Invalido al 100 per cento, il grido di mamma Raffaella: «Come fa a vivere con 285 euro al mese?»

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ll centro diurno costa oltre 300 euro al mese, la pensione non copre neppure questa spesa. Ieri la pronuncia della Corte Costituzionale: «Troppo basso l’assegno di mantenimento statale». I genitori sperano

Sabrina ha 50 anni, è autistica e sordomuta. Vive con i suoi genitori, Franco e Rosanna Tonoli, a Gaggiano, nel Milanese e durante la settimana frequenta un centro diurno per disabili. Gianmarco invece ha 30 anni, anche lui è affetto da autismo e vive coi genitori, Raffaella e Giovanni Gurgoglione. Sia Sabrina che Gianmarco sono invalidi al 100 per cento. Da quando hanno compiuto 18 anni, le loro famiglie ricevono la pensione di 285,66 euro al mese, per le persone totalmente inabili al lavoro, a causa di gravi disabilità. Una cifra che, ha stabilito mercoledì 23 giugno la Corte Costituzionale, viola «il diritto al mantenimento, che la Costituzione all’articolo 38 garantisce agli inabili», perché quei pochi euro «non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita». «Il centro diurno di Gianmarco costa oltre 300 euro al mese, quindi la pensione non ci copre neppure questa spesa. Senza contare tutto il resto», racconta Raffaella che con altre famiglie di persone disabili, ha fondato l’associazione Gaudio onlus ed è portavoce anche di Uniti per l’autismo.

«I genitori di ragazzi autistici – dice Raffaella – sono tra quelli che hanno maggiori spese. Da piccoli devono sobbarcarsi terapie di tipo cognitivo-comportamentale piuttosto costose. Da adulti, a seconda della gravità subentrano altre spese. E poi, se si chiama ‘pensione’, dovrebbe servire anche ad acquistare beni di prima necessità, dal cibo all’abbigliamento. Invece è diventata una cifra simbolica» Quando nasce un figlio disabile, quasi dei suoi genitori è costretto a lasciare il lavoro. È successo a Rosanna, la mamma di Sabrina. «Io avevo un buon posto e così al lavoro ha rinunciato lei. Una pensione del genere è una cifra irrisoria, se lavora solo un genitore», dice Franco Tonoli, 79 anni, tra i fondatori dell’Anffas di Abbiategrasso. La diagnosi del disturbo di Sabrina è arrivata quando aveva 15 anni e dopo due viaggi della speranza, in Svizzera e negli Stati Uniti.

«Nel caso di nostra figlia – spiega Franco – con la pensione paghiamo in parte la retta del centro diurno. A tutto il resto, medicine, terapie aggiuntive, soggiorni estivi che per i ragazzi sono fondamentali, perché sono, a loro volta, esperienze educative e di sollievo per le famiglie, dobbiamo pensare noi». Ma ci sono famiglie con difficoltà economiche i cui ragazzi devono rinunciare alle terapie e quindi regredire nella loro disabilità. «Ricordo una compagna di Sabrina, era arrivata a pesare 130 kg e a spostarsi solo in carrozzella. Con le terapie era dimagrita, era tornata a camminare e a esprimersi verbalmente. Ora non più». «Speriamo che la decisione della Consulta abbia un effetto sul governo. Una pensione dignitosa cambia la prospettiva, in vista del progetto di vita di una persona disabile», conclude Raffaella. «L’aspettativa di vita dei disabili è quasi raddoppiata – dice Franco – ed è urgente che il Dopo di Noi diventi una realtà, per garantire ai disabili un futuro in un luogo adatto a loro, non una casa di riposo».

Proprio per questo, Tonoli e altre famiglie, in trent’anni di attivismo incessante, hanno costruito a Abbiategrasso una residenza dove, fra camere e mini alloggi indipendenti, i loro figli e altri ragazzi disabili potranno vivere in semi autonomia. La struttura è pronta da 3 anni, ma attende l’accreditamento da parte di Regione Lombardia, che servirebbe ad abbassare i costi, per poter accogliere i primi ospiti. E ora le nuove regole della Fase 2 rischiano di far slittare ancora i tempi.

 

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