Si è aperto in Argentina, a Mendoza, il primo processo nei confronti dei religiosi dell’Istituto Provolo per l’educazione dei sordomuti – con sede a Verona ma presente in vari paesi nel mondo – travolto da ormai più di dieci anni da uno dei più gravi scandali internazionali di pedofilia nella Chiesa cattolica, denunciato nel 2009 per la prima volta dall’Espresso e rimasto fino ad ora totalmente impunito. Il dibattimento verrà tradotto integralmente e in simultanea nella lingua dei segni.
Davanti al giudice Carlos Díaz, in un processo celebrato a porte chiuse per via della crudezza delle testimonianze e della minore età delle vittime, i tre imputati si sono rifiutati di rispondere alle domande e hanno chiesto che i minori tornino in aula per testimoniare sui fatti contestati, istanza rigettata per evitare di rinnovare inutilmente la sofferenza alle vittime: verranno utilizzate le testimonianze acquisite nel corso delle audizioni protette. Il sacerdote veronese Nicola Corradi, 83 anni, l’argentino Horacio Corbacho, 59, e l’impiegato Armando Gómez, 57, sono accusati di abusi sessuali aggravati nei confronti di minori, avvenuti tra il 2005 e il 2015. L’inchiesta di Mendoza però è più ampia e riguarda in totale 14 indagati, tra cui una suora e undici civili, e ha già portato a una condanna a dieci anni con rito abbreviato per il religioso Jorge Luis Bordón, accusato in parte degli stessi fatti oggetto del processo di Mendoza
Pedofilia, 50 anni di violenze
La magistratura argentina sarà dunque la prima nel mondo a fornire una verità giudiziaria su caso Provolo, i cui raccapriccianti abusi ricostruiti dalle testimonianze delle vittime iniziarono a Verona negli anni ’60, e proseguirono nelle sedi sudamericane dell’istituto, in cui i sacerdoti venivano di volta in volta trasferiti. Questo sistema alla “Spotlight” trova riscontro anche nelle carte giudiziarie italiane. Le «tendenze pedofile» di Nicola Corradi, secondo la Procura di Verona che nel gennaio del 2018 ha archiviato le indagini per favoreggiamento dei sacerdoti arrestati in Argentina, erano note all’interno delle congregazione del Provolo già dal «gennaio del 1970», data in cui il prete «si trasferì (o fu fatto trasferire?)» – si legge nella richiesta di archiviazione firmata dal pm veronese Valeria Ardito – e in cui «avrebbe dovuto effettuarsi un oculato controllo sulla sede presso la quale il sacerdote sarebbe stato destinato».
Ma le autorità ecclesiastiche non fecero nulla. Nemmeno quando, in occasione della denuncia collettiva davanti alle telecamere dell’Espresso nel 2009, una delle vittime degli abusi fece proprio il nome di don Corradi: nell’inchiesta ecclesiastica che seguì, conclusa nel 2011, la posizione di Corradi non fu nemmeno esaminata. Poco dopo, nel novembre del 2016, Corradi viene arrestato in Argentina per le violenze denunciate a Mendoza.
La causa di Mendoza è solo la prima. Le indagini si sono presto estese anche all’altra sede argentina del Provolo nella città La Plata, capoluogo della provincia di Buenos Aires. Anche in quell’inchiesta, Nicola Corradi è accusato di violenze sessuali sui minori sordomuti commesse in anni precedenti, insieme al religioso veronese Eliseo Pirmati, tornato a vivere nel 2017 nella sede centrale del Provolo a Verona e su cui pende una richiesta di estradizione in Argentina, e al guardiano José Britez A La Plata, i pm argentini contestano agli indagati in alcuni casi anche la «riduzione in schiavitù» dei bimbi e l’esercizio di una violenza che «in nulla si differenzia dalla tortura». Non mancano le frizioni con le gerarchie cattoliche locali e con il Vaticano, da cui dipende direttamente la congregazione di cui fa parte il Provolo: «Nessuna collaborazione da parte della Chiesa cattolica – ha denunciato il pm argentino Gustavo Stroppiana -, il vescovo Alberto Bochatey, commissario designato da Papa Francesco nel caso Provolo, non ha mai chiesto di parlare con me né ha fornito informazioni utili all’indagine».
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