In un mondo pre-pandemico, parleremmo tutti della gioia e dell’adrenalina che derivano dal guardare i migliori atleti del mondo competere.
a cura di Gian Luca Pasini
(Traduzione dell’articolo di fondo pubblicato su UsaToday)
Molte persone, però, sono rimaste colpite dal fatto che i Giochi Olimpici siano stati rinviati di un anno. Per me, sono i Giochi Paralimpici, originariamente programmati per iniziare il 24 agosto, che mi hanno riempito di attesa e ora mi lasciano sgonfia. Sono cieca, mi alleno da anni per qualificarmi ai giochi di Tokyo. Non saprò se ce la farò a staccare il biglietto.
Dato che ho tempo per riflettere sui giochi, non posso fare a meno di chiedermi se abbiamo davvero bisogno di questo evento. In un certo senso questa competizione separata dalle Olimpiadi sembra uno spettacolo secondario, un riflesso di una realtà dolorosa: pensiamo ancora alla disabilità come a qualcosa di diverso.
Ho amici paralimpici che detengono record mondiali e medaglie d’oro al collo ma non sono nomi familiari e spesso lottano anche per trovare un lavoro.
La domanda che mi pongo è se non sia ora di unire i Giochi Paralimpici e quelli Olimpici.
I principali atleti paralimpici, tra cui il sei volte medaglia d’oro David Weir, supportano l’idea. In un momento di così tante discussioni sull’uguaglianza, è tempo di porre fine alla segregazione degli atleti disabili dai loro coetanei olimpici, non pensate?
C’è un argomento logistico che non gioca a favore di questa idea. Se uniamo i due eventi, avremmo 15.000 atleti e avremmo bisogno di un villaggio olimpico molto più grande. Inoltre, il completamento dell’evento richiederebbe più tempo. Paradossalmente, ci dovrebbe essere un piano in modo che le Paralimpiadi non perdano visibilità. Altrimenti, è probabile che pochi eventi di disabilità potranno godere della programmazione in prima serata.
Questa dovrebbe essere una considerazione seria. Mi fa pensare a quello che ha detto André Malraux, attivista e scrittore del mio paese d’origine, la Francia: “Senza pubblico, non ci sono eroi”. Gli sponsor delle Olimpiadi potrebbero dire che non c’è lo stesso interesse nel guardare le gare di atleti con disabilità. Ma io dico che hanno torto.
C’è un grande interesse per i giochi. Le Paralimpiadi di Londra 2012 sono state un successo finanziario. Gli organizzatori hanno venduto 2,72 milioni di biglietti e 11,2 milioni di persone hanno guardato Channel 4 (l’emittente ufficiale dell’evento nel Regno Unito) durante la trasmissione della cerimonia di apertura delle Paralimpiadi. È stato il più grande pubblico del canale nell’ultimo decennio.
Se potessimo trovare modi per superare questi ostacoli e organizzare Giochi Olimpici inclusivi, potremmo inviare un messaggio potente.
Non dimentichiamo che quando le donne si sono iscritte alle Olimpiadi, dovevano esserci cambiamenti, sistemazioni aggiuntive e più tempo a disposizione per i giochi. Alle Olimpiadi di Londra del 1948, ad esempio, c’erano solo 4 donne su 104 atleti. Organizzare gare con 11.238 atleti (come a Rio nel 2016) sarebbe sembrato impossibile, all’epoca.
Quando gareggio in gare di Coppa del Mondo, il nostro evento di solito è subito prima della gara degli atleti normodotati. Riesco a socializzare con i miei idoli, prima di correre. In quei momenti preziosi, mi sento come se fossi davvero parte della squadra nazionale, una atleta d’élite nonostante la mia disabilità. Credo che ciò che è possibile ai Mondiali sia possibile anche alle Olimpiadi. Quando guardiamo indietro, possiamo vedere lunghe forze storiche che ci portano verso società più inclusive; i Giochi Olimpici sono una finestra su questo mondo. L’inclusione di donne, minoranze etniche e atleti LGBTQ ci insegnano qualcosa che possiamo imparare sugli atleti con disabilità.
Charles Catherine è assistente speciale del presidente dell’Organizzazione nazionale per la disabilità (NOD)