Redazione Redattore Sociale
Un report del Forum europeo sulla disabilità denuncia l’esistenza di questa pratica, ancora legale in 14 Stati europei. In Italia non è consentita, ma possono esistere delle eccezioni, a fronte di misure considerate urgenti o terapeutiche. Articolo pubblicato sulla rivista SuperAbile Inail
La sterilizzazione delle persone con disabilità è una pratica tuttora diffusa in Europa. La denuncia arriva dall’Edf, il Forum europeo sulla disabilità, che da tempo sta portando avanti una campagna contro quella che viene definita come una grave violazione dei diritti delle donne disabili. Dopo la petizione presentata negli scorsi mesi alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo, a fine settembre l’Edf ha licenziato un rapporto, ora tradotto anche in italiano, che fa il punto della situazione nella Ue. Pur essendo vietata da numerosi testi internazionali come la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, la sterilizzazione forzata delle donne disabili è considerata esplicitamente un reato soltanto in 9 paesi della Ue, mentre ben 14 Stati membri ne consentono ancora alcune forme all’interno delle proprie legislazioni. In pratica, Paesi come l’Austria, la Danimarca, il Portogallo, per citarne solo alcuni, autorizzano un tutore, un rappresentante legale, un amministratore o un medico ad acconsentire alla sterilizzazione di una donna con disabilità. La Repubblica Ceca, l’Ungheria e il Portogallo autorizzano addirittura la sterilizzazione forzata dei minori. E in almeno tre Paesi, tra cui sicuramente Belgio, Francia e Ungheria, l’uso della sterilizzazione o della contraccezione può diventare un requisito per l’ammissione negli istituti residenziali.
Anche il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che ha il compito di vigilare sull’applicazione della Convenzione Onu del 2006, ha più volte chiesto di vietare la sterilizzazione forzata, equiparando questa pratica a una forma di maltrattamento o di punizione crudele, inumana e degradante. I dati sul fenomeno risultano per lo più lacunosi e carenti, ma il report ci avverte che, nel 2017, in Germania il 17% di tutte le donne con disabilità è stato sterilizzato contro il 2% delle donne a livello nazionale. In Spagna, invece, il Comitato dei rappresentanti delle persone con disabilità (Cermi) ha denunciato la sterilizzazione forzata di 140 donne nel solo 2016.
A tentare di fare luce su questa pratica dura a morire sono, ancora una volta, le denunce della società civile, si legge nel report. In Belgio, le organizzazioni non governative hanno espresso la preoccupazione che le donne con disabilità, in special modo quelle con disabilità intellettiva, siano ancora sottoposte alla sterilizzazione forzata. Nel loro rapporto al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità hanno denunciato che la sterilizzazione forzata è ancora diffusa negli istituti per persone con disabilità e, in numerosi casi, rappresenta un requisito d’ingresso. In Lituania, invece, il locale Forum sulla disabilità ha rilevato come le donne con disabilità intellettiva o psicosociale, che risiedono in istituto, subiscono ancora importanti violazioni dei loro diritti, tra cui, appunto, la sterilizzazione involontaria. Anche in Polonia le ong hanno fatto presente che, benché la pratica sia vietata, le donne con disabilità che vivono negli istituti vengono ancora sterilizzate contro la loro volontà.
“Esiste ancora la convinzione che la sterilizzazione forzata sia un modo per proteggere le donne con disabilità una volta divenute adulte”, afferma Luisella Bosisio Fazzi, che fa parte del Comitato donne dell’Edf. E, infatti, come viene messo in rilievo dallo stesso report, la pratica della sterilizzazione viene spesso giustificata con la volontà di proteggere le donne e le ragazze con disabilità dai potenziali problemi, che potrebbero derivare da una gravidanza.
Come in Irlanda e in Slovenia, in Italia la sterilizzazione delle persone con disabilità non è consentita, ma possono esistere delle eccezioni, come nei casi di misure considerate urgenti o terapeutiche. “Nel nostro Paese non esistono dati”, prosegue Bosisio Fazzi, “ma sappiamo per certo che la sterilizzazione forzata rimane una pratica diffusa, magari mascherata da altri tipi di intervento come un’asportazione dell’appendicite o una biopsia. Il che vuol dire che esiste una certa compiacenza nell’eseguire un intervento che, non essendo sempre lecito, stenta a essere portato alla luce. Siamo al corrente dell’esistenza di tale prassi grazie alla testimonianza di alcune donne con disabilità fisica, che si sono accorte di essere state sterilizzate in età adolescenziale, quando hanno deciso di cercare una gravidanza. Ma se per le donne con disabilità fisica i dati scarseggiano, di quelle con disabilità psichica o cognitiva non si sa assolutamente nulla”.
“È un tema che è difficile portare a galla”, conferma Rosalba Taddeini, responsabile dell’Osservatorio di Differenza Donna sulla violenza contro le donne con disabilità. “Nella mia esperienza personale ho incontrato soltanto due donne con disabilità cognitiva che, in anni lontani, hanno subito una sterilizzazione non consensuale”. Ma poi, spiega la rappresentante di Differenza Donna, esiste tutta un’area grigia dove le donne disabili subiscono trattamenti non consensuali relativi alla riproduzione sessuale. “A volte si tratta di iniezioni contraccettive somministrate all’insaputa delle donne, specie di quelle con disabilità intellettiva, a cui viene spesso negata la possibilità di scelta rispetto alla maternità. Insomma, nessuno chiede loro se vogliano avere figli, si dà per scontato che non debbano diventare madri”.
Ha fatto scuola, in questo senso, la sentenza del Tribunale di Catanzaro che, alla fine del 2013, ha respinto la richiesta di aborto e di sterilizzazione forzata proposta dal tutore di una donna disabile con difficoltà cognitiva, rimasta incinta a seguito di una violenza sessuale. In quel caso il giudice ha ritenuto la donna in grado di comprendere il senso e le responsabilità connesse a una gravidanza, mettendo peraltro in evidenza la disponibilità della famiglia di origine ad aiutare la donna a prendersi cura del nascituro. Soprattutto, però, la sentenza ha dichiarato “aberrante” la richiesta del tutore legale di praticare un intervento “completamente ablativo della capacità riproduttiva”. Alla richiesta di tutelare la donna, in quanto “giovane, appetibile e non in grado di proteggersi da eventuali abusi”, il tribunale ha evidenziato come questa soluzione “finirebbe per mutilare in maniera irreversibile l’integrità fisica di un soggetto debole, del tutto incolpevole della sua situazione”. Una soluzione “abnorme”, insomma, per “compensare vuoti di tutela e la mancanza di un sostegno reale ed efficace da parte della famiglia e delle istituzioni” e che, pur scongiurando il rischio di una gravidanza involontaria, non metterebbe la donna al riparo da eventuali abusi.
(Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)