Le divise della nazionale paralimpica, il kimono smontabile ideato da una studentessa della Sapienza. L’inclusione entra in sartoria, con vestiti pensati e realizzati per le esigenze delle persone con disabilità. Grazie alla tecnologia e nel solco della sostenibilità
È l’abito che deve adattarsi al corpo della donna, non il corpo che deve adattarsi alla forma dell’abito, diceva Givenchy non immaginando lontanamente che qualche decennio dopo si sarebbe molto parlato di “adaptive fashion”, moda pensata – finalmente – per persone con disabilità permanente o temporanea.
Dopo l’exploit di Tommy Hilfiger, che nel maggio del 2022 a Los Angeles ha presentato una “Adaptive Collection” indossata da modelli disabili, numerosi stilisti in tutto il mondo hanno fatto calcare le loro passerelle a modelle e modelli disabili ma l’offerta, nonostante un bacino di vendite interessante, è rimasta ancorata soprattutto all’impatto mediatico e al ritorno pubblicitario. Recentemente l’azienda tedesca Zalando ha lanciato una linea “adattiva“ o “adattabile” non solo pratica ma anche bella e attraente, un e-commerce che ha riscosso immediato successo e che ha reso più agevoli piccoli gesti quotidiani, come abbottonarsi i polsini della camicia o infilare un paio di pantaloni, scontati per la maggior parte delle persone, ma molto faticosi se non impossibili per chi combatte con una limitazione fisica.
L’Italia, che fino a qualche anno fa era rimasta quasi inerte, dopo brevi spot e una piccola apparizione di Bebe Vio – in questi giorni premiata come uno dei quaranta giovani talenti che stanno cambiando l’Italia, da Fortune Magazine nell’ambito di Forty for Forty 2023 – vestita per Dior da Maria Grazia Chiuri, ha colmato il gap grazie ad aziende come D-Different (Diversamente Disabili), inizialmente mirato al motociclismo – a loro è dovuto l’ingresso di questo sport tra le discipline paralimpiche – ma poi esteso a tutte le linee del fashion.
«Fino a oggi ci siamo adattati. Ora la moda si adatta a noi», è lo slogan di questa casa di moda pensata da un gruppo di atleti disabili e tradotta in abiti da indossare facilmente e in autonomia dal designer Tiziano Guardini, che ha inventato soluzioni tecniche rivoluzionarie, come bottoni magnetici, cerniere a calamita, pantaloni con chiusure laterali invisibili, felpe divisibili, e tailleur per chi è costretto sulla sedia a rotelle, tutto prodotto in modo sostenibile con l’utilizzo di materiali riciclati.
All’Università La Sapienza di Roma, una giovane allieva della Facoltà di Storia della moda, Maurizia Lorenzetti, studiando teoria del design e disegno applicato ha immaginato un abito ad alto contenuto di eleganza e praticità, e lo ha brevettato. Il vero motivo della sua passione, confessa, è legato alla sua disabilità motoria, gli abiti che indossava erano scomodi e poco donanti. Aiutata dalla mamma, è riuscita a creare “Metamorfosi”, un kimono reversibile ispirato all’Apollo e Dafne di Gianlorenzo Bernini, che celebra il momento culminante della trasformazione.
Lembi di tessuto si staccano e si riattaccano a seconda delle esigenze grazie a una particolare chiusura in velcro – brevettata come modello di utilità presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy – che, posizionata in un certo modo, è totalmente invisibile. In questo modo il kimono “Metamorfosi” può essere indossato con facilità e si può rinnovare continuamente dando vita a diversi guardaroba, un progetto di “universal couture” inclusivo, sostenibile e unisex adatto a qualsiasi tipo di corporatura.
Da sempre affascinata dal mondo orientale, Lorenzetti ha scelto il kimono come prototipo per la sua forma quadrata, perché si presta a essere allungato o accorciato, stretto in vita o lasciato scivolare sui fianchi, spesso decorato da dipinti che ne raccontano la storia. Ha utilizzato la canapa, tessuto fresco in estate e caldo d’inverno, dipinto a mano con colori naturali, come la curcuma per il sole, la spirulina per la laguna, il mais mordo per la nebbia. Ogni pezzo è unico e decorato dal pittore Mauro Romano.
Il suo scopo per il momento non è commerciale, Lorenzetti punta a una mostra che spieghi l’intero processo produttivo, dal cartamodello, alla prova in tela, al figurino per arrivare agli abiti, a suo parere «delle vere e proprie opere di arte moderna». Si racconta con dolcezza, senza cedere a vittimismi, è una progettista e un’artigiana costretta a non lavorare in prima persona perché i dolori le sarebbero insopportabili ma che si appoggia a chi può, inizialmente a sua madre, sarta improvvisata, e poi a un laboratorio specializzato.
Non dimentica le giornate in cui il nonno, uno dei sarti di Caraceni, le spiegava i misteri di trama e ordito e neppure i suoi professori dell’Università La Sapienza, che nonostante la Facoltà di Storia del costume sia soprattutto teorica, l’hanno incoraggiata a insistere nel disegno a mano libera e le hanno concesso – prima in assoluto – di portare come tesi l’abito “Metamorfosi”, e infine la sua relatrice, la professoressa Emanuela Chiavenni, grazie alla quale l’Università ha attivato un rapporto di collaborazione con un’accademia privata, facendo accedere gli studenti più meritevoli a stage di progettazione e realizzazione del prodotto.
Si commuove mentre racconta la sua esperienza e ci commuove la forza e la leggerezza di una ragazza che ha fatto di un problema un punto di forza, che ha reso la sua storia personale un modello da seguire, uno straordinario esempio di tenacia, resilienza, laboriosità e capacità.
di di Flaminia Marinaro – L’Espresso