Una buona parte della linguistica è dedicata alla ricostruzione dell’evoluzione delle lingue parlate, compito in cui di recente ai tradizionali metodi comparativi si sono affiancate le tecniche di analisi filogenetica, mutuate dalla biologia. Ma c’è un capitolo importante della comunicazione umana che ha ricevuto finora meno attenzione: l’evoluzione delle lingue dei segni usate dai non udenti.
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista “Royal Society Open Science” da ricercatori dell’Università del Texas a Austin e del Max-Planck-Institut per la scienza della storia umana, fa ora luce sulle origini e sull’evoluzione delle lingue dei segni utilizzando un approccio multidisciplinare. L’analisi ha rivelato cinque principali famiglie di lingue europee orignarie e indentificato vie di diffusione geografica finora sconosciute.
La ricerca ha preso le mosse dagli alfabeti manuali, traduzioni degli alfabeti scritti nella lingua dei segni, utilizzati dai non udenti per esprimersi quando non conoscono il segno corrispondente a una parola o quando devono indicare un nome proprio. Gli autori hanno realizzato un esteso database di alfabeti manuali, 40 contemporanei e 36 storici, compilati a partire dai primi istituti scolastici per non udenti, come l’Institut National de Jeunes Sourds di Parigi, fondato tra il 1759 e il 1771.
I ricercatori hanno poi confrontato tra loro gli alfabeti manuali usando sia metodi storici sia sofisticati metodi di analisi filogenetica, che possono mostrare diversi gradi di correlazione tra molte lingue contemporaneamente, senza dare per scontato che le somiglianze derivino da un’origine comune. Hanno così identificato cinque principali rami filogenetici europei di lingua dei segni – spagnolo, di origine francese, di origine austriaca, di origine britannica, svedese – che si sono diffusi in altre parti del mondo a partire dalla fine del XVIII secolo.
I risultati dello studio hanno confermato alcune delle conclusioni delle ricerche storiche, come l’influenza della lingua dei segni francese sull’educazione dei comunità di non udenti dell’Europa occidentale e delle Americhe. Inoltre, ha mostrato la dispersione della lingua dei segni austriaca nell’Europa centrale e settentrionale, nonché in Russia.
“I metodi di network consentono di analizzare in dettaglio la complessa evoluzione di rami filogenetici completi, alfabeti manuali e singoli segni delle mani”, afferma Justin Power, primo autore dello studio. “Il database ci aiuta a monitorare l’evoluzione delle lingue dei segni negli ultimi secoli, fornendo un quadro più chiaro delle radici della diversità contemporanea delle lingue dei segni del mondo”.
E si tratta di un quadro, sottolineano i ricercatori, in cui emergono meccanismi già noti in altri settori di ricerca. “Nonostante si tratti di dati fondamentalmente diversi, le analogie tra l’evoluzione delle lingue dei segni e l’evoluzione biologica sono sorprendenti, soprattutto quando si guarda all’acquisizione e alla perdita di tratti specifici di un ramo filogenetico”, ha concluso Guido Grimm, ricercatore indipendente di Orléans, in Francia, e coautore dello studio. (red)