Becca Meyers, nuotatrice americana sorda e cieca, ha cancellato la sua partecipazione ai Giochi Paralimpici di Tokyo che si terrano dal 24 agosto al 5 settembre.

Il motivo: il rifiuto del Comitato delle Olimpiadi 2021 e Paralimpico americano di permettere a sua madre di venire con lei come assistente personale.

di Sofia Riccaboni

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Becca Meyers

Prima la polemica delle atlete madri a cui è stato vietato di allattare i propri figli durante i giochi olimpici di Tokyo. Ora è un altro il motivo della polemica che potrebbe cadere sul Comitato Olimpico e Paralimpico americano. Becca Meyers (26), una nuotatrice sordo-cieca che ha vinto sei medaglie a Londra e Rio, ha deciso martedì di abbandonare la sua partecipazione ai Giochi Paralimpici. La motivazione è legata al rifiuto da parte del Comitato di consentire a sua madre di accompagnarla in Giappone come assistente personale. “Perché, nel 2021 come persona disabile, devo ancora lottare per i miei diritti?”. In una dichiarazione pubblicata sulla sua pagina Twitter, ha spiegato che ha dovuto prendere “questa decisione straziante” ed era “arrabbiata, deluso ma soprattutto triste“.


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Cosa voleva l’atleta?

Il Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti ha rifiutato di concedere una richiesta ragionevole ed essenziale per me per eseguire a Tokyo, come un atleta sordocieco, dicendomi ripetutamente che non ho bisogno di un assistente personale ‘fidato’ perché ci sarà solo un assistente sul personale in grado di assistere me e gli altri 33 nuotatori paralimpici. Il comitato mi ha dato questa assistente personale – mia madre – ad ogni mio grande evento internazionale dal 2017, ma questa volta è diverso. Con il Covid, ci sono nuove misure sanitarie con limiti alle persone “non essenziali” nel personale in loco. Quindi, misure giuste, ma l’aiuto personale di cui mi fido è essenziale per dare il meglio di me”. La nuotatrice 26enne conclude il suo messaggio con una sfuriata: “Perché nel 2021, come persona disabile, devo ancora combattere per i miei diritti? Parlo per le future generazioni di atleti paralimpici nella speranza che non devono mai sperimentare il dolore che sto attraversando ora. È semplicemente troppo”.

 

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