Quando gli animali aiutano l’uomo a curarsi

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Cristina Moretti e il suo cane York realizzano interventi assistiti agli utenti delle comunità psichiatriche della cooperativa sociale L’Arcobaleno: «York è uno strumento fondamentale per muovere – o smuovere – gli utenti dei servizi verso una relazione con lui e con gli altri»

di Luca Cereda

Dai bambini agli anziani, dalle persone con disabilità, a chi soffre di disturbi psichiatrici e del neuro-sviluppo: un cane può essere di grande aiuto. Lo sanno alla cooperativa sociale L’Arcobaleno di Lecco dove hanno iniziato un progetto di pet therapy (tecnicamente Interventi Assistiti con gli Animali IAA) grazie a Cristina Moretti, un’educatrice specializzata: «Insieme agli ospiti della comunità di neuropsichiatria infantile, del Centro Isidoro Meschi e altre comunità di psichiatria e al mio cane York – protagonista di questi progetti – realizzo interventi assistiti, ovvero un tipo di terapia in cui l’animale funge da mediatore tra il terapista e il soggetto del percorso di cura».

Cos’è la pet Teraphy?

Prima di entrare nel cuore delle attività di Cristina e York, è necessario spiegare in cosa consiste la pet teraphy: il termine è stato coniato dallo psichiatra americano Boris Levinson negli anni ’60 del novecento e letteralmente significa “terapia dell’animale da affezione”.

«Si tratta – spiega Cristina Moretti – di una una pratica di supporto ad altre forme di terapia, più tradizionali, che sfrutta gli effetti positivi dati dalla vicinanza degli animali ad una persona. In ambito clinico, si parla di interventi assistiti con gli animali che si svolgono non solo in contesti terapeutici, ma anche educativi o ludici». Gli animali utilizzati sono quelli domestici come cani e gatti, ma anche conigli, e in certi casi si ricorre a cavalli e delfini, diventati anche loro centrali in questo tipo di percorsi.

York, una “molla” che attiva emozioni…

«Nel caso dei nostri progetti – continua Cristina Moretti – lavoriamo con un animale, il mio cane York, insieme agli ospiti della comunità di neuropsichiatria infantile: questi interventi funzionano grazie alla relazione che si instaura fra l’animale e l’utente. L’attività è valida sia con i bambini, sia con gli anziani, ma anche con persone malate o con disabilità, o per chi soffre di stress». Una sintonia complessa e molto delicata tra le parti in causa – terapista, paziente e animale – stimola l’attivazione di alcune emozioni e favorisce l’apertura a nuove esperienze, nuovi modi di comunicare, nuovi interessi.

Ecco un esempio concreto di come Cristina applica un intervento assistito con gli animali: «In comunità psichiatrica, quando abbiamo una persona particolarmente ritirata e che fa fatica a mettersi in relazione con gli altri, o che nelle attività fuori dalla struttura è a disagio, utilizziamo la presenza dell’animale che avvia una relazione spontanea che si estende alla mia presenza di coadiutore». Questo è il punto zero, l’instaurazione di un rapporto spontaneo: «Da lì seguono una serie di proposte che hanno come epicentro la presenza dell’animale che serve da stimolo per migliorare – nel caso analizzato, continua Cristina – la confidenza con lo spazio che circonda la persona e sue relazioni interpersonali».

…e smuove interessi nei pazienti

In questo tipo di percorsi di terapia, dopo il primo contatto, Cristina sollecita grazie a York gli utenti dei servizi della cooperativa con suggerimenti tipo “il cane ora ha bisogno di una passeggiata, andiamo?”, oppure, “portiamolo fuori per fare i bisogni!”, in modo che si crei una routine che li abitui a superare le paure di spazi diversi da quelli di confort e migliori la relazione con un altro essere vivente come il cane e poi anche con le altre persone: «L’obiettivo del percorso è di far nascere dagli utenti stessi, piano piano e un po’ alla volta, proposte e idee di attività da svolgere con l’animale. Quello è il trampolino per le relazioni con gli altri».

L’animale – che sia un cane come York, un gatto o un cavallo – non giudica, non rifiuta: stimola sorrisi, aiutala socializzazione e non ha pregiudizi. «In sua compagnia calano le ansie e le paure. Inoltre, questo tipo di attività attiva una piena espressione delle persone, che tra gli umani si riduce di solito solo al linguaggio verbale».

La pet teraphy e la “formazione” degli animali

«Gli animali che svolgono IAA non sono sottoposti ad un vero e proprio addestramento – precisa Cristina Moretti – ma a un “training” e a delle sessioni che li preparino ad aiutare gli esseri umani: con loro si lavora per esaltare le caratteristiche che già hanno per natura, come la socievolezza, la giocosità e la disposizione al contatto con persone che non conoscono». Infatti gli animali protagonisti di questo tipo di terapia, secondo le linee guida nazionali, devono prima seguire un “corso di formazione” insieme al proprietario o educatore. Soltanto così può viene certificato attraverso dei requisiti comportamentali e la buona relazione che ha con il suo conduttore, ovvero la persona che lo ha addestrato e che seguirà insieme al terapeuta l’incontro tra l’animale e il paziente.

Questo tipo di terapia è, in definitiva, volto al miglioramento della relazione tra pazienti e terapeuta, sopratutto come nel caso della cooperativa L’Arcobaleno che destina queste attività ad utenti con disturbi psichiatrici: la pet therapy infatti aiuta ad abbassare il livello di apprensione del paziente nei confronti del proprio terapista, ma «non va ad agire solo a livello della salute psichica, ma anche a favore del benessere fisico. Vengono proposte delle sedute di questo tipo a bambini o pazienti con disabilità e difficoltà motorie, che possono riguardare il movimento degli arti, l’equilibrio e la coordinazione. Per esempio, le attività di comando o di agilità con i cani sono molto utili per migliorare le capacità di orientamento spazio-temporali», conclude Moretti.

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