Fra i peggiori casi di cronaca nera del Giappone, il massacro di Sagamihara è uno di quelli che ha scioccato di più il Paese asiatico. Accade tutto in meno di un’ora, fra le 2 e le 3 del mattino del 26 luglio 2016: Satoshi Uematsu, 26 anni, ex infermiere, si ferma con la sua auto davanti al “Tsuki Yamayuri-en”, un centro d’assistenza per disabili di Sagamihara, prefettura di Kaganawa, in Giappone.
Rompe una finestra ed entra: immobilizza un membro del personale di guardia alla struttura e gli ruba le chiavi delle camere. Soltanto mezzora dopo la polizie riceva una chiamata di soccorso e interviene, per trovarsi di fronte ad una strage: 19 disabili fra i 18 ed i 70 anni uccisi a coltellate nei loro letti, e altri 26 feriti in gravi condizioni. Dalle telecamere di sicurezza, Uematsu si è allontanato da qualche minuto. Si costituisce due ore dopo, raccontando di essere un ex dipendente della struttura licenziato qualche mese prima.
Durante il processo, Satoshi non arretra neanche un istante: i disabili che ha ucciso non erano in grado di comunicare e non avevano diritti umani: “Per loro non aveva senso vivere: andava fatto per il bene della società”.
La difesa ha chiesto la non colpevolezza per via dello stato mentale del loro cliente, all’epoca sotto l’effetto di droghe: “Ha abusato di marijuana e sofferto di disturbi mentali: era piombato in una condizione di inconsapevolezza delle proprie azioni”.
Argomentazioni che il tribunale distrettuale di Yokohama non ha ritenuto sufficienti, condannandolo a morte per impiccagione. Satoshi Uematsu ha annunciato di non avere alcuna intenzione di ricorrere in appello.
Secondo i funzionari locali, al momento dell’aggressione la struttura aveva circa 150 residenti, con 9 membri del personale. È anche emerso che, pochi mesi prima dell’aggressione, Uematsu aveva inviato una lettera al parlamento giapponese in cui diceva che, se autorizzato, avrebbe ucciso 470 persone gravemente disabili: “Voglio che il Giappone sia un paese in cui sia possibile l’eutanasia per i disabili”, aveva scritto. Arrestato, era stato internato in un ospedale psichiatrico, ma dimesso dopo appena due settimane.
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