In Arabia Saudita è condannato alla decapitazione un disabile per avere partecipato a proteste antigovernative. Munir al-Adam dice di aver firmato una confessione solo dopo essere stato picchiato tanto da perdere l’udito da un orecchio. Un tribunale penale specializzato di Riyadh, capitale del regno saudita, ha condannato Munir al-Adam a morte per “gli attacchi contro la polizia” e per altri reati commessi durante le proteste nella regione del Qatif a maggioranza sciita alla fine del 2011.
di Cristina Amoroso – Il Faro Sul Mondo
Il 23enne è ipovedente ed era parzialmente sordo al momento dell’arresto nel 2012, divenuto poi completamente sordo per le percosse della polizia, abituata ad estorcere le confessioni con le torture. La confessione estorta con la tortura rimane l’unica prova presentata contro il giovane al processo, nel corso del quale non gli è stato mai permesso di parlare con un avvocato.
La sua famiglia ha rilasciato una dichiarazione respingendo il verdetto e sostenendo che Munir è stato costretto alla confessione con la tortura. Un ragazzo semplice, amante della pesca, riferisce la famiglia, coinvolto in un incidente all’età di sei anni che gli ha causato la frattura del cranio lasciandolo con la vista e l’udito compromessi, secondo le prove mediche presentate dalla famiglia all’atto dell’arresto, con la speranza di salvaguardare il figlio dalla violenza della polizia.
“Il caso spaventoso di Munir al-Adam illustra come le autorità saudite siano tutte troppo felici di sottoporre le persone più vulnerabili alla lama del boia”, ha dichiarato Maya Foa, direttore del team di Reprieve, l’organizzazione di avvocati contro la pena di morte e la richiesta di grazia.
Quarantasette manifestanti e presunti sostenitori di al-Qaeda sono stati giustiziati in un solo giorno nel mese di gennaio. Nel mese di luglio, il numero di decapitazioni in Arabia Saudita ha raggiunto i 108 quest’anno, mettendo il Paese, che ha una popolazione di quasi 29 milioni di persone, in procinto di superare il 2015 per numero di esecuzioni totali.
L’Arabia Saudita è uno dei carnefici più prolifici del mondo. La ricerca lo scorso anno di Reprieve ha riscontrato che, tra quelli individuati a rischio di esecuzione in Arabia Saudita, il 72 per cento sono stati condannati a morte per presunti reati non violenti, mentre la tortura e le confessioni forzate erano comuni.
Sempre secondo Maya Foa, “Gli stretti alleati dell’Arabia Saudita, tra cui il Regno Unito, devono sollecitare il regno a rilasciare Munir, insieme a tutti gli altri giovani che sono stati condannati a morte per avere protestato contro il regime”.
Sara Hashah, portavoce per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, ha riferito che l’Arabia Saudita è uno dei Paesi responsabili del numero più alto di tutte le esecuzioni registrate a livello mondiale. “In Arabia Saudita, dove le persone sono regolarmente condannate a morte al termine di processi gravemente iniqui, abbiamo visto un aumento drammatico del numero di esecuzioni negli ultimi due anni, che non ha mostrato alcun segno di cedimento nel 2016”.
“Con almeno 158 esecuzioni nel 2015, l’Arabia Saudita è il primo Paese-Boia del mondo, se si considerato il numero degli abitanti. “Le autorità dell’Arabia Saudita devono porre termine alla loro dipendenza da questa crudele forma disumana e degradante delle punizioni immediate”, secondo Nessuno tocchi Caino.
Fonte: Il Faro Sul Mondo
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