Il destino è stato crudele con Alfie Hewett. Nato con un difetto cardiaco congenito, detto “Tetralogia di Fallot”, ha vissuto il primo ricovero d’urgenza quando aveva appena sei mesi. Pesava 7 chili quando è stato sottoposto a un primo intervento chirurgico.
Il momento che gli ha cambiato la vita, tuttavia, è arrivato qualche anno dopo. Giocava a calcio con gli amici, ma a un certo punto non era più in grado di reggersi in piedi. Caricato su un’ambulanza, è arrivato in ospedale e ne è uscito in sedia a rotelle
Era un bambino di 6 anni, ma in quel momento la sua vita è cambiata. Diagnosi: Malattia di Perthes. In sintesi, impedisce il flusso sanguigno dal bacino all’articolazione dell’anca. Si può prevenire, ma nel suo caso fu diagnosticata in ritardo.
Ergo, Hewett è un disabile a tutti gli effetti. Quando aveva 8-9 anni ha iniziato a giocare a wheelchair tennis, versione “in carrozzina” del nostro sport. “Mi ci sono dedicato anima e corpo – racconta – molti non sanno cosa ho dovuto passare.
Da piccolo sognavo di fare il calciatore, invece ho dovuto superare complessi interiori e limitazioni sociali. Giocare a tennis ha dato un nuovo scopo alla mia vita”. Classe 1997, è rapidamente diventato forte. Fortissimo.
Oggi è numero 3 nella classifica mondiale ITF, è stato numero 1 e ha vinto due prove del Grande Slam. È il più giovane tra i top-10, nonché campione in carica dello Us Open. Tuttavia, la sua carriera è agli sgoccioli. L’ITF ha deciso che il 2020 sarebbe stato il suo ultimo anno, perché la sua malattia non è “invalidante a sufficienza”.
Già, perché la malattia di Perthes gli consente di camminare, sia pure con difficoltà e per tragitti molto brevi. Un cavillo regolamentare che ha mandato all’aria i suoi sogni e le sue speranze. L’ultimo sogno di Hewett riguarda le Paralimpiadi di Tokyo: l’ITF aveva deciso di lasciarlo giocare per tutto il 2020, tenendo conto che aveva dedicato gli ultimi anni in vista dell’impegno paralimpico.
Il rinvio al 2021, tuttavia, ha creato una situazione di profonda incertezza. Cosa succederà? Gli consentiranno di coronare almeno questo sogno? Per adesso, si trova nel limbo dell’incertezza. Ma com’è stato possibile arrivare a questo punto? Per usare un termine tristemente in voga, per giocare a wheelchair tennis bastava una sorta di autocertificazione.
Una volta presentata questa all’ITF, c’è la possibilità di partecipare ai tornei a mobilità ridotta. Come è noto, il wheelchair tennis si gioca sullo stesso campo del tennis tradizionale, con un paio di differenze: i giocatori sono bloccati su una sedia a rotelle, e la palla può rimbalzare due volte anziché una.
Il business non è male, poiché si tratta dello sport per disabili più redditizio al mondo, l’unico con premi in denaro. I più forti possono guadagnare fino a circa 250.000 dollari all’anno.
Anche per questo, il grado di disabilità dei giocatori è spesso oggetto di discussioni. Uno dei più forti è il francese Stephane Houdet, ancora in voga nonostante abbia 48 anni. Avendo le gambe amputate, grazie alla sua sedia hi-tech è in grado di servire in posizione praticamente eretta.
“Tra i top-10 ci sono vari tipi di disabilità – racconta Hewett – credo che ognuno potrebbe polemizzare. La verità è che io non ho nessun vantaggio, perché non posso giocare in posizione eretta ma devo restare seduto come tutti gli altri”.
Tuttavia, l’ITF non vuole perdere lo status di sport paralimpico: per questo, l’autocertificazione è stata sostituita da una valutazione indipendente, effettuata da esperti che valutano i vari gradi di disabilità.
Per il tennis ne sono stati individuati soltanto due, lasciando fuori Hewett e alcuni altri. Tra le vittime c’è anche l’olandese Marjolein Buis. Ma i criteri d’ammissione quali sono? Possono partecipare ai tornei in sedia a rotelle gli atleti che hanno “una disabilità fisica permanente che si traduce in una perdita sostanziale di funzionalità in uno o entrambi gli arti inferiori”.
Per Hewett, le cose sono cambiate lo scorso luglio durante il British Open. Gli addetti dell’IPC (Comitato Paralimpico Internazionale) hanno effettuato alcuni test di mobilità e valutato flessibilità e rotazione.
Le sue condizioni fisiche non sono state ritenute invalidanti a sufficienza. Per questo, la sua carriera è vicina al capolinea. “Si tratta di un processo molto difficile, mi manda fuori di testa – racconta Hewett, che ha recentemente vinto l’Australian Open di doppio insieme a Gordon Reid – non sono in grado di giocare come un normale tennista, come faccio senza la sedia a rotelle? Sono perplesso sul motivo che li ha spinti a escludermi.
La decisione è arrivata a fine anno, per questo ero così emozionato in Australia: potrebbe essere stata la mia ultima apparizione”. In effetti, dopo il matchpoint si è lasciato andare a un’esultanza scomposta, che poi si è tramutata in lacrime negli spogliatoi.
“Giocare a wheelchair tennis non è facile, ma quando sei bloccato a casa capisci quanto sei fortunato a mettere piede sul cemento di Melbourne o sulla terra di Parigi. Senza dimenticare le migliaia di persone che ci seguono a Wimbledon.
Non posso limitarmi a giocare al parco, perché per me non è un hobby. Il tennis è la mia vita e non posso immaginare di vivere senza”. Pur avendo effettuato le dovute rimostranze (peraltro con il sostegno della federtennis britannica), sembra abbastanza rassegnato sul futuro.
Ma non vorrebbe perdere i Giochi di Tokyo: per questo spera in una proroga fino all’estate 2021. “Mi rendo conto che l’ITF abbia questioni più importanti da affrontare, ma dovrei saperlo il prima possibile.
Le Olimpiadi sono il mio sogno. Se proprio la mia carriera deve finire, sarebbe bello così. Ogni atleta sogna di fermarsi alle sue condizioni: sapere che tutto questo non è sotto il mio controllo è davvero frustrante.
Inoltre, il problema è emerso in un momento difficile sul piano personale”. Già, perché Hewett non ne poteva più ai allenarsi nel centro tecnico di Roehampton. Per questo, la scorsa estate ha scelto di tornare nel suo Norfolk, a 200 km a nord-est di Londra.
“Stare di nuovo vicino ai miei amici è stata una sorta di luna di miele, e in effetti i risultati sono arrivati. Ho capito quanto il tennis sia importante per me e continuerò a lottare. Fossi costretto a smettere, vorrei essere coinvolto in qualche altro ruolo”.
Hewett non riesce ad accettare la sottovalutazione del suo handicap: non solo perché non ha alcun vantaggio al momento di scendere in campo, ma perché ancora oggi gli crea una serie di effetti collaterali come gonfiori a occhi, labbra, mani, piedi e caviglie.
Talvolta viene colto da enorme stanchezza ed è costretto a dormire per lunghi periodi. Hewett è pronto a combattere, non solo per se stesso, ma anche per bambini colpiti dalla stessa malattia. “Non vorrei mai che un bambino di 7 anni con la stessa malattia possa vedersi negate certe possibilità”.
Possibile che anche la disabilità debba diventare oggetto di burocrazia e politica sportiva? Suvvia…