Essere CODA: intervista a Manolo Vacca

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Manolo Vacca è nato a Roma il 13/11/1989 da madre sorda e padre udente. Psicologo e psicoterapeuta, opera nella scuola e in ambito clinico.

25 gennaio 2019

È inoltre interprete performer di Lingua dei Segni Italiana, suo il ruolo di Febo nello spettacolo Notre Dame de Paris in LIS di Laura Santarelli.

1) Cosa significa per te essere CODA?
Per me essere CODA significa dare ancora più senso alla mia esistenza. È come se la mia vita avesse assunto una chiarezza e una determinazione ulteriori. Capita spesso a noi CODA di sentirci come parte di una stessa famiglia, come persone che hanno condiviso un qualcosa di simile seppur nella nostra diversità. L’essere CODA è anche e soprattutto dare un senso e un significato unitario a quella che è stata la nostra infanzia, la nostra adolescenza, la nostra crescita. In una parola la nostra vita passata, presente ma anche e soprattutto futura.

2) Sei stato esposto sin da subito a entrambe le lingue?
Sono stato esposto sin da subito a entrambe le lingue in quanto ho anche altri parenti sordi.

3) Quale consideri la tua lingua madre? L’italiano o la LIS?
Considero la mia lingua madre l’italiano anche se la LIS interviene “economicamente” nel mio modo di ragionare e di esprimermi (a volte in maniera inconscia) in momenti in cui ho necessità più “espressive”.

4) A scuola ti sei mai sentito diverso dagli altri?
A scuola è capitato di sentirmi diverso dagli altri e questo con sentimenti di natura ambivalente. A volte di orgoglio, altri di vergogna, in una oscillazione continua tra questi.

5) Da un punto di vista linguistico e culturale ti senti più udente o sordo?
Mi sento più udente, in grado di capire profondamente la cultura sorda.

6) Cosa apprezzi delle due culture e cosa invece ti piace meno?
Quello che apprezzo della cultura udente è la flessibilità e l’apertura in termini di possibilità. Quello che apprezzo invece della cultura sorda è sicuramente il senso di appartenenza che essa stimola e che caratterizza il collante principale, a mio modo di vedere, del CODA inserito nel mondo dei sordi.

7) Hai incontrato delle difficoltà dovute al fatto di avere un genitore sordo? Se sì, quanto hanno influenzato il rapporto con i tuoi genitori?
Difficoltà intese come tali no. Più che altro questa differenza tra i genitori, uno udente e l’altro sordo, mi ha portato a sviluppare un rapporto più simbiotico con mia madre sorda e uno più superficiale con mio padre udente proprio a causa del fatto che la richiesta da parte dei due genitori era totalmente diversa in termini pratici ed emotivi.

8) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
I benefici secondo me sono da trovarsi in: flessibilità nell’apprendimento, ampliamento delle possibilità comunicative, maggiore sensibilità nella comunicazione.

9) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Un episodio che ricordo con particolare tristezza ma che ricollego al progetto che sta portando avanti CODA Italia è quello relativo a una recita scolastica in cui ero stato scelto come protagonista. Beh, mia madre alla fine della recita, nel farmi i complimenti, mi sottolineò come fosse triste per lei non poter sentire la mia voce così bella. Questo a dimostrazione di come alcune cose alle quali non si penserebbe mai possono essere la quotidianità per un’altra persona.

10) Diventare Interprete LIS: vocazione o senso del dovere?
Diventare interprete LIS dovrebbe essere quasi totalmente vocazione. Mi spiego meglio. Nel momento in cui sia mossa da senso del dovere, a mio modo di vedere sarebbe già “contaminata” da pesi e aspettative ulteriori di natura personale ed emotiva. il senso del dovere ci può stare se legato alla vocazione stessa o meglio alla professione inteso come comportamento morale ed etico e non dettato da legami emotivi di natura genitoriale direttamente connessi al proprio vissuto di CODA. Qualora il CODA voglia operare anche come interprete, ha il dovere morale, etico e protettivo di vedere queste dinamiche profonde; affrontarle per svolgere al meglio una professione e non un compito che gli è stato assegnato dalla vita.

11) Qual è il tuo motto?
Non ho un vero e proprio motto ma ho una mia idea circa le persone e circa una delle radici delle difficoltà delle persone e dei CODA in generale che può fare più o meno così: “tutti abbiamo bisogno di essere VISTI e accetteremo qualunque compromesso per questo. Tutto sta nel capirlo e nel lavorare poi nell’accoglierci per come ci vogliamo e piacciamo e non per come hanno voluto finora gli altri anche se per noi significativi”. Scusate… deformazione professionale 🙂

di Michele Peretti
redazione@viverefermo.it

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