Timothy Shriver dal 5 al 7 ottobre partecipa in Vaticano al convegno «Sport at the service of humanity» su sport e fede. Nel libro pubblicato da Itaca Edizioni racconta l’intuizione di Special Olympics, l’organizzazione di cui è presidente fondata negli anni Sessanta da sua madre Eunice Kennedy
luciano zanardini
«Ho partecipato alla mia prima gara pochi anni fa e ovunque guardassi vedevo solo persone come me. Nessuno mi affibbiava dei nomignoli. Nessuno si divertiva alle spalle degli altri. Ho vinto una medaglia e ho passato il più bel giorno della mia vita. Questa è una cosa davvero speciale e, ve l’assicuro, è la cosa migliore che mi sia mai capitata». Loretta Claiborne (classe 1953) si è sentita amata e ha vinto, con la maratona, una società che considerava una vergogna avere un figlio con una disabilità intellettiva; «ha ancora delle difficoltà a leggere, ma nella vita nessuno può darle lezioni». Insieme a Donal Page, a Marty Sheets e Daniel Thompson è tra i tanti protagonisti di “Pienamente vivi. La scoperta della cosa più importante”. Le loro storie scorrono veloci così come i pregiudizi. L’autore Timothy Shriver spiega cosa significa dedicare la vita per qualcosa che conta veramente, perché «la gloria di Dio, diceva Ireneo, è l’uomo pienamente vivo».
Dio e la fede nelle cose semplici ritornano più volte in questo testo. Ha avuto la fortuna di incontrarlo tra gli emarginati, tra le persone etichettate come inabili quando i termini «ritardato» o «ritardo mentale» erano accettati dal punto di vista medico e ritenuti politicamente corretti. L’amore è il filo conduttore di queste pagine che aprono alla speranza, perché è anche grazie allo sport che la società ha abbandonato i pregiudizi. Oggi Shriver, pedagogista e produttore cinematografico, è presidente di Special Olympics, l’organizzazione ideata nel 1968 dalla madre Eunice, che raccoglie cinque milioni di atleti con disabilità intellettiva in 170 Paesi.
Il racconto autobiografico parte dalla storia della zia Rosemary Kennedy. Prende in esame anche una nazione, gli Stati Uniti, e una famiglia (la dinastia Kennedy) impegnata nella politica attiva. La figura di Rosemary ha influenzato la sorella Eunice che nell’estate del 1962 trasformò il suo giardino di casa in Camp Shriver per fornire ai giovani con disabilità intellettiva uno spazio in cui divertirsi e sentirsi partecipi. «Il suo scopo era insegnare agli altri una lezione che lei stessa aveva appreso da Rosemary durante l’infanzia: le persone con disabilità intellettive sono esseri umani, meritevoli di amore, di fiducia e di essere accettati così come sono». Non era certamente un approccio convenzionale al tema, basti pensare che fino al 1960 si utilizzava un altro metodo per «curare» le persone: la lobotomia. Rosemary nel 1941, dopo aver subito l’operazione, fu ricoverata in un istituto cattolico per malati cronici: divenne un segreto di famiglia. Finita la guerra, gli altri fratelli cominciarono a inseguire le loro carriere, mentre sulla sua sorte scese uno strano silenzio. E 20 anni dopo il fratello John giurò come 35° presidente degli Stati Uniti.
«Oggi sono convinto – scrive Timothy – che Rosemary sia stata una fonte essenziale di quella ventata di genialità politica che i miei zii hanno portato nella vita pubblica, un’onda che ha cambiato la storia di una nazione. Credo che fu occupandosi di lei che lui e i suoi fratelli sentirono di poter chiedere agli altri di dare, avendo conosciuto le gioie del dare. Credo che fu giocando con lei che impararono il significato profondo della fede in cui erano stati allevati. Credo che fu sentendo la sua frustrazione e la sua solitudine che capirono quanto sia terribile la paura di rimanere esclusi e che impararono a combatterla».
L’11 ottobre 1961 il presidente Kennedy annunciò la creazione del primo Panel presidenziale sul ritardo mentale della storia. Ma «nel 1962 non c’era ancora, a livello scientifico o politico, un’idea chiara e condivisa di che cosa esattamente le persone con disabilità intellettive fossero in grado di fare. Potevano svolgere un ruolo nella società, al di fuori degli istituti? Potevano stringere amicizia, fare sport, innamorarsi, lavorare? Nessuno lo sapeva. Sempre in quell’anno Eunice scrisse un articolo per il «Saturday Evening Post» in cui ammetteva che in tutte le foto di famiglia mancava sempre una persona: Rosemary, la sorella «mentalmente ritardata». Così quando ricomparve, «sia la sua famiglia sia il suo Paese ebbero una possibilità di guarire dalle proprie ferite». Oggi nel mondo c’è ancora molta strada da fare, se è vero che solo in Italia le persone con disabilità intellettiva sono circa un milione e 300mila, ma quelle che partecipano al programma di Special Olympics sono poco più di 16mila.
Timothy Shriver, «Pienamente vivi. La scoperta della cosa più importante» (titolo originale, «Fully alive: discovering what matters most by Timothy Shriver»), Itaca Edizioni, pp. 337, euro 18,00