Un’esperienza comune a tanti, se non a tutti, è quello di riprendere in mano, in età adulta, i classici della letteratura, a questi approcciandosi diversamente rispetto al primo incontro prettamente scolastico.
Ci riferiamo qui e ora, in particolare, ai poemi omerici: ai bei tempi della scuola, francamente, molti se ne interessavano più nella misura necessaria a strappare la fatidica sufficienza, che per il loro insito e mirabile valore letterario.
Un vero delitto, perché le storie erano belle e avvincenti, nulla da dire, veri thriller dell’epoca, tutti le ricordiamo con piacere, erano racconti affascinanti, ricchi di azione e colpi di scena.
Basti pensare alla guerra di Troia, agli eroi “senza macchia e senza paura” Achille e Ulisse, agli episodi granguignoleschi, autentiche scene di splatter: come il cruento e bestiale pasto del ciclope, e il suo accecamento con un palo incandescente descritto come rigirato con solerzia nell’orbita, un po’ come un mestolo di legno nel ragù, ma più sanguinolento, e via così.
Lo stress da interrogazione, la preoccupazione scolastica sminuiva il piacere della lettura, il voto in pagella era prioritario nel proprio pensiero, l’interesse per l’opera era relativo.
La pubblicazione de “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre” a firma della scrittrice, e per inciso anche insegnante, Marilù Oliva sembra, a una prima impressione, una semplice, anche gradita, rivisitazione del poema omerico. L’ennesima, d’altra parte.
Fa venire voglia di riprendere finalmente dall’inizio e con calma quella lettura, a suo tempo frettolosa e frammentaria.
Niente di più sbagliato, a mio parere, non è questo il nostro caso, né l’intendimento originario. Marilù Oliva non ci presenta alcuna rivisitazione, non ci offre una versione riveduta e corretta delle peregrinazioni di Odisseo, semplicemente espone lo stesso testo, con l’identica trama, presenti i soliti noti personaggi, stabili nell’immaginario letterario collettivo.
Il tutto, però, semplicemente visto da una diversa prospettiva.
Un punto di vista, un’angolazione differente, senza nulla inventare ex novo.
I capitoli che la scrittrice bolognese ci invita a considerare, non sono né nuovi né aggiunti o modificati in qualche modo.
Ci sono sempre stati, erano sempre evidenti, posti in bella mostra sotto gli occhi di tutti, irrefutabili a qualsiasi lettura, oserei dire che erano i veri assoluti punti forti del poema.
In estrema sintesi, infatti, la tesi, quanto mai valida e incontestabile esposta in questo libro, è quella di rimarcare il concetto che l’autore o gli autori del racconto del decennale viaggio di ritorno a casa sua di un eroe greco, tenendo presenti quei capitoli, che sono i più, anziché incensare l’Odisseo, avrebbe o avrebbero fatto meglio a puntare l’indice altrove.
L’intero poema avrebbe dovuto a ragione intitolarsi diversamente, ma soprattutto sarebbe dovuto essere declinato in genere diverso, al femminile, perché le vere, uniche, principali protagoniste del poema, e tutte di un certo spessore, sono esclusivamente loro, le donne.
Quelle che da sempre, a torto, sono considerate le comprimarie del poema, le figure relegate quasi nei ruoli di spalla di Ulisse, sono in realtà la “conditio sine qua non” l’intera storia non avrebbe mai potuto realizzarsi.
Non è su Ulisse che va puntato lo spot, o almeno non solo su di lui; i riflettori vanno puntati, con pari dignità, sulle protagoniste femminili onnipresenti in queste pagine.
Marilù Oliva si limita a indicarcelo, e non altro.
Sembra il suo un ripetere un particolare trascurabile, è invece un valente servizio sociale in forma letteraria quello che ci elargisce, notevole e rilevante di questi tempi.
Tempi in cui, ancora, tuttora, senza che se ne veda la fine, la luce in fondo al tunnel, s’insinua in pubblico, e neanche troppo velatamente, la necessaria netta distinzione di ruoli e di valori tra uomini e donne, se ne suggerisce al sempiterno “sesso debole” la posizione defilata, manco fosse un gioco dei quattro cantoni, quando invece è ad esempio Ulisse, nel nostro caso, con tutta evidenza, a dover fare un doveroso passo indietro.
Non è quello di Marilù Oliva un lavoro politico inneggiante al femminismo, non è un incensare alla parità di genere, è il testo epico differentemente sottolineato, e pure ben scritto, tra l’altro, ricalca il lavoro di Omero, con quello in più di ristabilire la realtà letteraria dei fatti.
Certamente l’”Odissea”, per una falsa e determinata ridondanza, è una storia che ci sembra incentrata esclusivamente su Ulisse, in realtà essa è una storia raccontata dalle donne che vivono con lui le sue avventure, con uguale partecipazione e dignità scenica.
Ulisse è un eroe unico, e multiforme: è ugualmente abile in vari ruoli, come guerriero e come amante, come diplomatico e come marinaio, come stratega e marito, è astuto, intelligente, scaltro, curioso.
Certamente: e però necessita sempre di un supporto femminile per mostrare al meglio ciascuna delle sue caratteristiche; ha finanche una dea, Atena, schierata dalla sua parte.
A ognuna delle sue versioni caratteriali, corrispondono, infatti, altrettante eroine.
L’amante formidabile, l’uomo prestante e bellissimo, si confronta con Calipso, l’emblema della donna innamorata, attaccatissima al suo uomo, che come tutte le donne innamorate si rassegna a perderlo, con dignità seppure a malincuore, non tanto perché costretta dagli dei, ma perché vedendolo preso perdutamente da altro pensiero.
Solo una donna ha sensibilità e nobiltà d’animo tali da rassegnarsi a lasciar andare chi per lei ha solo il corpo da dare, ma non anche il cuore: nessun uomo se ne farebbe simile scrupolo, anche ricorrendo alla forza.
Sa essere diplomatico e affascinante Ulisse con Nausicaa, che certo è poco più di una bambina, una ragazzina, ma è solo per il suo intervento pietoso che è rimesso in piedi.
Quanta saggezza, quanta umanità in questa giovane donna, che mostra subito di sé l’empatia innata di genere, l’esatto inverso dell’egoismo e della insensibilità degli uomini, quanto espone un pensiero quanto mai attuale: “Nessun migrante è un uomo qualunque, nessuno merita di essere ignorato. Dietro ogni esule si nascondono storie che tutti dovremmo ascoltare attentamente, perché potrebbero ribaltare ogni pregiudizio”; quasi a suggerire nessun “porto chiuso”, nessun “prima i feaci”.
È affascinante e curioso, Odisseo, ma non superiore in scaltrezza con Circe: la maga, o presunta tale, sa perfettamente che, anche nella testa dell’eroe greco, per quanto illuminato, è ben fissa e radicata l’idea che “…la donna, nel nostro tempo antico, serve solo per procreare o dedicarsi alla famiglia, o accondiscendere al piacere dei maschi”; quindi si difende, e alla grande anche, devono intervenire gli dei perché l’eroe possa allontanarsi dall’isola del dott. Moreau dove svernava.
È marito devoto di Penelope, ansioso di rivederla, combatte e si sbatte in fatiche per ritornare da lei…che non gli è da meno, proprio no, un compito il suo assai più difficile nel frattempo della sua latitanza, tenendo a bada da sola, con astuzia e intelligenza solo femminile, una banda di pericolosi latenti stupratori, prima ancora che usurpatori del trono; una donna, una moglie, che come solo una donna sa fare alla fine di tutto può ben considerare: “…Sono di nuovo al tuo fianco, amore mio. Ci sono sempre stata”.
Il ragazzo, intanto, con lei ci stava accanto solo con il pensiero, non anche con il corpo.
Un obiettivo punto di vista, un modo originale per rileggere il poema omerico, un gran bel libro questo di Marilù Oliva; che ha il gran merito artistico di ricordare, non a caso è un’insegnante, con semplicità e incisività insieme, l’importanza di insegnare i valori, oggi pericolosamente in decadenza, del rispetto, dell’accoglienza, della solidarietà.
Solo in questo modo, è tutto il genere umano che avanza, a fianco a fianco, con pari dignità, e nessuno resta un passo indietro, com’è giusto che sia: questo sì, un gesto epico.
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