Non lasciamo sola la Crusca che boccia i termini tecnici inglesi. Così un fondino apparso sul magazine targato CTIM Prima di Tutto Italiani mette l’accento sul richiamo che fa oggi l’Accademia.
“In Italia si è scelta una deriva grammaticale forzatamente filo anglosassone, ma non per una specifica utilità, – scrive il magazine – bensì per moda del momento, che si traduce in sciatteria nel lungo periodo. Il problema non è apparire chiusi al mondo o sordi ad un linguaggio che si deve parlare, giustamente, nelle assise internazionali o in occasione di scambi con l’estero: ma la dolosa eliminazione della lingua italiana condita sempre più fuori luogo da termini stranieri. Il caso del salvataggio bancario si somma al default al cui posto si può benissimo usare il termine fallimento, o alla stepchild adoption in discussione al Senato proprio in questi giorni”.
E aggiunge: “Anche solo per favorire quei deputati che in rete stanno subendo sfottò di ogni tipo per la loro pronuncia approssimativa, sarebbe il caso che il legislatore stesso limitasse l’uso dell’inglese finanche nei ddl in discussione. Per queste ragioni il richiamo della Crusca non resti lettera morta, anzi. La politica e perché no anche i mezzi di informazione si facciano paladini della lingua italiana, diventata merce rara dalle nostre parti ma apprezzata al cubo negli altri continenti”.
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