Raramente la copertina di un libro ha davvero a che fare con il suo contenuto, la storia ivi narrata.
“Tutto sarà perfetto” di Lorenzo Marone è una di quelle felici, o fortunate, che dir si voglia, eccezioni.
Un bel primissimo piano di sua maestà il mare: con uno scorcio di cielo turchino, un gabbiano volteggiante, qualche sparsa nuvoletta ovattata di un bianco sporco perchè increspata dai riverberi della luce solare, la linea diritta dell’orizzonte su cui si staglia il profilo di terre emerse, isola o promontorio.
La scena la domina soprattutto lui, il mare, di un blu scuro, quel tono di blu profondo che prendono le acque marine allorchè ci si allontana dalla costa, una tonalità chiara dello scuro blu che incanta e inquieta insieme, secondo il momento in cui lo recepiamo.
Quello che rende al meglio l’immagine, e caratterizza la storia, è la cornice: potrebbe essere, assai più prosaicamente, lo scorcio del mare visto dall’oblò di un natante che si allontana o si avvicina all’approdo, comunque bene al largo, ma potrebbe anche trattarsi dello scorcio inquadrato dall’obiettivo di una macchina fotografica.
Neanche tanto sofisticata, una comune vecchia Olympus a pellicola, ad esempio, un tocco retrò, vintage.
In estrema sintesi, di questo parla l’ultimo, a mio modesto parere bellissimo, romanzo dello scrittore napoletano; forse il migliore tra quelli fin qui pubblicati, comunque il romanzo della sua piena maturità artistica. Marone racconta del mare, dei viaggi per mare, di isole, di foto, di scatti, di attimi immortalati.
Ma non solo, naturalmente: c’è tutto un oceano di sentimenti in questa storia.
La vita di ognuno è costituita, essenzialmente, da emozioni e sentimenti che guidano le nostre azioni, e questo di Marone è un racconto di vita, perciò di tenerezza, turbamenti, stati d’animo, trabocca letteralmente di delicatezza e di sensibilità.
Con il modus operandi consueto di Marone: non è lo scrittore che racconta, nemmeno per l’interposta persona del protagonista, ma sono i personaggi che declamano, direttamente o meno, ciascuno se stesso, il loro agire, ed i motivi delle loro azioni.
E non lo sanno fare altrettanto bene tutti gli scrittori, è una questione di sensibilità, non di tecnica.
Nel romanzo i protagonisti vivono le loro vite, le loro emozioni, e i sodali, gli amici, i parenti stretti, la moglie, il marito, i figli, finanche il cane di famiglia, le scelte di vita altrui spesso non li intendono al momento nella loro interezza, o non vogliono intenderli: capita a tutti noi.
Per cui trascorriamo la nostra esistenza a ricamarci sopra nel ricordo della nostra vita trascorsa, il più delle volte ad accusare, a colpevolizzare e colpevolizzarci, a litigare, a mostrare livore, ostilità, incomprensione anche verso coloro cui per definizione stessa dovremmo mostrare, e nutrire, essenzialmente amore.
Viene però per tutti un momento della vita, spesso scanditi da simboliche età anagrafiche, in cui si “tirano i bilanci” della propria esistenza: e magari la raggiunta maturità ti fa vedere le cose diversamente, magari te li mostra nella prospettiva dell’altro, in cui a suo tempo coscientemente o meno non sei stato capace di immedesimarti, non lo hai capito, per superficialità, per ignoranza, per comodo non hai voluto approfondire.
Allora ti rendi conto che forse le cose non erano come ti apparivano in quei giorni lontani, forse avremmo potuto reagire meglio, cercare di capirci e di capirsi, trovare quello che unisce, e non ciò che divide, e la nostra esistenza, forse, o forse no, sarebbe stata assai più lieta, assai più ricca di momenti sereni, quieti, pacifici, perché no, autentici momenti di felicità.
In una sua celebre intervista rilasciata alla nota giornalista Oriana Fallaci, il principe Antonio de Curtis, il grande Totò, rispondeva, alla fatidica domanda: “Lei è un uomo felice?” che la felicità è un breve, e raro, momento di quiete e di pace nell’esistenza, tra due momenti assai più frequenti, e di lunga durata, di quotidiana tribolazione. “Signorina, la felicità è fatta di attimi, anzi di attimini di vita” esclamava Totò.
Ed è proprio così: e quasi sempre quegli attimi ce li facciamo sfuggire dalle dita, li perdiamo, non li sappiamo riconoscere al momento, apprezzarli, goderceli se non forse dopo, magari molto dopo, che li abbiamo vissuti.
Con gli inevitabili rimpianti, recriminazioni, e ulteriore amarezza nell’esistenza quotidiana.
Come sarebbe stata diversa l’esistenza di tutti noi se, in dato momento passato, avessimo agito con maggior acume, discernimento, e soprattutto con amore anziché astio, con comprensione anziché ostilità, con empatia invece di indifferenza: il bene rende lieti, è propedeutico alla felicità.
Ci saremmo guadagnato assai più numerosi “attimini” lieti, ne avremmo goduto i benefici effetti anche nel presente, come un tesoro capitalizzato, avremmo usufruito degli intereressi.
La nostra esistenza è come il mare, e come il mare la navighiamo: in acque tranquille, con porti sicuri e insenature tranquille dove rifugiarci in caso di burrasca, o sballottati di qui e di là dalle onde nelle tempeste, alcune prevedibili, avendo sbagliato rotta, altre improvvise, violente, inesorabili, o ancora stagnanti nella bonaccia.
Il mare è come la vita, può essere bello o pericoloso, puoi navigarlo su nave o barca bene attrezzato o su una zattera, puoi immergerti con maschera, bombole, pinne e non vedere niente, o semplicemente ad occhi nudi scorgere chiaramente un polipo perfettamente mimetizzato nella sua tana di pietre e fango; puoi tenerti faticosamente a galla, o imparare a nuotare senza che nessuno te lo insegni, o anche affogare miseramente pur essendo un esperto pescatore o un nuotatore provetto.
Il mare come la vita è maestoso: ma dopotutto è fatto di acqua, elemento essenziale come l’amore per la nostra esistenza, come il liquido amniotico da cui veniamo, e alla fine è pur sempre costituito da moduli progressivamente decrescenti, da gocce di acqua, gocce di mare.
E ciascuno di queste gocce, le stesse che adornano la nostra pelle scivolandoci addosso quando riemergiamo dal mare, costituisce un attimo, un attimino di felicità.
Assaporare una goccia di vita dissetante, dolcemente con le labbra riarse, prima che evapori, non è da tutti. Ed è un’emozione: labile, ma profonda.
Sullo sfondo di una stupenda location, l’isola di Procida, una delle perle dell’arcipelago campano dopo le più famose Capri e Ischia, Marone segue i monologhi, ora sarcastici ora malinconici, ora sentimentali ora di stizza, interni a sé o estrinsecati agli altri protagonisti, del quarantenne Andrea, fotografo di moda frustrato nelle sue più elevate ambizioni artistiche.
Costretto dalle insistenze della sorella, Andrea, nativo dell’isola, torna a Procida dopo anni di lontananza dai luoghi e dalla famiglia, per occuparsi degli ultimi giorni di vita dell’anziano padre, ex capitano di navigazione di lungo corso.
Sarà l’occasione per il giovane di ritrovare volti, persone, emozioni e ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza prima della maturità; con il più classico dei dejà vu, Andrea compie il fatidico passaggio di un primo bilancio della propria esistenza, riannoda i fili affettivi troppo spesso sfilacciati da una cecità momentanea, la stessa che prende chi guarda controsole, senza capire che basterebbe spostare la prospettiva all’ombra per una inquadratura diversa.
Poiché la vita, essenzialmente, è tale e pienamente operativa alla luce: la stessa che si riverbera sul mare, segue le onde e le mareggiate, si frantuma in mille pietruzze sperluccicanti nella schiuma.
La luce non si riflette su tutto nello stesso modo: occorre cogliere la giusta luce, il modo perfetto con cui la luce incide sulle cose.
Tutti possono vedere il mare da un oblò, ma immortalare il momento in cui il mare trova nella giusta luce l’assetto ottimale, è un attimo precipitosamente fuggevole.
Va preservato gelosamente solo con un click, che lo salva e lo fissa per sempre nella nostra memoria. E nel nostro cuore. E lo trasforma in un sentimento felice.
Perché la felicità, diciamolo, è rara, va preservata, rischia di perdersi come gocce nel mare.
Ma Andrea ci arriva: la vita, perché sia perfetta, necessita di una giusta prospettiva, è una questione di luce, e la giusta luce coglie tutti, se solo ti predisponi con un atto di sensibile volontà a volerla, a coglierla, mentre irradia qualsiasi evento, sempre nuovo e sempre antico insieme: da un vecchio cane alla silhouette di una donna in dolce attesa.
La felicità è fatta di attimi di breve durata…che sono ripetibili, però. Se lo vogliamo, se con pazienza, amore, empatia e conseguente sensibilità inquadriamo i fatti nella giusta prospettiva.
Con la luce giusta, tutto sarà perfetto
http://www.lorenzomarone.net/
di Bruno Izzo