Juan, che storia! L’ultrarunner che corre in giro per il mondo per diffondere la lingua dei segni

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La pandemia lo ha bloccato ad Arica, in Cile. Era partito correndo il primo gennaio 2019 dall’Ushuaia con l’intenzione di collegare le tre Americhe fino all’Alaska

Bracciante agricolo a Sabaudia, cameriere in un ristorante argentino, tecnico informatico multilingue e non solo. La storia di Juan Pablo Niama Savonitti è quella di un uomo (38enne) che negli anni ha saputo reinventarsi con un’unica passione: il running. L’ultrarunner italo-argentino è partito correndo il primo gennaio 2019 dall’Ushuaia con l’intenzione di collegare le tre Americhe fino all’Alaska. L’obiettivo? Promuovere la lingua dei segni nel mondo. “Sono figlio di genitori sordi. Mio padre è di Buja, un paese di 6500 abitanti, nella provincia di Udine nel Friuli. Si è trasferito con i miei nonni a Buenos Aires, un po’ prima di compiere i 40 anni. Lì, in un raduno per persone sorde, ha conosciuto mia mamma”. Adesso è bloccato ad Arica, in Cile, per la pandemia, a pochi metri dalla frontiera peruviana in attesa che la situazione si sblocchi.

Come passi ora le tue giornate?

“Ad Arica mi trovo bene, sono in un albergo. Arica era uscita dalla quarantena qualche settimana fa, ma ora è rientrata di nuovo nel lockdown (per almeno 1 o 2 settimane). Mi alleno in albergo, facendo esercizi di forza, e sulle scale”

Come hai iniziato a correre?

“A 15 anni ho cominciato con l’atletica leggera: correvo 400 metri in pista e l’ho fatto per circa 2 anni. Poi mi sono allontanato dall’atletica fino al 2016: abitavo e lavoravo a Sofia, in Bulgaria, quando mi hanno parlato di una ultramaratona in montagna di 100 chilometri. A due giorni da quella gara, provai a iscrivermi sul sito, ma le iscrizioni erano già chiuse. Quindi telefonai agli organizzatori dicendo che avevo viaggiato dall’Italia per quella gara. Pensarono che io fossi un atleta d’elite e mi lasciarono gareggiare. Così, è nata la mia passione per le ultramaratone e le lunghe distanze.

Ho iniziato ad allenarmi con un’atleta d’elite bulgara: partecipavo a 2 ultramaratone al mese di più di 100 chilometri. Dopo due anni ho pensato di unire le mie più grandi passioni: correre e viaggiare senza misurare il tempo. L’ultrarunning per me è uno stile di vita, ed è proprio quando corro che trovo me stesso e riesco a vivere nel presente passo dopo passo”.

Poi la decisione di intraprendere un viaggio completamente solo. Come sta andando?

“Sta andando molto bene, molto piano ma molto bene. Finora ho percorso correndo tutta l’Argentina e il Cile, sono stati quasi 7000 chilometri in 15 mesi finché la pandemia mi ha bloccato qui ad Arica a pochi passi dal Perù.

Questo viaggio lo faccio totalmente solo, senza una squadra che mi segue in macchina. Di solito corro tra 45 e 60 chilometri al giorno per 5/6 giorni consecutivi e dopo riposo 2/3 giorni. Quando sposto i bagagli da un Paese all’altro”.

La missione è promuovere la lingua dei segni nel mondo…

Il 40% dei soldi che posso raccogliere sarà destinato alla Federazione Mondiale dei sordi che si occupa di lottare per i diritti delle persone sorde nel mondo. Il 60%  lo uso come sostegno economico per un pasto, un paio di scarpe o quello che potrebbe servirmi durante il viaggio.

Non sono un interprete di lingua dei segni e neanche un insegnante d’educazione speciale. Sono cresciuto con i miei: si parlava con la lingua dei segni, conosco bene quel “dialetto”. Il mio obbiettivo è quello di rompere le barriere linguistiche che esistono oggi nella nostra società. C’è ancora gente che pensa che esista una lingua dei segni universale. Ogni Paese ha la sua lingua dei segni! La lingua Italiana dei segni (LIS) è diversa da quella tedesca, da quella cinese. Mi piacerebbe poter motivare più persone ad imparare le lingue dei segni o almeno ad interessarsi di più alla cultura e alla comunità sorda”.

Hai altri obiettivi a breve?

“Impiegherò altri 2 anni (se tutto va bene) per completare questo viaggio. E’ molto difficile pianificare a lungo termine, specialmente con la pandemia. Mi piace pensare che potrei stare peggio e che ogni passo che faccio è uno in meno per arrivare in Alaska. Quindi penso poco e pianifico poco a lungo termine: vivo giorno dopo giorno”.

 

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