Siamo ormai abituati all’idea che ogni storia valga la pena di essere raccontata, ogni faccia valga la pena di essere immortalata e ogni istante della nostra giornata valga la pena d’essere condiviso. Così sembra accadere nella letteratura italiana degli ultimi vent’anni dove molti sono i racconti della banalità, dell’ovvio, dell’individuo come terreno valido per la costruzione narrativa, solo perché individuale. La semplicità del vissuto che si muove di pari passo con la semplicità e linearità della scrittura, appaiate in duetto improntato alla facilità. Facile scrivere, facile leggere, facile vendere
Claudia Durastanti ancora una volta, nel suo ultimo romanzo La straniera (La Nave di Teseo 2019), va contro questa tendenza: il vissuto che racconta è eccezionale, la parole che usa sono straordinarie; la sua scrittura non è per tutti, la sua penna è geniale.
La straniera è il racconto della vita della sua autrice, soprattutto attraverso il rapporto con i genitori, entrambi sordomuti, animati da spiriti vibranti, sempre fuori luogo, in lotta col mondo che vuole per loro un cantuccio controllato in cui abbandonarli alla loro disabilità. Il romanzo non è solo memoir, non è solo autofiction, ciò che lo eleva sopra e oltre i generi è la scrittura, che in questo nuovo libro appare più libera rispetto all’ultimo Cleopatra va in prigione (Minimum Fax 2016), e che si scatena. L’io complesso, debordante, intelligente di Durastanti raccoglie i frammenti di quella vita famigliare che si è mossa a scintille tra l’Italia e gli Stati Uniti e ne fa una nuova mitologia, un nuovo sguardo rocambolesco e abbagliante su quello che è stato.
Il racconto sarà comunque menzogna perché la lingua e l’esperienza dell’autrice supereranno la realtà per farne stile e ragionamento.
In alcune pagine vediamo comparire uno dietro l’altro parenti antichi e presenti ognuno con le proprie stramberie, ossessioni, col suo lavoro e il suo cortile. Vengono tinteggiate le case e i giardini, i viaggi, le discussioni, l’incomprensibile modo in cui le persone riescono a sopravvivere, a sposarsi, a divorziare, a fare figli, a condurre le loro vite sparpagliate.
Così agiscono i genitori della voce narrante, sono corpi scagliati sulle cose e nel mondo, corpi sordi e per questo che devono farsi sentire, creare rumore, sconquasso, due persone che si sono scoperte uguali nella propria incoscienza. Sono incoscienti rispetto alla disabilità, si mettono continuamente in pericolo e buttano all’aria la tavola che la società vuole apparecchiargli.
Distruggere la disabilità, renderla incandescente è la loro missione, ma sarà la figlia ad arrivare a compierla quando capirà che ogni essere umano è destinato a essere disabile, non abile in qualcosa, mancante per colpa di malattie, dolori, cadute, perdite.
La categoria scoppia, il pregiudizio non regge, tutta quella fatica di vivere con due genitori difficili da contenere ma esplosivi e senza bordi, ci porta al presente di una giovane scrittrice di qualità, con ha la propria voce, una voce trovata grazie a quel vissuto, che non ha bisogno di essere normalizzata per incantare.
L’inconsueto è il nuovo terreno da riscoprire, e Claudia Durastanti ne è portavoce, l’ardito ha bisogno di essere raccontato. Questo io per prima mi aspetto dalla nostra letteratura: coraggio, nessuna assoluzione, sperimentazione, non accontentarsi.
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