«Infami», «vermi», «approfittatori», per arrivare fino a «criminali». Un atto d’accusa durissimo, quello di Gianbruno Cecchin, 48enne docente universitario di Filosofia, bioetica e antropologia filosofica oltreché libero professionista nell’ambito della comunicazione e delle risorse umane, che ha deciso di denunciare pubblicamente gli abusi sessuali che sostiene di aver subito quando frequentava il seminario vescovile di Treviso.
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Sono passati quasi 30 anni da quelle violenze, quasi sei lustri fatti di silenzi e sofferenze. «Dio non archivia» scrive il professore, dando mandato ai suoi legali di depositare in Procura a Treviso una querela contro i suoi due aguzzini: all’epoca dei fatti erano il responsabile della Comunità Vocazionale e il suo assistente, ora sono entrambi parroci, uno nel veneziano e l’altro nel padovano.
Il fascicolo sarà nelle mani degli inquirenti lunedì, quando gli avvocati saliranno al terzo piano del palazzo di giustizia di via Verdi. Ma una lettera in cui il 48enne descrive i traumi conseguenti agli abusi sessuali è già stata recapitata al vescovo di Treviso, monsignor Michele Tomasi, e per conoscenza anche a Papa Francesco, al presidente della Cei e arcivescovo metropolita di Perugia – Città della Pieve, cardinale Gualtiero Bassetti, al prefetto della Congregazione per il clero, cardinale Beniamo Stella, e ai due vescovi emeriti di Treviso, monsignor Gianfranco Agostino Gardin e monsignor Paolo Magnani.
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LO SFOGO
A spingere il docente a trovare il coraggio di denunciare le vessazioni di cui dice di essere stato vittima nell’anno del seminario, è stato per sua ammissione il summit che si è svolto in Vaticano (che definisce «il luogo dove alberga Satana») sul tema della pedofilia. «La mia vicenda è quella di tanti ragazzi vissuti all’ombra del campanile, negli ambienti della chiesa fin da piccolo – scrive Cecchin – A 8 anni ho iniziato a fare il chierichetto, a 15 l’animatore nella mia parrocchia, a 18 a frequentare il Gruppo Diaspora perché sentivo una sorta di chiamata a diventare prete. L’anno successivo, dopo la maturità, sono entrato in comunità vocazionale. Ero pieno di vita e di sogni, volevo fare un’esperienza forte per capire meglio la mia vocazione – continua -. Ma è stato proprio lì dentro, nelle maledette mura del seminario, altro luogo satanico, che è avvenuto quello che mai avrei pensato mi succedesse. Per un anno non ho avuto la forza di andarmene, anche perché erano tempi in cui ancora non si poteva parlare di pedofilia e di abusi sessuali da parte di preti».
Il 48enne racconta della notte passata a dormire in macchina dopo essere fuggito dal seminario per cercare aiuto all’episcopio parlando con l’allora vicario generale, monsignor Angelo Daniel, oggi vescovo emerito di Chioggia. Non riuscì a dire nulla. Era marzo, anno 1991. Cecchin ha lasciato il seminario a luglio: in quei quattro mesi avrebbe subito altre violenze. Molte dice di averle rimosse, ma più di una decina le ricorda meticolosamente. «Non si possono dimenticare quei pomeriggi terribili e nefandi a fare “direzione spirituale” all’interno di quella camera da letto».
Il professore parla di rapporti sessuali, di costrizioni, di vessazioni psicologiche. e anche di minacce: «Ancora oggi – afferma – vengo minacciato di morte da questi preti che hanno abusato sessualmente di me o mi fanno arrivare messaggi da altri preti o uomini di curia: “Se parli sei morto”».
L’INCONTRO
La Diocesi di Treviso conferma: «La persona aveva un appuntamento già fissato con il vescovo Michele Tomasi la prossima settimana – fa sapere il vicario generale, monsignor Adriano Cevolotto – L’incontro era stato concordato per poter ascoltare con massima disponibilità la persona che, evidentemente, ha però scelto di agire diversamente». La lettera di Cecchin è stata recapitata il 16 dicembre scorso, ma allora l’uomo non ha avuto risposta. Il vescovo Michele Tomasi gli ha telefonato dopo aver ricevuto una seconda missiva a fine gennaio. Un incontro era stato fissato il 10 febbraio, poi rinviato dal monsignore per un impegno improvviso. Si sarebbe dovuto tenere venerdì prossimo, il 21 febbraio, ma Cecchin ha declinato l’invito: «Io voglio che il vescovo agisca, non che mi parli – dichiara -. Mi sono fatto sbattezzare perché non credo più in Dio e nella giustizia divina, ma credo in quella terrena e pretendo che sia fatta».
La svolta è arrivata nel 2010. Dopo aver pensato più volte al suicidio, il professore ha conosciuto il suo attuale compagno, un medico francese, durante l’anno di volontariato assieme a Medici senza Frontiere passato ad Haiti dopo il terremoto. «Lì mi sono ritrovato e ho scoperto anche l’amore. È stato lui a dirmi che dovevo togliermi questo peso per poter essere felice. Dovevo farlo, perché vogliamo sposarci e adottare due bambini. Ecco perché ha deciso di denunciare».
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