La storia di questa mascherina

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L'europarlamentare ungherese Adam Kosa, sordomuto, indossa una mascherina trasparente "ClearMask", lo scorso 16 settembre. (AP Photo, Francisco Seco)

Era stata progettata da 4 studenti per aiutare i pazienti sordi durante le operazioni chirurgiche: poi è arrivata la pandemia

Nel 2017 quattro studenti della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, negli Stati Uniti, fondarono una start-up che aveva l’obiettivo di realizzare mascherine trasparenti da utilizzare in ambito medico, la ClearMask LLC. La società era stata fondata pensando alle occasioni in cui medici e personale sanitario dovevano farsi capire da pazienti sordi che per comunicare si affidano alla lettura del labiale degli interlocutori: un uso delle mascherine importante, ma marginale. La pandemia da coronavirus, però, ha improvvisamente cambiato i loro piani e la loro storia, come ha raccontato il Wall Street Journal.

Nel 2015, Allysa Dittmar, studentessa nata sorda e una delle fondatrici di ClearMask, dovette subire un’operazione chirurgica durante la quale le fu impossibile comunicare con i medici e gli infermieri che avevano la bocca coperta dalla mascherina. Allora Dittmar aveva 23 anni e dopo essersi accorta che sul mercato era impossibile trovare mascherine trasparenti, insieme al suo compagno Aaron Hsu ebbe l’idea di lavorare all’ideazione di una mascherina che risolvesse i problemi di chi si fosse trovato nella sua stessa situazione. Dopo diversi prototipi, nel 2019, ClearMask mise a punto la sua prima mascherina.

All’inizio della pandemia da coronavirus, i governi di mezzo mondo cominciarono a raccomandare l’uso delle mascherine per limitare la diffusione dei contagi. Oltre agli iniziali problemi di scarsa reperibilità delle mascherine, il loro utilizzo nella vita di tutti i giorni diventò da subito un problema per i sordi e per chi di norma si affida alla lettura del labiale e dell’espressività degli interlocutori.

Nel febbraio 2020, ClearMask doveva ancora ricevere l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA), cioè l’agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza dei farmaci. Dittmar ha raccontato al Wall Street Journal che nonostante questo l’azienda – che aveva solo quattro dipendenti – iniziò a ricevere moltissime chiamate ed e-mail da produttori e distributori di mascherine, «disperati».

Le cose da sapere sul coronavirus

Per trovare una soluzione rapida, ClearMask decise di orientarsi verso la produzione di una mascherina trasparente che non avesse bisogno dell’approvazione della FDA e fosse adatta a essere usata nelle scuole, negli uffici e nei negozi. Per questo si attrezzò anche per estendere la vendita dei prodotti online, a tutti i tipi di clienti, e trovò modi per aumentare in fretta i volumi di produzione. Il vero successo dell’azienda arrivò però ad aprile, quando la FDA approvò la produzione del modello per uso medico, che divenne la prima mascherina chirurgica trasparente certificata. Da allora la società è passata da 4 a 250 dipendenti e ha venduto oltre 12 milioni di mascherine in tutto il mondo.

La “ClearMask” ha uno schermo di plastica che lascia vedere la bocca, si adatta alla forma del viso e aderisce bene anche al mento e alle mandibole. Una mascherina certificata costa 3,47 dollari (circa 3 euro), mentre una non certificata ne costa 2,78 (circa 2,40 euro). Oltre a essere adatta ai sordi, la mascherina trasparente di ClearMask è apprezzata e utilizzata anche da persone immunodepresse, anziani, operatori socio-sanitari e dagli insegnanti nelle scuole: sia perché aiuta a vedere l’espressione della persona che sta parlando, sia perché vedere il viso delle altre persone spaventa di meno – soprattutto i bambini.

– Leggi anche: Cosa abbiamo imparato sulle mascherine

Oltre a ClearMask, sul mercato ci sono altre aziende che producono mascherine di questo tipo. Una di queste è la svizzera Technomask, che realizza mascherine completamente trasparenti in polipropilene. Le mascherine di Technomask si adattano al viso e sono leggere; coprono naso e bocca e permettono di vedere bene l’espressione del volto delle persone, ma non aderiscono al mento. Per questo, come peraltro è stato osservato a proposito delle visiere protettive, potrebbero essere meno efficaci per bloccare l’eventuale diffusione dei “droplet” – le minuscole gocce di saliva che le persone emettono tossendo, starnutendo, parlando e anche respirando – verso le persone che circondano chi le indossa.

Negli ultimi tempi sono stati prodotti anche diversi tipi di “caschi” protettivi trasparenti che tra le altre cose adottano particolari sistemi di filtraggio, ma che a loro volta possono avere qualche problema: come ha osservato il New York Times, infatti, oltre a essere più costosi e difficilmente reperibili questi particolari caschi non offrono più garanzie di protezione rispetto alle mascherine.

Le mascherine trasparenti e gli altri tipi di visiere protettive che non nascondono la bocca risolvono il problema comunicativo delle persone sorde soltanto in parte: per essere davvero utili, infatti, dovrebbero avere una larghissima diffusione, mentre oggi la maggior parte delle persone usa comunque mascherine non trasparenti. Enti e associazioni, compreso in Italia l’ENS (Ente Nazionale Sordi), si sono mossi in molti modi – a livello internazionale, nazionale e locale – per incentivare l’uso di mascherine trasparenti, ma fin qui senza grandi risultati.

 

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