tipico degli umani.
Noi siamo testimoni inconsapevoli della sua esistenza, magari intuiamo che non è certo muta o silenziosa, è solo la nostra presunzione a spingerci a considerarci superiori e ci impedisce di comprenderne l’idioma, per interagire alla pari.

Chi ha letto i libri del neurobiologo fiorentino prof. Stefano Mancuso (“Verde brillante”, “Uomini che amano le piante”, “Plant revoluction”, e il più recente “La nazione delle piante”) comprende perfettamente quanto si afferma: ciò che consideriamo diverso, muto, inferiore, è in realtà in ogni tratto sito di parecchie spanne ben sopra il genere umano.
Il nostro atteggiamento ottuso ha conseguenze nefaste, induce a ripetere e a riportare l’identica norma di esclusione anche nei confronti dei nostri simili ritenuti diversi, per qualche motivo.
Ad accorgersene per primi di tale assurdità sono sempre i più saggi di noi, i bambini, non ancora guastati dal materialismo dell’età adulta.
Non ci si lasci fuorviare però all’apparenza, o dalla veste grafica: il libro ha una copertina simpatica e accattivante ma attenzione, non è un libro per bambini, una storia della letteratura magica e infantile con intenti pedagogici alla Harry Potter, tutt’altro.

Certo, la storia ruota anche intorno ad un bambino, Luca, un piccolo protagonista cui nulla sfugge del suo macrocosmo familiare, ne capta perfettamente pregi e difetti all’occorrenza da utilizzare ai propri fini, l’ennesima riprova che “i bambini ci guardano” come ben enunciò il compianto De Sica.
Anche gli animali e le piante ci guardano, capiscono, comprendono, sono testimoni consapevoli e affidabili del nostro agire.
I bambini non sono bambolotti immersi nel loro fantastico mondo di sogni, sono invece attenti alle nostre assurdità di adulti, sono razionali, semplici, logici, acuti, per cui considerano perfettamente preferibili e anzi auspicabili i rapporti fattivi con tutto quanto di vivente sussiste intorno a noi.
Lo stesso fanno gli animali, e le piante intorno a noi: perciò questo è un libro per tutti ma va preso con serietà, tante cose insegna soprattutto a noi “grandi”. Per esempio, che:
“Ho imparato che il fatto che una vita possa essere banale e al tempo stesso eccezionale, è qualcosa che sta negli occhi di chi guarda”.

Bambini, animali, piante, agiscono sempre secondo natura: hanno compassione per noi umani adulti, sono sodali e partecipi, si commuovono senza giudicare, sanno che se un dolore non si può alleviare, serve almeno rispettarlo, anche se è la sola cosa che puoi fare.
Ognuno a suo modo, secondo propria indole e propria natura, deve vivere la propria vita, con tutte le esperienze necessarie, come lo richiede l’esistenza, senza stare troppo a lambiccarsi il cervello.
Lo sintetizza così il saggio cane pastore Rocky:
“…Forse non sarà mai bravo a schivare uno spintone, ma le farfalle ed i fiori di primavera renderanno indelebili tutti i colori del suo cuore e gli faranno sentire meno doloroso ogni livido della vita…Si acciaccherà, ma non si romperà”.
Un bambino desidera che i parenti in visita gli rechino in omaggio un giocattolo, è naturale, com’è naturale per Otto, un cane goloso di pasticcini, soffrire di dissenteria, o per Banzai, un gatto esigente, pretendere sabbia asciutta nella propria lettiera.
Un uomo invece amministra con naturalezza solo i sacramenti dell’assurdità.
Anna dialoga con il cane Otto, con il gatto Banzai, con il ficus di casa, con i platani dei viali, con i passerotti. Il suo non è un comportamento assurdo, nemmeno un superpotere, semmai una forma estrema di sensibilità e attenzione per l’altro. Quello che manca a gran parte degli umani.
I superpoteri sono altri, altri sono i supereroi:
“…essere gentili ed avere tanta fantasia non sono poteri soprannaturali, ma qualità che per essere mantenute tutta una vita richiedono un coraggio da supereroe”.
Per questo, animali e piante sono naturalmente, loro sì, supereroi. Insospettabili.

 

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