Trento, 10 maggio 2018 – Non c’è lingua e non c’è epoca in cui non si sia giocato con le parole: troviamo giochi di parole nei testi più solenni di religioni, letterature, filosofie. Nell’ambito della mostra “Genoma Umano. Quello che ci rende unici” la metafora linguistica diventa la chiave per la comprensione di concetti scientifici complessi che riguardano la nostra vita e noi stessi. Nella narrazione della mostra, infatti, ricorrono numerose analogie tra il “linguaggio umano” e il “linguaggio del genoma”, tanto da decidere di dedicare al linguaggio, anche il secondo degli appuntamenti collaterali della mostra, il 18 maggio alle 20.30.
Protagonista dell’incontro il saggista ed enigmista Stefano Bartezzaghi, autore del libro “Parole in gioco”, e la ricercatrice e giornalista Adriana Albini. Modera il giornalista Paolo Ghezzi. L’evento sarà tradotto in LIS (lingua italiana dei segni). È consigliata la prenotazione al numero 0461.270311.
Se, come suggerisce Bartezzaghi, per il linguaggio umano “Capire quando una parola giochi e quando faccia sul serio non è facile, e forse non è neppure del tutto sensato”, per il linguaggio del genoma sembra invece indispensabile che la ricerca si impegni a comprendere significati, ambiguità e variazioni. Nell’attuale era “post-genomica”, focalizzata sulla funzione e la plasticità del materiale genetico, la comprensione di questa “lingua tutta da capire” lascia intravvedere nuovi scenari per dare risposte e trovare soluzioni a importanti questioni sulla biologia umana, con l’obiettivo di vivere a lungo e in buona salute.
La metafora del linguaggio all’interno della mostra GENOMA UMANO
All’interno della mostra Genoma Umano i punti nei quali si fa ricorso alla potente metafora del linguaggio sono numerosi. A cominciare dal prologo stesso nel quale l’attuale, ma ancora parziale, conoscenza sul genoma umano è proposta al pubblico con una rappresentazione multimediale. Basata su suoni e fonemi di difficile interpretazione e proiezioni di combinazioni di lettere, con senso compiuto e non, l’exhibit gioca con le lettere (A, C, G e T), iniziali delle quattro molecole fondamentali del DNA.
Proseguendo sul filo di ‘Una lingua tutta da capire’ grazie al linguaggio sono introdotti argomenti importanti, quali la struttura del genoma, i vari elementi che lo costituiscono e la porzione che viene effettivamente trascritta e tradotta.
Un esercizio enigmistico, ‘Il mutastorie’ è stato appositamente realizzato per illustrare le mutazioni genetiche e proporle come base delle differenze tra individui. Questo “gioco” dimostra come semplici modifiche possano cambiare il senso di un racconto in modo più o meno significativo. Nell’esercizio enigmistico il pubblico si diverte a spostare, invertire, eliminare e duplicare lettere e parole producendo parole e frasi diverse, sensate, buffe, ambigue o prive di senso. Costruisce così storie diverse.
L’analogia con il nostro genoma è molto forte: il DNA non è un’entità stabile ma è soggetto a una serie di cambiamenti ereditabili e non. Alcune mutazioni riguardano la struttura primaria del DNA, a livello puntiforme (sostituzioni, inserzioni, delezioni), altre a livello più ampio (amplificazioni e duplicazioni geniche, delezioni di regioni cromosomiche, traslocazioni, inversioni, ecc.). Inoltre, il genoma possiede le istruzioni per la vita sotto forma di frasi, composte da parole prodotte dalle combinazioni di un alfabeto di quattro lettere (A, C, G e T), combinazioni che possono avere o meno un senso e possono subire modificazioni che creano nuove combinazioni.
Ma esiste un testo “giusto”? In realtà ogni variante ha una propria dignità e non esiste un vero “modello di riferimento” di cui le varianti prodotte sono versioni imperfette.