ROMA CITTÀ APERTA – recensione del romanzo “Come una storia d’amore” – di Nadia Terranova

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La fortuna non è solo una questione di talento, anche di tempi giusti. Coincidenze giuste, nel momento più opportuno.

di Bruno Izzo

Per esempio, in queste giornate in cui è stata annunciata la rosa di nomi finalisti per l’assegnazione dell’imminente, e importante, Premio Strega 2020, attorno ai quali già divampano discussioni su quale sia più meritevole di fregiarsi della palma del vincitore, ho scoperto da poco questo romanzo, “Come una storia d’amore” di Nadia Terranova, che è stato finalista al Premio Strega 2019.
A mio modesto parere, fosse stato in concorso oggi, avrebbe vinto a mani basse.

Perché è per prima cosa per davvero un bel libro, mi correggo, non è un romanzo, ma una raccolta di racconti.
Racconti brevi, intensi, incisivi.

Un centinaio di pagine, per una decina di racconti.
Con una forte connotazione autobiografica, che vedono donne come personaggi principali, e la città per eccellenza, Roma, e i suoi quartieri, come protagonista assoluta.
Roma, città d’accoglienza e d’adozione, adottiva, adottante, adottata dalla scrittrice messinese.
Di che parlano in sintesi i suoi racconti?
Di amore naturalmente, che altro, trattandosi della città della grande bellezza?
Amore e bellezza vanno di pari passo, quello che si ama è bello, perché la bellezza è negli occhi di chi ama.
Amore quello vero, spontaneo, sincero, e perciò di maggior valore.

Non quello banale tra una coppia; ma quello che più ci è mancato nei giorni di lockdown, in cui siamo stati forzatamente rinchiusi in casa, abbiamo perso nozione e contezza delle nostre città, delle nostre strade, dei nostri spazi, e delle cose della nostra quotidianità.

Amore per le cose della vita, per una città e i suoi abitanti, non necessariamente quella nativa e per i soli indigeni, amore per quanto ci accade, per quanto facciamo.
Amore per cose semplici, e sorprendenti; quello per esempio che, nella novella iniziale, “Via della Devozione”, descrive il quotidiano di una coppia di anziani, antichi, retrogradi, medievali, di altra epoca e altra mentalità.
Che stanno insieme da una vita, e insieme restano a forza, finanche quando uno dei due è vittima dei malanni dell’età e l’altro, per quanto in modo burbero, gli resta vicino, sempre attento, accorto, premuroso.
Quello che li lega è amore, la devozione, la stessa empatia umana che li porta a spendersi per i dignitosi adempimenti funebri di uno sconosciuto indigente, per di più trans e solito a prostituirsi, morto ammazzato nell’esercizio della professione.

Quanto di più lontano quindi dalla propria mentalità antica ma vicinissima alla loro empatia esistenziale, la stessa “devozione” all’umanità semplice e intensa a un tempo, che fa da sempre collante alla loro unione.
Amore, declinato ancora con un altro esempio, amore per…un corso di lingue; che ti permette insieme anche di riscoprire, di recuperare qualcosa che non hai vissuto appieno a suo tempo, “Il primo giorno di scuola”.
Un corso di lingue, di un idioma insolito, per esempio l’ebraico, studiato sul campo, nel Ghetto Ebraico. Un modo come un altro per riempirti l’esistenza in una città enorme, insolita, affascinante, che come tale non ammette solitudine o apatia.

“L’ebraico è l’unico caso di lingua morta e poi risorta di cui ho notizia, e paradossalmente appartiene a un popolo che non crede nella resurrezione”.
Anche per questo, ha una sua magia, un incanto particolare per chi ebreo non è; e nemmeno è di Roma, e non ha a chi far appartenere il proprio cuore in stato di temporanea stasi affettiva.

Un corso di lingua, perché per non rendere false ed effimere le cose dell’esistenza, servono parole:
“…se avessimo avuto una parola come met, l’avrei preferita a morte, anche perché – ci spiega la nostra insegnante – se si aggiunge una “e”, emet, dalla morte si ottiene la parola verità”
Amore finanche per chi non si conosce. Ne “La felicità sconosciuta” si narra di come ci si sente sconosciuti e disconosciuti in una grande città, una capitale. E di come sia facile allora sedersi a un computer, incuriosirsi, interessarsi, invidiare una Sconosciuta trovata su un social network.
Una Sconosciuta come possiamo trovarne tante, tanto sono comuni e diffuse sui social:
“…la Sconosciuta ha solo problemi dicibili, confessabili, non ha una vita segreta, la Sconosciuta non si è sposata. La Sconosciuta ha genitori vivi,un fratello minore, un’amica del liceo, tutti vivi alle sue spalle e tutti vivi intorno a sé, ha compagni di strada fedeli, colleghi di lavoro medi, ha un lavoro normale…”.

Mi chiedo, vi chiedo, quanti profili di Sconosciuti abbiamo occhieggiato sui social, nei giorni di quarantena, fosse solo per passare il tempo?
Se poi vivi un’esistenza tormentata, con problemi di mancanza affettiva e lavorativa, per compensazione a una Sconosciuta ti affezioni, e tanto.
Ne condividi l’esistenza, ne avverti con dolore la mancanza.
Amore…come in “Roma in uscita”, amore per una città che non è la tua, non ci sei nata, non sei indigena, e che però ti ha dato tanto, quando ci sei arrivata, ti ha fatta sentire felice, fiera, orgogliosa, perché: “…A me non importava di vivere bene, mi importava di vivere al centro del mondo”. E però…e però gli amori finiscono, e dal tuo amore divorzi. Succede. E succede di pensare: “Penso con nostalgia a quando avevo certi orizzonti e penso alla città come un corpo mostruoso che mi ha cacciato fuori o divorata, e forse è la stessa cosa.”

Sic transit gloria mundi, a Roma come altrove. E quindi? E quindi fare come in “Lettera a R.”:
“L’unica è raccontarsela come una storia d’amore, perché all’inizio nessuno pensa che pure quella parola, amore, si esaurirà. “
L’amore questo ha di bello, che come tale difficilmente è eterno, ma è ripetibile.
Rendo il concetto?
Nadia Terranova ha scritto dei racconti che sono piccole gemme, dei boccioli di rosa, semplici, teneri, delicati, e proprio per questo incantevoli.
Piccole bomboniere raffinate, sogni evanescenti, gingilli graziosi, fragili, struggenti,
Con una scrittura chiara, priva di fronzoli e iperboli, mostra in maniera intensa un modo comune di scorrere l’esistenza, come una storia d’amore.

Sono grato a Isabella Borghese, per avermi regalato questo libro: certe persone sono come i buoni libri, e la sana cultura, bellissime.

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