Si chiama “Signal For Help”, è semplice, sicuro e silenzioso, ma richiede che chi lo interpreta sappia bene cosa fare e non fare
Quando un anno fa i vari paesi del mondo cominciarono ad introdurre le restrizioni per contenere il coronavirus, una fondazione canadese femminista che lavora contro la violenza domestica e di genere propose “Signal For Help”, un gesto della mano per segnalare in modo silenzioso un abuso e chiedere aiuto, anche in presenza dell’aggressore. Con le ulteriori chiusure decise in questi ultimi mesi per rallentare la diffusione delle varianti del coronavirus, “Signal For Help” si sta diffondendo, iniziando ad essere riconosciuto come un segnale internazionale. E molti movimenti, associazioni e giornali sono tornati, anche in Italia, a spiegare di che cosa si tratta: per renderlo il più possibile riconoscibile e utilizzato. C’è però una cosa fondamentale da tener presente: per affrontare la violenza sulle donne ci vuole sempre competenza. E non si può improvvisare.
I movimenti femministi e le associazioni che lavorano con le donne segnalano da mesi che le restrizioni decise dai vari paesi per contenere il coronavirus hanno avuto delle conseguenze sulla violenza domestica. Ora ci sono diversi dati che lo confermano, tanto che l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere ha parlato di “pandemia ombra” per spiegare l’intensificarsi di abusi fisici o psicologici subiti dalle donne. Essere costrette a restare a casa e a condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori ha infatti creato circostanze tali da compromettere ulteriormente l’incolumità delle donne, rendendo anche più difficile chiedere aiuto: non solo perché con l’isolamento nelle case sono venute a mancare le relazioni sociali, cioè un fattore protettivo contro la violenza domestica, ma anche perché la costante presenza del partner rende impossibile per le vittime parlare liberamente al telefono.
A partire da questa consapevolezza, lo scorso aprile, Canadian Women’s Foundation ha lanciato “Signal For Help”, un gesto che può aiutare alcune persone a comunicare silenziosamente che hanno bisogno di supporto. Il segnale può essere fatto durante una videochiamata o quando ad esempio si apre la porta di casa per ricevere un pacco.
Il gesto consiste nel piegare verso il palmo della mano il pollice tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno.
Il segnale di aiuto non fa riferimento a parole, lettere o concetti della lingua dei segni e, spiega Canadian Women’s Foundation, i membri delle comunità di non udenti sono stati consultati prima del lancio della campagna stessa.
Esistono altri codici di auto-mutuo-aiuto contro la violenza domestica. Nel Regno Unito e in altri paesi è stato messo in atto un sistema contro le molestie nei bar: per segnalare un pericolo al personale, basta chiedere se Angela è presente (la campagna si chiama “Ask For Angela”); negli Stati Uniti è stato condiviso un codice simile. In Francia, dal 2015, è possibile disegnare un punto nero sul palmo della mano, mentre in Belgio e in Spagna, durante la pandemia, è stato creato un codice per chiedere sostegno in farmacia: basta chiedere una “mascherina 19” (in spagnolo “mascarilla 19”, in francese “masque 19”). “Signal For Help” ha però un vantaggio rispetto a questi ultimi due metodi: non lascia segni e non fa scattare automaticamente un protocollo.
Canadian Women’s Foundation, così come i movimenti che stanno diffondendo il segnale e che hanno esperienza di violenza di genere, sottolineano infatti l’importanza di capire le procedure che possono essere più efficaci e più utili per dare effettivamente un aiuto e proteggere la persona che quell’aiuto l’ha chiesto.
È importante, ad esempio, se non si hanno relazioni con la persona da cui si è ricevuto il segnale, chiamare i centri antiviolenza o i movimenti che si occupano di violenza di genere, per capire qual è il comportamento da assumere, quali le cose che si possono o non si possono fare, e quali sono le modalità che si possono attuare per entrare in contatto con la donna, senza esporla ad ulteriori situazioni di pericolo o di isolamento.
Per quanto riguarda l’Italia qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, attivo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno e accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri al 112 o la polizia al 113.
Se si hanno relazioni con le persone che chiedono aiuto, precisa Canadian Women’s Foundation, va innanzitutto capito di che cosa hanno bisogno e che cosa vogliono che si faccia. Un buon metodo è ad esempio contattarle e fare domande alle quali queste persone possano rispondere semplicemente con un “sì” o con un “no”, per ridurre il rischio nel caso qualcuno stia ascoltando. Per esempio: “Vuoi che chiami per te il centro antiviolenza?” e non “Che cosa vuoi che faccia?”. È anche possibile usare un’altra forma di comunicazione attraverso messaggi, chat social, e così via, ma cercando sempre di fare domande generiche per stabilire un contatto e ridurre il rischio nel caso in cui qualcuno monitori o controlli i vari dispositivi o account della persona coinvolta. Per esempio: “Come state?” “Mi contatti quando hai un momento?”.
In generale, come spiegano i movimenti femministi, non è possibile sostituirsi alla persona che subisce violenza per denunciare: deve essere la persona coinvolta a decidere se e come muoversi. Ed è fondamentale rispettarne i tempi, e non porsi in maniera giudicante o impositiva: qui alcuni suggerimenti molto concreti.