MILANO – Introduzione di nuove parole come “twittare, taggare, spoilerare”, uso sempre meno frequente della puntegiatura, con conseguenza che gli italiani sono gli ultimi per capacità di comprensione di un testo. E’ questo in sintesi lo stato della lingua italiana secondo il professor Claudio Marazzini, linguista, saggista e presidente dell’Accademia della Crusca. Con l’uso sempre più frequente dei social e dei mezzi di comunicazione istantanea, mai come nell’ultimo periodo la lingua italiana è in continua e costante cambiamento.
Tutto ciò rappresenta un pericolo o un’opportunità per la nostra lingua italiana? Ce lo spiega il presidente dell’Accademia della Crusca in questa intervista, in cui fornisce anche i suoi consigli per un uso corretto dell’italiano
Come si sta evolvendo la lingua italiana oggi?
Si sta compiendo il processo finale che si è avviato con l’Unità politica d’Italia, dal 1861 in poi: la lingua della letteratura ha dovuto fare i conti con le necessità di un popolo reale, con la burocrazia, con la conversazione ordinaria, con gli usi familiari e anche aberranti o locali. Inoltre ora agisce con molta forza il confronto internazionale, che si manifesta (da noi come altrove) in un profluvio di anglicismi. Le forme colloquiali e informali sembrano spesso più gradite al pubblico, anche perché il livello culturale degli italiani è in genere piuttosto basso, e il livello basso si unisce a una forte mancanza di autocritica. I modelli televisivi agiscono con prepotenza.
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Facebook, Twitter e gli altri social. Quali nuove parole sono entrate nell’utilizzo comune a causa dei social network?
Twittare, taggare, spoilerare, hashtag… però restano per ora parole confinate in un uso piuttosto limitato e riguardano fasce di parlanti di età ben definita. Prenda una parola come hashtag: credo che la sua fortuna sia legata anche alla corsa dei giornalisti, in particolare di quelli televisivi, che sfruttano queste novità in maniera molto intensa. Invece le novità più durature sono altre, per esempio lo spazio sempre maggiore della colloquialità informale, che ha riflessi anche nella sintassi.
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Quali sono i cambiamenti e le evoluzioni dal punto di vista sintattico invece? Penso ad esempio ad un sempre meno frequente utilizzo della punteggiatura nei lunghi periodi, dovuto ai nuovi mezzi di comunicazione istantanea…
La punteggiatura non è ancora la sintassi. La punteggiatura segna più o meno bene la sintassi, ma la sintassi è qualche cosa di più astratto e di meno convenzionale. Non c’è dubbio su quello che lei dice: la punteggiatura tende a diminuire nell’uso dei poco colti e anche dei medio-colti; dilanga la virgola tra soggetto e verbo, spariscono i segni di punteggiatura intermedi, per esempio il punto e virgola, perché l’utente estremizza, e non trova spazio per inserire nulla che si collochi a metà tra il punto e la virgola; lo scrivente medio concepisce solo la pausa forte e la pausa debole: insomma, semplifica a oltranza, in modo rozzo. La punteggiatura, dunque, segnala un problema di sintassi, perché non viene più usata per segnare la sintassi nella sia articolazione, ma serve solo per andare a orecchio con pause più o meno probabili.
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Con l’uso sempre più frequente dei social e dei mezzi di comunicazione istantanea, mai come nell’ultimo periodo la lingua italiana è in continua e costante cambiamento. Un pericolo o un’opportunità per la nostra lingua oggi?
Entrambe le cose. Dipende dal livello dell’utente. Abbiamo sempre la spada di Damocle del famoso rapporto PIAAC 2014, quello che rivela la terribile verità: gli italiani sono gli ultimi per capacità di comprensione di un testo, almeno considerando i cittadini dei i paesi OCSE sottoposti all’inchiesta. Non è un bel primato, le pare?
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Quali sono, infine, i suoi consigli per un uso corretto dell’italiano oggi?
Cercare di diventare colti. Non considerare la scuola solo un luogo di svago e non ritenere l’italiano solo un impiccio. Non sopravvalutare la conoscenza turistica (cioè bassa) di qualche lingua straniera, credendo che un po’ di inglese sia la panacea. Leggere, soprattutto leggere: perché gli italiani non leggono mai, e soprattutto non leggono mai libri seri.