Recensione del romanzo “L’estate fredda” di Gianrico Carofiglio

0
4.114 Numero visite

Il tema del romanzo “L’estate fredda”, opera ultima di Gianrico Carofiglio, è semplicemente la giustizia, elemento edificante e basilare della società civile, che può definirsi tale proprio in virtù di questo indispensabile principio concreto e morale insieme. Un bel libro, direi ottimo nel suo genere e nelle sue intenzioni, nella forma del giallo e del poliziesco, ben scritto, in stile discorsivo, sintetico, con un ben preciso intento etico, che induce alla riflessione.

Bruno Izzo

Carofiglio riprende qui un discorso già intrapreso nel suo romanzo di poco precedente a questo, “La regola dell’equilibrio”, discute ancora una volta di giustizia, con sapienza e diretta competenza, dati i suoi trascorsi di magistrato. Tratta di come la legge sia comunemente intesa dagli amministrati, di quali indispensabili requisiti di grande levatura morale debbono essere provvisti coloro che la esercitano e la amministrano. Non può esistere giustizia, afferma Carofiglio, se non sono essi stessi giusti coloro che la giustizia la esercitano, l’applicano e la fanno rispettare. Come per coloro ad esempio che lavorano nella sanità, anche per gli operatori di giustizia non è ammissibile superficialità, negligenza e assenza di rigore e disciplina personale.

Non è logico, né può risultare accettabile e credibile stabilire regole di comportamento, applicarle e pretenderne il rispetto, se coloro che per primi queste regole hanno legiferato, e gli altri che le applicano al vivere comune e ne sanzionano l’inosservanza, non siano essi stessi tenuti per primi al rispetto dei ruoli e di quelle norme, non siano irreprensibili, e di esempio di rettitudine agli altri del consorzio civile. L’agente di pubblica sicurezza, il carabiniere, il giudice, il legiferatore, tutti coloro che a vario titolo sono dalla parte “buona” della legge, hanno la personale responsabilità giuridica e morale di essere equi, onesti, obiettivi, imparziali, al di sopra delle parti, pena la credibilità dell’intero sistema giudiziario, e di converso della serena convivenza tra gli associati nella società civile. Il comune senso della giustizia vuole quindi che i buoni siano buoni davvero, spesso fino al sacrificio personale, che li trasforma in eroi; non a caso la vicenda si snoda sullo sfondo dei tragici avvenimenti che portarono all’eccidio per mano mafiosa dei magistrati Falcone e Borsellino, purtroppo loro malgrado uomini retti e eroi della giustizia per definizione.

La storia è ambientata a Bari, in una calda e torrida estate, dove svolge il suo servizio il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, piemontese trapiantato a sud, che si trova a dover fronteggiare, oltre agli usuali problemi di mantenimento dell’ordine pubblico, di presidio del territorio e repressione della delinquenza comune, anche gli scontri e le faide tra bande mafiose in lotta per il predominio sugli affari loschi del capoluogo. Il senso della giustizia del cittadino comune non vede in questi ultimi fatti violenti di assassini, vendette, lupara bianca, ecc. della criminalità organizzata una precisa devianza criminale, trattandosi di protagonisti essi stessi delinquenti, della serie “meglio che si ammazzino tra di loro”. Questa logica non vale però per il maresciallo Fenoglio, carabiniere vecchio stampo, non tanto “nei secoli fedele” ma fermamente convinto che la legge sia uguale per tutti, anche se per la sua applicazione non è propriamente reato agire “cum grano salis”, vale a dire con un minimo di buon senso e di umana compartecipazione.

Fenoglio sa perfettamente che una escalation criminale, in quanto tale, è un evento fuori da ogni regola civile, di crimine efferato e privo di scrupoli, non distingue tra buoni e cattivi, tra innocenti e affiliati, per cui si impegna personalmente con i suoi uomini per una accorta vigilanza su fatti e persone della sua giurisdizione. Quando però, nel corso di queste lotte criminali, viene rapito un bambino, successivamente ritrovato cadavere, colpevole unicamente di essere figlio di un boss locale, le cose virano al peggio, l’indignazione per un tale delitto coinvolge tutti, onesti cittadini e delinquenti abituali, raggiunge il parossismo, proprio perché l’innocenza della vittima svolge un ruolo “morale” di comunione. Il senso della giustizia comunemente innato pretende la giusta, rapida e esemplare punizione, sic et simpliciter, di chi si è macchiato di un simile delitto, identificato rapidamente in un boss emergente, dapprima braccio destro ed in seguito rivale e concorrente del capomafia padre del piccolo. Senonché la cosa non convince del tutto il maresciallo, in quanto il boss emergente presunto colpevole, costituitosi alla giustizia e disposto a collaborare, di tutto si autoaccusa, e di reati gravissimi, ma respingendo in maniera assoluta, quasi moralmente sdegnato malgrado il suo status malavitoso, di essere responsabile del rapimento e dell’assassinio del piccolo innocente.

Fenoglio inizia perciò, con tenacia sabauda pari alla cocciutaggine meridionale, un supplemento di indagini che lo porta alla verità grazie al suo fiuto, al suo intuito ma in particolare al suo essere riconosciuto da molti, non solo dai suoi colleghi, ma anche dagli antagonisti del campo opposto, uomo giusto, retto, degno di stima e di fiducia, così come sono riconosciuti i veri, autentici servitori della giustizia, con cui si può perciò lasciarsi andare a rilasciare informazioni confidenziali, senza per questo sentirsi tacciati di infamia. La verità ha un sapore amaro, per un uomo come Fenoglio, un uomo qualunque, uno come tanti, semplicemente onesto e fedele ai propri principi di lealtà e onestà, la verità che verrà a galla ha un effetto devastante e destabilizzante, provoca una rottura degli equilibri che già aveva devastato l’anima dell’avvocato Guerrieri in un romanzo precedente. L’estate calda, torrida, si trasforma allora in un’estate fredda, ciò che viene fuori agghiaccia, devasta, determina un contesto di assoluta sfiducia negli uomini e nel sistema della giustizia, una condizione che richiama il “Quis custodiet ipsos custodes?” di Giovenale.

Un paese civile necessita della giustizia, e la giustizia non pretende eroi. Sono uomini come Pietro Fenoglio, come Guido Guerrieri, come i tanti poliziotti, carabinieri, giudici che ogni giorno agiscono con serietà e onestà, a restituire la speranza, a riabilitare la giustizia, ad affermare la verità, così come facevano Falcone e Borsellino. Tutti costoro non sono eroi, sono uomini come tanti, semplicemente più di tanti, onesti e fedeli ai principi elementari di giustizia. Gente così, per nostra fortuna, esiste davvero. Carofiglio lo sa, e lo testimonia di persona

L'informazione completa