Quante volte, sentendo la marcia, composta da James Thomson sulla musica di Thomas Arne, abbiamo gonfiato il petto, considerandola come l’altra faccia della medaglia che ha, sul verso principale, ‘God save the King”.
L’orgoglio della patria che mai ci è venuto meno, anche nei periodi di crisi, quando ci si domandava semmai il Regno Unito ne sarebbe uscito e, soprattutto, come.
Poi, magari dopo avere ascoltato con un pizzico di commozione il testo di ‘Rule, Britannia’ e sfogliando un giornale, si torna drammaticamente con i piedi in terra e ci si comincia a chiedere se c’è ancora da essere orgogliosi di un Paese che, ad esempio, non tende la mano a chi soffre, qualcuno che, senza l’aiuto pubblico, è chiamato a scelte drammatiche, perché si parla di vita e di sopravvivenza.
La notizia, pur apparendo paradossale, sembra una di quelle cose che paiono uscire dal copione di una piece del teatro dell’assurdo o dal tentativo di spiegare gli arzigogoli della burocrazia, un ‘Comma 22’ quotidiano. Arriva dalla Scozia dove, denunciano gli attivisti della Scottish Indipendent Living Coalition, le persone disabili sono messe, loro malgrado, davanti a scelte che possono condizionare la loro esistenza.
Come decidere se i soldi (pochi, molti: non è questo l’importante) che i disabili e le loro famiglie hanno da parte devono essere spesi per le attrezzature mediche – che il Servizio sanitario nazionale non paga per loro – oppure utilizzarli per pagare il riscaldamento domestico. Sembra di assistere ad una versione spietata del Monopoli, quando sei ad un passo dalla vittoria e, se la fortuna ti gira le spalle, sei costretto a tornare alla casella di partenza.
La denuncia è grave, anche se il governo britannico e quello scozzese, dicono e ripetono che è totale il loro impegno per migliorare la vita dei cittadini più sfortunato. Può anche darsi, ma è difficile crederci, soprattutto sapendo che le attrezzature grazie alle quali i disabili possono avere una vita migliore hanno costi ormai insostenibili. Una situazione che oramai mette chi soffre davanti alla scelta di cosa sia meglio, per alzare il livello di vivibilità.
Nel rapporto redatto dalla Scottish Indipendent Living Coalition c’è soprattutto un allarme: l’aumento del costo della vita sta spingendo gli scozzesi che hanno disabilità a fare “scelte rigide” sull’opportunità e la frequenza con cui utilizzare attrezzature mediche e tecnologie per l’assistenza. Ma anche scelte sul permettersi cibo o elettricità a scapito delle attrezzature che la loro condizione fisica rende necessarie. Nel rapporto della SILC (elaborato per conto della Commissione scozzese per i diritti umani, la SHRC) si legge che alcuni disabili si trovano davanti alla scelta tra “mangiare e respirare, mettendo a rischio la propria salute con l’inevitabile conseguenza di essere costretti a ricoverarsi in ospedale o in una casa di cura”.
Un dilemma che, secondo l’amministratore delegato della SHCR, un malato non dovrebbe mai essere costretto a fronteggiare, perché la decisione tra l’uso di attrezzature mediche, che in alcuni casi “li aiutano letteralmente a respirare”, o mangiare cibo nutriente non è una scelta a cui dovrebbero pensare.
E talvolta il problema si amplia drammaticamente. Una disabile, residente a Glasgow, per sopravvivere ha bisogno di sei apparecchiature medicali (a cominciare dalla carrozzina, senza la quale sarebbe costretta a stare a letto tutto il giorno), che consumano molta elettricità, i cui costi sono per molti ormai insostenibili.
Poi, magari involontariamente, ti strappa un sorriso sentire un portavoce del governo del Regno Unito dire che l’esecutivo è impegnato a rendere la società un “luogo più inclusivo e accessibile per tutte le persone disabili”, attraverso misure come la riforma del sistema di prestazioni sanitarie e di disabilità.
– di: David Lewis