Il ruolo dell’Assistente alla Comunicazione per gli studenti sordi

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Sara Valli è Assistente alla Comunicazione e Interprete di Lingua dei Segni Italiana. Lavora come supervisore di progetti per l’assistenza alla comunicazione per bambini sordi o con difficoltà nel linguaggio verbale nella zona sud di Milano per conto dell’associazione AIAS di Milano Onlus. Lavora nelle scuole di ogni ordine e grado insieme ai bambini sordi o con difficoltà comunicative, si occupa di formazione e aggiornamento degli Assistenti alla Comunicazione e collabora alla stesura dei progetti di vita dei bambini.

1) Chi è l’Assistente alla Comunicazione (AsCo)?
L’Assistente alla Comunicazione è una figura professionale specializzata, prevista dalla Legge quadro 104 del 05/02/1992, con funzione di mediatore socio-educativo e della comunicazione, che opera in contesti educativi. Si rivolge a persone (prevalentemente minori) con disabilità sensoriali o difficoltà comunicative, con l’obiettivo di garantirne la piena inclusione didattica e relazionale, collaborando con la famiglia e tutte le figure professionali coinvolte nel suo percorso.

2) Quali sono le sue mansioni?
L’Assistente alla Comunicazione opera in collaborazione con le altre figure professionali e in accordo con le famiglie, per garantire il diritto allo studio e la piena inclusione dei bambini e ragazzi che affianca, costruendo con loro – e aiutandoli a sviluppare – tutti gli strumenti utili al raggiungimento del massimo grado di autonomia; rende accessibili i contenuti didattici, sociali, ambientali e relazionali del contesto nel quale avviene il suo intervento. È una figura esperta nella comunicazione, non solo dal punto di vista strettamente linguistico, ma anche per quanto riguarda l’abbattimento di tutte le possibili barriere comunicative, l’adattamento del materiale didattico e del setting scolastico, la costruzione degli strumenti compensativi con l’obiettivo di rendere quanto più possibile il bambino autonomo.

3) Come lo si diventa?
Il percorso formativo che porta al raggiungimento della qualifica di Assistente alla Comunicazione, purtroppo, varia ancora molto a seconda delle regioni d’Italia di cui parliamo. Esistono corsi post-diploma e altri post-laurea, corsi di formazione specifici sulla sordità, altri che comprendono una preparazione su altre disabilità non necessariamente sensoriali. La figura dell’Assistente alla Comunicazione assume anche diversi nomi (educatore, ripetitore labiale…) in base alla regione in cui si trova a operare. Anche questo contribuisce alla grande confusione e diffusa ignoranza al riguardo.

4) Esistono delle leggi a tutela di tale figura?
Ad oggi, l’unica legge in cui si fa specifico riferimento alla figura dell’Assistente alla Comunicazione è la Legge quadro 104/1992 in materia di disabilità, nello specifico gli articoli 13 e 16, dove si prevede la sua presenza sia in classe, sia durante le prove d’esame. La gestione economica, formativa e logistica degli AS.CO è rimandata ai diversi enti territoriali. Per questo motivo, in alcune regioni d’Italia, come ad esempio la Lombardia, esistono delle linee guida locali che regolano i fondi e la gestione oraria del servizio di assistenza alla comunicazione; non esiste, al momento, alcuna normativa di riferimento che regolamenti tutti questi aspetti in modo uniforme a livello nazionale. Si può dire, quindi, che la legge fa riferimento alla necessità di tale figura, ma non che la tuteli.

5) Come è inquadrato contrattualmente un Assistente alla Comunicazione?
Come naturale conseguenza di quello fin qui detto, anche l’inquadramento contrattuale degli Assistenti alla Comunicazione è alquanto vario e dipende dalla regione, a volte dalla provincia, fino ad arrivare ai singoli casi, a seconda del datore di lavoro. Ci si può trovare, così, a lavorare con contratti dalle forme e con le diciture più svariate: si va dall’assistente ad personam all’educatore*, passando addirittura per badante o colf! Contratti annuali, a tempo determinato o indeterminato, stipulati con cooperative o enti vari, Regioni, Provincie, Comuni, oppure assunti direttamente dalle scuole o dalle singole famiglie, con partita iva… insomma, le formule sono innumerevoli e, nella maggior parte dei casi, irrispettose della professionalità degli assistenti. *non apriamo il capitolo Legge Iori e ricadute sugli AS.CO senza laurea che, per poter continuare a lavorare con contratti con definizione “educatore”, si trovano a dover conseguire 60 cfu entro il 2020. Una forzatura che rasenta l’assurdo.

6) Quali sono le criticità legate a questa professione?
Oltre al mancato riconoscimento dal punto di vista legislativo e contrattuale, l’Assistente alla Comunicazione molto spesso non sa a che punto dell’anno scolastico inizierà a lavorare, perché l’avvio del servizio dipende sempre dall’assegnazione dei fondi a esso destinati. La scuola inizia sempre nel mese di settembre, ma gli accordi in tal senso possono arrivare a ottobre come a dicembre e non sempre garantiscono il finanziamento del servizio fino a giugno. In alcuni casi vengono accordate proroghe di mese in mese, creando una situazione insostenibile anche per le famiglie, per i bambini e per la scuola, oltre che una precarietà devastante per gli assistenti. Superato lo scoglio della data di partenza, poi, L’AS.CO non è nemmeno molto conosciuto nell’ambiente stesso di lavoro. Quando entriamo in una classe, è quasi sistematico che l’AS.CO si trovi a realizzare, entro breve, che nessuno dei colleghi (insegnanti, educatori, ma anche gli stessi Dirigenti Scolastici) ha la minima idea di quale sia il suo ruolo, a quale scopo sia stato affiancato a uno studente e con quali competenze. Chi sono gli Assistenti alla Comunicazione? Interpreti, educatori, assistenti igienico-sanitari, logopedisti, “vice-insegnanti di sostegno”, tappabuchi dell’orario degli altri docenti? In genere, nessuno lo sa. Gli Assistenti alla Comunicazione devono innanzi tutto spiegare, alle altre figure professionali con cui collaborano, quali siano le loro reali mansioni e quanto sia importante che ogni professionista porti il suo contributo al fine di creare insieme il progetto di vita in vista del benessere del bambino. Immaginiamo che un avvocato, un infermiere o un architetto debba costantemente ribadire le proprie mansioni sul posto di lavoro, perché ci si aspetta da lui che faccia l’usciere, il chirurgo o l’imbianchino, a seconda di quello che gli altri richiedano o di quello che manca in quel momento. Le paghe orarie variano enormemente a seconda dei contratti, toccando minimi vergognosi, e la retribuzione, che viene meno ogni qualvolta l’alunno è assente, può subire forti ritardi anche di mesi. Non sto neanche, qui, considerando le criticità date dalla delicatezza e complessità della professione in sé, che ci piacerebbe, un giorno, potessero diventare finalmente l’argomento di cui discutere quando ci si chiede del nostro bellissimo lavoro. La mia esperienza personale è molto diversa da quanto detto fin qui. Io ho un contratto (purtroppo come “educatore”, ma questo dipende dall’assenza della nostra figura all’interno del CNL) a tempo indeterminato che mi tutela e mi garantisce lo stipendio per 13 mesi l’anno. Nel mio ambiente di lavoro la professionalità e la formazione degli Assistenti alla Comunicazione non solo viene riconosciuta, ma anche garantita, in quanto ricopre un gran valore che garantisce puntualità e qualità al servizio e consente agli Assistenti alla Comunicazione di lavorare nel rispetto della professione e in contesti sereni.

7) Chi si occupa dell’assegnazione dell’AsCo all’alunno sordo e del relativo monte ore?
L’assegnazione delle ore e la contrattualizzazione è diversa in tutta Italia. In Lombardia, per esempio, è ATS (Azienda Tutela Salute) che definisce il monte ore settimanale per ogni bambino ed è la cooperativa, l’Associazione o l’ente accreditato che, dopo essere stato scelto dalla famiglia del minore, utilizzando i fondi regionali si occupa del servizio di assistenza alla comunicazione.

8) Qual è il tipo di collaborazione che si instaura tra insegnante di sostegno e AsCo?
Quando i ruoli sono chiari, le due figure collaborano confrontandosi sul percorso dell’alunno, condividendo e concordando le modalità di intervento e le strategie più adatte alla piena inclusione del bambino. Può verificarsi che l’Assistente alla Comunicazione si trovi a dover fornire informazioni anche molto basilari agli insegnanti (di sostegno e curricolari) sulle peculiarità ed esigenze principali dei bambini e ragazzi con i quali lavorano, anche questo fa parte dei suoi compiti, ma non essendoci ore dedicate alla condivisione delle informazioni, alle équipe e alle supervisioni, queste ore possono essere sottratte dal monte ore del ragazzo o, più spesso, vengono fatte gratuitamente dall’ASCO.

9) Con quali altre figure è solito interfacciarsi l’AsCo?
Al fine di garantire al bambino un progetto di vita pensato che possa renderlo quanto più possibile autonomo e che gli consenta di sviluppare tutte le competenze necessarie alla sua autonomia didattica, comunicativa e relazionale, l’Assistente alla Comunicazione deve collaborare e condividere con tutte le figure professionali che lavorano con l’alunno, ossia gli insegnanti e, qualora ci siano, logopedista, neuropsichiatra, logogenista, psicomotricista e tutte quelle che possono gravitare intorno a lui.

10) AsCo e ASACOM: quali (eventuali) differenze?
L’Assistente alla Comunicazione lavora insieme al bambino con l’obiettivo principale di renderlo autonomo a livello comunicativo e, di conseguenza, relazionale e didattico. L’Assistente all’Autonomia, che in alcune zone della Lombardia è chiamato “educatore”, lavora in vista dell’autonomia del bambino e cura principalmente l’aspetto educativo. L’Assistente alla Comunicazione, dal mio punto di vista, è in primis un educatore che si è specializzato sulle difficoltà di comunicazione e linguistiche, per questo le due figure si supportano, si compensano e si completano.

11) Si è annunciata la firma di un protocollo d’intesa tra l’ENS (Ente Nazionale Sordi), il Ministero dell’Istruzione e il Ministero per le Disabilità con il quale si avvia il primo progetto di formazione rivolto a docenti di sostegno e curricolari per l’acquisizione delle competenze in Lingua dei Segni Italiana. Cosa ne pensi?
Trovo che sia un ottimo punto di partenza. La sordità è una disabilità molto complessa e, allo stesso modo, poco conosciuta. Spesso sono proprio le figure scolastiche a non essere informate sulla sordità e su tutto ciò che essa comporta. Io spero che formare gli insegnanti, anche se solo in parte, possa portarli a comprendere che la sordità è una disabilità molto più complicata di quanto si possa pensare, e che una formazione specifica sta alla base della buona riuscita del progetto di vita pensato per il benessere del bambino. Portare nella scuola questa minima formazione ha, per me, lo scopo di aprire alla presa di coscienza di quanto sia importante conoscere, per poi saper fare e agire in vista della serenità degli alunni. Percepire la reale complessità della sordità aiuta la rete che ruota intorno al bambino o al ragazzo a scegliere di affidarsi alle figure competenti, come quella dell’Assistente alla Comunicazione, spesso sottovalutata in quanto non conosciuta.

12) Il Ministro per la Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana ha affermato: “La Lingua dei Segni verrà tra poco riconosciuta, purtroppo come sapete l’Italia è l’ultimo Paese a livello europeo a non averlo ancora fatto. Questo rappresenta un grande passo avanti da un punto di vista civile.” Qualora ciò accadesse, quali prospettive intravedi per gli AsCo?
Credo e spero che, se si ottenesse il riconoscimento della Lingua dei Segni in Italia, di conseguenza si arriverebbe all’identificazione e al riconoscimento anche delle figure professionali che lavorano utilizzando questa lingua, come l’AsCo e l’Interprete. L’approvazione della Lingua dei Segni porterebbe a un incremento dei servizi offerti alle persone sorde tra cui, magari, un aumento dei servizi anche per i bambini, parità di diritti tra i cittadini e, probabilmente, maggiore attenzione verso la sordità in generale.

13) Un insegnante di sostegno adeguatamente preparato potrebbe ricoprire anche il ruolo di AsCo?
Questo punto va chiarito molto bene. Le due figure sono ben diverse e con competenze molto specifiche, lavorano insieme ma l’una non sostituisce l’altra. Nulla vieta, naturalmente, a ciascuna figura di formarsi anche per l’altra professione, ma come il chirurgo e l’anestesista in una sala operatoria, nella stessa classe i due ruoli non possono essere ricoperti dalla stessa persona. L’insegnante di sostegno si occupa della didattica, ha studiato per insegnare e lavora al fine di raggiungere gli obiettivi didattici che il programma prevede; l’AsCo lavora sull’inclusione e la comunicazione per la didattica, ma anche al di là di essa, in senso più generale. A seconda delle esigenze, può tradurre i contenuti delle lezioni, impostare sezioni di approfondimento dedicate, suggerire modalità inclusive agli insegnanti, in modo da rendere accessibile una lezione o un intervento educativo rivolto a tutta la classe, fungere da mediatore nel gruppo classe, avvalersi di strumenti e metodologie acquisiti attraverso la sua specializzazione.

14) Qual è la differenza tra Interprete scolastico e Assistente alla Comunicazione?
Innanzitutto, l’interprete scolastico, come l’interprete di Lingua dei Segni, lavora sulla traduzione linguistica e culturale delle due lingue, quella italiana e quella dei Segni. L’AS.CO, invece, non necessariamente lavora traducendo, poiché si trova ad affiancare anche alunni sordi che prediligono la lingua parlata e non utilizzano quella dei segni o con altre disabilità per le quali non serve alcuna traduzione linguistica. A differenza dell’interprete comune, che si limita a fornire una traduzione, l’interprete scolastico si cura che l’alunno ne abbia compreso il contenuto, mentre l’AsCo, ha anche il compito di veicolare il contenuto educativo di quanto avviene in classe (e non solo della didattica, è importante ribadirlo), adattando di volta in volta anche le modalità, gli strumenti e il materiale che più si confanno a questo o quell’alunno, contesto, momento e messaggio specifico.

15) Quali sono i metodi per insegnare a leggere e a scrivere ai bambini sordi?
Esistono diversi gradi e tipi di sordità, e anche diverse scelte linguistiche. Come ho accennato poco fa, ci sono bambini sordi che utilizzano la Lingua dei Segni, altri che adoperano quella orale e altri ancora che, utilizzando sia la Lingua dei Segni, sia quella vocale, sono a tutti gli effetti bambini bilingui. In linea di massima i bambini sordi hanno più o meno le stesse difficoltà nell’utilizzo della lingua italiana, ma l’unicità di ogni singolo bambino crea differenze soggettive, pertanto l’Assistente alla Comunicazione, sulla base delle specificità di ogni singolo bambino, utilizza e crea strumenti diversi. Le competenze dell’Assistente alla Comunicazione gli consentono di spaziare tra diverse metodologie. Il bambino sordo, spesso si trova ad apprendere la lingua italiana e non ad acquisirla in maniera spontanea come succede invece per il bambino udente, per questo è sempre meglio fargli “toccare” la lingua italiana nel suo insieme e con tutti i suoi significati in modo da avvicinarlo, per quanto possibile, a una acquisizione quanto più naturale e di conseguenza fruttuosa.

16) Quali possono essere strategie utili a favorire l’inclusione scolastica?
Ogni bambino è unico e diverso. L’inclusione di tutti i membri di una comunità, proprio come per la classe, deve necessariamente partire dalla curiosità verso l’altro. Il bambino sordo ha naturali difficoltà legate alla comunicazione e alla comprensione e per questo fatica, più di altri, a stare nelle conversazioni e, dunque, nelle relazioni. La sordità è una disabilità invisibile, il bambino sordo non si “nota” e per questo non sempre si comprendono o si tengono presente le sue esigenze. Rendere la sordità visibile, fa emergere il bambino per ciò che è, con tutte le sue difficoltà comunicative e relazionali. Se questo viene affrontato nel modo giusto, nel dialogo e nel confronto, nella sincerità delle differenze e nel valore che ne consegue, l’inclusione viene da sé, e il bambino sordo può accettarsi ed essere riconosciuto dagli altri per quello che è e non per quello che porta, creando così naturale curiosità verso se stesso e facendo nascere relazioni sane e durature. La miglior strategia è il riconoscimento del bambino per ciò che è, al fine di aiutarlo a far emergere le proprie qualità e accompagnarlo verso l’ autonomia, rafforzando così la fiducia in se stesso per consentirgli di crescere secondo i suoi interessi e le sue volontà nel miglior modo possibile.

17) Quali benefici pensi apporterebbe l’inserimento della LIS come materia scolastica?
La Lingua dei Segni pretende un livello di attenzione visiva di cui le altre lingue non necessitano, proprio per questo il bambino viene messo nella condizione di imparare a cogliere i particolari e i dettagli con gli occhi, migliorando così notevolmente l’attenzione, ma anche la percezione visiva e la memoria visiva ne colgono un grande vantaggio. Concentrarsi sulla ricezione visiva del messaggio stimola la concentrazione del bambino, limitando le disattenzioni legate alle interferenze sonore, creando così un’esperienza nel bambino che manterrà più attiva la partecipazione anche nelle sue future conversazioni vocali. La Lingua dei Segni, grazie alla sua modalità, accompagna e supporta la lingua vocale, permettendo di utilizzare entrambe le lingue contemporaneamente. Allo stesso modo, essendo una lingua a tutti gli effetti, può essere adoperata per comunicare nel silenzio delle conversazioni che passano dalle mani, trasportando i bambini all’attenzione visiva verso l’altro e verso se stessi. Utilizzare la Lingua dei Segni nelle classi dei bambini udenti, rafforza il rapporto tra coetanei, favorisce l’abbattimento delle barriere comunicative, fa emergere e superare difficoltà nascoste, stimola la socializzazione e la collaborazione, ma non solo, migliora anche le capacità logico matematiche, stimola l’autocorrezione e migliora le capacità di letto-scrittura. I bambini udenti, delle classi prime delle scuole primarie, che utilizzano la Lingua dei Segni, secondo la mia esperienza personale, migliorano le proprie capacità di lettura e scrittura. Infatti la Lingua dei Segni aiuta la discriminazione dei suoni simili, proprio grazie alle lettere della dattilologia, che avendo forma assolutamente diversa sostiene il bambino nella differenziazione dei suoni. La lingua dei segni consente di scrivere con le mani le lettere dell’alfabeto, donando la possibilità di creare parole nell’aria e permettendo di leggerle dalle mani del compagno. Si può così trasformare la scrittura in un gioco, per esempio attraverso le mani di un gruppo di bambini posizionati l’uno accanto all’altro, si possono produrre lettere e costruire così parole che nascono direttamente dalle loro mani. La possibilità poi di guardare le mani mentre si segna, consente al bambino l’autocorrezione e la scoperta del proprio corpo. La mia esperienza personale mi suggerisce che la Lingua dei Segni utilizzata con i bambini udenti è una ricchezza non indifferente, per il bambino stesso e per la comunità classe, in quanto coalizza il gruppo e, passando da una comunicazione alternativa, apre le menti alle diverse possibilità, stimola l’attenzione verso l’altro portando lo sguardo al di fuori di se stessi e, soprattutto, accompagna all’ascolto dei significati del silenzio. Oltre a questo apre alla relazione e alla comprensione, nonché al riconoscimento del compagno che utilizza questa lingua per comunicare.

18) Cosa ti piace del tuo lavoro?
“Condividere una lingua è come spiegare le ali e volare insieme.” Il mio lavoro mi permette di accompagnare i bambini a essere gli adulti che desiderano diventare

di Michele Peretti
redazione@viverefermo.it

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