Un “Faro” per i disabili e le loro famiglie nel cuore del Kazakistan

L’opera avviata dalla diocesi di Karaganda, guidata dal vescovo italiano Dell'Oro, sfida il destino di emarginazione che grava sui ragazzi con difficoltà. Una mamma: qui le fragilità abbracciate

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Quando l’esistenza diventa sempre più buia, se una luce si accende il buio non ha più l’ultima parola. Per tanti ragazzi disabili e per i loro genitori è successo quando hanno incontrato il Faro, un luogo dove la disabilità non è più un’obiezione ma diventa l’occasione per imparare a conoscere il mistero della vita. Accade a Karaganda, in Kazakistan, dove un’opera caritativa e sociale promossa dalla diocesi è diventata un ambito di accoglienza per tante fragilità e insieme lo spunto per una ripartenza umana. Negli anni sono aumentate le richieste di genitori che chiedono ospitalità per i figli diventati grandi, che a sedici anni terminano la permanenza negli istituti “speciali” e spesso sono costretti a restare “nascosti” in casa, una segregazione che ferisce la loro dignità umana e causa grande sofferenza ai genitori.

La diocesi di Karaganda è guidata dal vescovo italiano Adelio Dell’Oro arrivato in Kazakistan nel 1997 come “fidei donum” della diocesi di Milano e nominato vescovo da Benedetto XVI nel 2013. Ora, per venire incontro alle crescenti richieste delle famiglie, Dell’Oro propone di costruire un grande edificio che ospiterà una serie di attività a favore dei ragazzi disabili: «Sarebbe una significativa testimonianza della carità di Cristo per tutti gli uomini in un Paese a prevalenza musulmana, dove i cristiani sono il 26 per cento della popolazione e i cattolici il 2 per cento», racconta il vescovo, che alcune settimane fa ha scritto una lettera per far conoscere l’iniziativa e lanciare una raccolta di fondi (chi vuole sostenerla può donare all’Associazione Beato Serafino Morazzone – Onlus, codice Iban – IT29V0569622903000004546X93 o scrivere a fam.delloro@gmail.com).

L’attività del Faro era iniziata grazie alla disponibilità di insegnanti e volontari che dedicavano gratuitamente tempo e competenze avviando diverse attività che hanno prodotto significativi progressi nello sviluppo dei ragazzi ospiti: corsi di inglese, cucina, cucito, musica, danza, educazione fisica, creatività. «Nel tempo mi sono reso conto che questi gesti di carità potevano diventare un’opera strutturata e ho chiesto aiuto alle suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo che lavorano nella Piccola Casa della Provvidenza a Torino e in altri luoghi. Nel 2022 sono arrivate dall’India due suore che hanno avviato l’opera insieme agli amici di Karaganda, ora puntiamo alla costruzione di un edificio che possa accogliere organicamente le attività e rispondere alle attese di tante famiglie»

«Due anni fa una luce si è accesa sul nostro cammino – testimonia Gulnara Zhapukova, una delle mamme che insieme ai figli frequentano il centro –. Abbiano scoperto un luogo dove le fragilità sono abbracciate. Incontrando insegnanti e volontari meravigliosi è avvenuto un cambiamento radicale nel mio cuore, ho capito che mio figlio è un dono prezioso. Il “Faro” è diventato la nostra seconda casa, ci sentiamo parte di una grande famiglia e siamo certi che i nostri figli qui saranno amati anche quando noi genitori non saremo più in questo mondo».

Andrey, il figlio di Elena Chekunaeva, è nato con una diagnosi pesante: idrocefalo, atrofia dei lobi frontali del cervello, displasia dell’anca. La madre ha alle spalle tempi duri, segnati dalla morte precoce del marito e trascorsi combattendo tante battaglie per assicurargli le cure necessarie. Dopo i nove anni di vita scolastica ha fatto i conti con la prospettiva di lasciarlo tra le mura di casa per mancanza di servizi per gli adolescenti. Poi un giorno un’amica la invita al Faro «dove Andrey è stato accolto come in una famiglia e anche io adesso non posso più fare a meno della compagnia di quelle persone, che danno il loro tempo gratuitamente. Ogni giorno lì accade il miracolo dell’amore».

«Un’opera come il Faro che si muove nel solco della carità è un piccolo segno ma una grande occasione per incontrare tutti, in un Paese dove la libertà religiosa non è ancora riconosciuta pienamente nella sua espressività sociale – dice il vescovo Dell’Oro –. Come diceva Madre Teresa di Calcutta, tante singole gocce fanno un oceano e tante briciole un tozzo di pane. Rispondendo ai bisogni specifici di questi ragazzi e delle loro famiglie, offriamo una risposta al bisogno totale dell’uomo che è Gesù».

Redazione Avvenire.it

 

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