Il racconto di Simona Lanzoni (Pangea): “Una struttura unica, molto più che una scuola: la frequentavano, fino a pochi giorni fa, circa 500 studenti sordi tra i 3 e i 18 anni. Ora stanno chiusi in casa. E abbiamo paura che i talebani metteranno le mani su quello spazio”
di Chiara Ludovisi
La scuola è vuota da alcuni giorni: da quando i talebani hanno iniziato ad avvicinarsi a Kabul. Tutti, studenti e insegnanti, “oggi sono chiusi in casa e hanno paura. Non riusciamo a entrare in contatto con loro e con le famiglie, anche perché la sordità complica ulteriormente le comunicazioni. Riceviamo notizie dagli operatori e stiamo cercando di far evacuare almeno qualcuno. Per ora, sono tutti ancora lì”. A raccontare con tristezza e preoccupazione il passato e il presente della scuola per sordi aperta e gestita a Kabul dall’Afghanistan National Association of the Deaf (Anaf) è Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea, la onlus che in Afghanistan è presente da tempo, al fianco delle popolazioni e delle organizzazioni locali. Proprio la scuola per sordi di Arzan Quemat, un quartiere periferico di Kabul, è uno dei progetti che Pangea sostiene nel Paese. La frequentavano ogni giorno, fino a poco tempo fa, circa 500 bambini e ragazze tra i 3 e i 18 anni. All’interno lavorano come insegnanti e personale dirigente 35 donne e 15 uomini dedicati e competenti, anch’essi in parte sordi.
“Conosco l’Anaf dal 2003, cioè da quando ho iniziato a lavorare in Afghanistan con Pangea – racconta la vicepresidente di Pangea onlus, Simona Lanzoni – E’ un’organizzazione composta principalmente da persone sorde. All’epoca ci lavorava anche una donna, morta qualche mese fa, che pure nel periodo dei talebani aveva fatto da ponte e messo tutto il suo impegno per creare condizioni di vita migliori per gli afgani sordi, a partire dai più giovani: alla fine, l’associazione era riuscita a ottenere un terreno e su questo era stata edificata la scuola. Una struttura enorme – racconta Lanzoni – con tanto terreno intorno: molto più che una scuola, perché lì si imparava non solo a leggere, scrivere e contare, ma ci si preparava a entrare nella società, acquisendo strumenti utili per entrare in relazione col mondo”.
Per le persone sorde e, in generale, per chiunque abbia una disabilità, vivere in Aghanistan non è mai stato semplice: “Per la brutalità che c’è sempre stata durante la guerra, l’esclusione di queste persone era pressoché totale. L’obiettivo della scuola era dare strumenti per facilitare l’inclusione: non solo l’istruzione, ma anche attività sportive, fondamentali soprattutto per le ragazze, o formazione professionale per i più grandi, per accompagnarli nella ricerca di un lavoro. E poi, altro elemento non trascurabile, la scuola garantiva ogni a tutti questi bambini e ragazzi un pranzo e una merenda, che per molti erano gli unici pasti della giornata”.
Tutto questo ha smesso di esistere, almeno per il momento, da quanto i talebani hanno iniziato ad avvicinarsi a Kabul: “Già da qualche giorno raggiungere la scuola, che si trova alla periferia della città, era diventato complicato e pericoloso. La zona è peraltro particolarmente invisa ai talebani. Ora tutti, insegnanti, studenti e personale scolastico, sono chiusi in casa e la preoccupazione è molto alta: chi è sordo non ha parole per difendersi, né per chiedere aiuto. Io credo che i talebani occuperanno presto quella struttura, che per la posizione e le dimensioni può essere preziosa per loro. Noi continuiamo a fare tutto il possibile per restare in contatto con i nostri colleghi e amici e assicurarci che siano al sicuro”.
Chiara Ludovisi