Soprattutto in acqua dolce (-85%), poi terra (-69%), mare (-56%)
In 50 anni, dal 1970 al 2020, c’è stato un calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio.
Lo sostiene il “Living Planet Report (Lpr) 2024” del Wwf.
Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla ZSL (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie di vertebrati dal 1970 al 2020.
Il calo più forte si registra negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%).
La perdita e il degrado degli habitat, causati principalmente dai nostri sistemi alimentari, rappresentano la minaccia più frequente per le popolazioni di specie selvatiche di tutto il mondo, seguita dallo sfruttamento eccessivo, dalla diffusione delle specie invasive e di patologie. Il cambiamento climatico rappresenta un’ulteriore minaccia in particolare per la biodiversità in America Latina e nei Caraibi, regioni che hanno registrato un calo medio del 95%. Tra le popolazioni di specie monitorate nell’LPI è segnalato, ad esempio, un calo del 57% tra il 1990 e il 2018 nel numero di femmine nidificanti di tartaruga marina embricata sull’isola Milman, nella Grande Barriera Corallina in Australia; un calo del 65% dell’inia (un delfino di fiume) nel Rio delle Amazzoni e un calo del 75% della più piccola sotalia tra il 1994 e il 2016 nella riserva di Mamirauá sempre in Amazzonia. Lo scorso anno, durante un periodo di caldo estremo e siccità, oltre 330 inie sono morte in soli due laghi. L’indice rivela anche come alcune popolazioni animali si siano stabilizzate o siano aumentate grazie agli sforzi di conservazione, come è accaduto per la sottopopolazione di gorilla di montagna, aumentata di circa il 3% all’anno tra il 2010 e il 2016 all’interno del massiccio del Virunga nell’Africa orientale, e per il bisonte europeo, che ha visto un ritorno delle popolazioni in Europa centrale.
Redazione ANSA