Dopo numerose denunce a tutte le istituzioni competenti in tema di politiche abitative, Roma Capitale ha proposto un alloggio alternativo che però è stato “rifiutato per barriere architettoniche”
La prima richiesta al dipartimento Politiche abitative del Comune di Roma per il cambio di alloggio popolare risale a oltre due anni fa. Da allora, ogni giorno, una famiglia composta da un anziano costretto a letto, un giovane con problemi psichiatrici, entrambi invalidi al cento per cento, e una donna con ‘ridotte capacità motorie’, con invalidità riconosciuta all’80 per cento, fa i conti con un appartamento dove non c’è abbastanza spazio per tutti, con cavi elettrici scoperti e infiltrazioni in bagno. La loro richiesta è finita sulle scrivanie di molti uffici istituzionali, dal ministero delle Infrastrutture a quello delle Politiche Sociali e fino al dipartimento Politiche abitative della Regione Lazio, che a loro volta hanno scritto al Comune di Roma chiedendo delucidazioni in merito e sollecitando soluzioni.
Soluzioni che, però, non sono arrivate.
L’11 novembre scorso, infatti, dal dipartimento Politiche abitative di Roma Capitale è arrivata la tanto attesa proposta alternativa ma la famiglia l’ha rifiutata per “presenza di barriere architettoniche (ascensore e bagno con vasca)”. L’amministratore di sostegno del nucleo familiare ha denunciato a Romatoday: “Anche questo appartamento è troppo piccolo per le loro esigenze. Ha due camere solo perché sono state ricavate da una sola stanza con una parete di cartongesso e legno, probabilmente messa lì dal precedente inquilino”.
L’odissea abitativa di questa famiglia parte nel 2006 quando la perdita del lavoro da parte dell’uomo li ha portati allo sfratto. Senza alternative, la famiglia si trasferisce in una caserma occupata in via Gottardo, a Pietralata. Due anni più tardi l’immobile è parzialmente coinvolto in un incendio e i residenti restano senza casa. Per alcuni mesi vengono collocati in un dormitorio all’ex fiera di Roma, poi nel 2009 vengono trasferiti in un residence in zona Romanina, in attesa di una casa popolare.
“Con gli anni le condizioni del nucleo familiare si sono aggravate”, racconta a Romatoday l’amministratore di sostegno. L’uomo, oggi 75enne, non è più autosufficiente ed è costretto in carrozzina e a un’assistenza quotidiana. Il figlio, 23enne, è invalido al cento per cento per una disabilità mentale. La donna, 66 anni, presenta ridotte capacità motorie. L’assegnazione della casa popolare avviene nel 2018. L’appartamento si trova a Tor Bella Monaca. “Nonostante il dipartimento Politiche abitative fosse a conoscenza delle problematiche di questo nucleo ha proceduto lo stesso con l’assegnazione di un alloggio non idoneo, grande poco meno di 50 metri quadrati. Una scelta praticamente forzata dal momento che il secondo immobile a disposizione non era dotato di ascensore. Al momento dell’assegnazione gli è stato detto che se avessero rinunciato avrebbero perso il diritto a una casa popolare e così hanno firmato”.
La vita nell’appartamento di Tor Bella Monaca si rivela subito un inferno. “Il padre dorme in salone perché necessita di spazio: usa un letto da ospedale e si muove su una carrozzina. La madre dorme in corridoio perché il figlio ha bisogno di una stanza tutta sua: le sue condizioni di salute richiedono un ambiente che lo tranquillizzi. Per lui il trasferimento dal residence ha comportato la perdita di tutti i punti di riferimento di natura socio-assistenziale, compresi scuola e associazioni e centri sportivi per ragazzi disabili che ha frequentato per anni acquistando una piccola autonomia che ha perso dopo il trasloco. Le sue condizioni di salute, aggravate dalla quarantena e dall’emergenza Coronavirus, sono molto peggiorate. È diventato più aggressivo. Capita che si metta a urlare disturbando i vicini e i rapporti sono tesi. Così al disagio di vivere in un appartamento simile si è unita la paura di qualche ritorsione”, continua. “I genitori sono anziani. Inserirlo in un quartiere con servizi socio-assistenziali di riferimento permetterebbe di costruire un percorso di semi-autonomia in vista degli anni futuri. Invece così la situazione peggiora costantemente”.
In una nota del 5 novembre 2019, inoltre, la Asl Roma 2 nel resoconto del sopralluogo scriveva: “Impianto elettrico con cavi scoperti nei punti luce centrali nei quali non c’è presenza di illuminazione”; “l’uso del water sarebbe associato alla formazione di infilitrazioni nell’unità sottostante”; “la caldaia a gas è inserita nel vano di una parete isolato dal resto della stanza”.Per tutti questi motivi fin da subito, nel giugno del 2018, è stata inoltrata la richiesta di cambiare l’alloggio e ottenerne uno adeguato a una famiglia con disabili. “Passavano i mesi e nessuno ci rispondeva. Così ci siamo rivolti a tutte le istituzioni competenti in materia di politiche abitativa, a un avvocato e ai sindacati. Volevamo capire perché nessuno ci rispondeva”, continua l’amministratore di sostegno. La convocazione è arrivata a ottobre 2020. “Un funzionario del comune ci ha spiegato che in questo momento non ci sono alloggi per persone con disabilità e che in mancanza potevamo tentare di effettuare un cambio con un alloggio più grande. Ma quando siamo andati a vedere il nuovo alloggio abbiamo capito che era inadeguato. Quanto devo aspettare ancora per far vivere una vita dignitosa a questa famiglia?”.