Interpreti lingua dei segni, una professione “rosa”: quasi il 90% è donna

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Anios ha svolto un sondaggio su un campione di professionisti, per tratteggiare il ritratto di una figura per lo più sconosciuta: solo il 12,3% è maschio, il 42% ha tra i 30 e i 40 anni. “La professione non è ancora riconosciuta in Italia, diversamente dal resto d’Europa”

ROMA – Una professione per lo più “rosa” e relativamente giovane: gli interpreti della lingua dei segni sono quasi sempre donne (87,75) e di età compresa per lo più tra i 30 e i 40 anni (42%). A tratteggiare il ritratto di una professione per lo più sconosciuta è Anios, l’associazione interpreti lingua dei segni italiana, che ha svolto un sondaggio su un campione di 292 professionisti e oggi ne svela i principali risultati. “ Gli interpreti di lingua dei segni sono un esercito silenzioso, ma molto operoso – premette l’associazione -. Del resto in Italia la Lis non è (ancora) stata riconosciuta – ricorda -. La tutela della professione e dei suoi aspetti etici e deontologici è frutto dell’iniziativa di associazioni di categoria che aderiscono alla legge 4/2013 come Anios, attiva dal 1987”.

Tra i settori in cui si trovano principalmente ad operare gli interpreti, al primo posto troviamo l’ambito educativo (62,7%): molto spesso i professionisti in possesso di qualifica da interprete vengono assorbiti nel ruolo di assistenti alla comunicazione all’interno delle scuole. Seguono servizi per organismi e istituzioni del settore privato (48,6%), interpretariato in conferenze (48,3%), per organismi ed istituzioni del settore pubblico (48,6%) e a seguire servizi nell’ambito medico (41,1%), accademico (30,8%) e legale (28,1%). Vi sono poi una serie di settori meno frequenti tra cui rientrano quello notarile, turistico, televisivo e religioso.

Le regioni in cui operano il maggior numero di interpreti sono Lazio (30,1%) e Lombardia (16,4%). Seguono Emilia Romagna, Veneto e Piemonte e Campania. Permangono invece zone ancora parzialmente scoperte come Val d’Aosta, Trentino Alto Adige, Molise e Friuli Venezia Giulia.

Per quanto riguarda la formazione, il 36,6% degli interpreti ha una laurea (triennale o specialistica) e l’11,6% ha un master. In totale il 48% circa ha insomma una formazione accademica, mentre il 44% è in possesso di diploma di scuola secondaria superiore.

“La professione di interprete di lingua dei segni italiana è poco conosciuta – spiega Lucia Rebagliati, presidente nazionale di Anios – anche a causa della mancanza di una legge nazionale che riconosca la Lingua dei Segni italiana, come invece è già successo nel resto d’Europa. Il nostro è un lavoro importante per garantire il diritto delle persone sorde all’accessibilità in qualsiasi ambito della loro vita e la loro piena partecipazione alla vita sociale e politica del nostro Paese. La nostra professione ha implicazioni deontologiche significative. Basti pensare a una traduzione in Tribunale, o in una sala operatoria o nella stipula di un atto notarile. L’interprete LIS è un professionista con solide competenze linguistiche, culturali, deontologiche e Anios si fa garante della qualità e del costante aggiornamento dei propri associati ai sensi della legge 4/2013”.

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