I soggetti con una invalidità civile riconosciuta superiore o uguale al 74% dovranno prestare attenzione alle novità in arrivo con la prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei DPCM sugli anticipi pensionistici.
scritto da Valerio Damiani
La legge di bilancio ha infatti loro riservato la facoltà di chiedere l’APE agevolato se in possesso di 63 anni di età e 30 anni di contributi e dell’uscita a 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica se possono vantare almeno 12 mesi effettivi entro il 19° anno di età (cd. lavoratori precoci). Senza alcuna penalità sulla pensione. L’agevolazione si rivolge ai soggetti assicurati presso l’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, le gestioni speciali dei lavoratori autonomi, le gestioni sostitutive ed esclusive dell’AGO nonchè presso la gestione separata dell’Inps. In sostanza abbraccia sia i lavoratori dipendenti, anche del pubblico impiego, che gli autonomi con esclusione dei liberi professionisti. Per l’accesso alla misura non è necessario, peraltro, risultare in costanza di rapporto di lavorativo (dipendente o autonomo) potendo essere il beneficio fruito anche dai disoccupati.
L’Ape agevolato, lo si rammenta, consiste in un sussidio a carattere assistenziale interamente a carico dello stato il cui importo è commisurato al valore della prestazione pensionistica a cui il lavoratore avrebbe diritto al momento dell’accesso al sussidio entro un tetto massimo di 1.500 euro al mese. Senza alcun riflesso sulla pensione futura. Non si tratterà cioè di una pensione vera e propria in quanto non sarà tecnicamente reversibile ai superstiti (che potranno però ottenere una pensione indiretta) e sarà pagato per 12 mesi l’anno (contro le 13 mensilità di una pensione). L’importo sarà tassato come reddito da lavoro dipendente dunque con detrazioni leggermente differenti rispetto a quelle previste per i pensionati. In definitiva un invalido con una pensione maturanda di 1.200 euro lorde potrà chiedere un sussidio pari a 1.200 euro dal 63° anno ed attendere il raggiungimento della normale età anagrafica di vecchiaia, 66 anni e 7 mesi quando arriverà alla pensione vera e propria. L’operazione non riconoscerà contribuzione figurativa sul conto assicurativo, dunque non ci sarà alcun beneficio sulla misura dell’assegno pensionistico a differenza di quanto avviene, di regola, con gli ammortizzatori sociali (es. naspi). L’uscita con 41 anni di contributi, invece, è una vera e propria pensione anticipata con un requisito contributivo ridotto, per l’appunto, di 10 mesi per le donne e di un anno e 10 mesi per gli uomini. Pertanto le mensilità pagate saranno sempre 13 e non si avrà alcun tetto circa l’importo erogabile (che potrà, pertanto, anche eccedere i 1.500 euro lordi mensili).
Queste due novità si aggiungeranno agli istituti già attualmente previsti dalla normativa vigente in favore degli invalidi. In particolare al beneficio riconosciuto dall’articolo 80, co. 3, della legge 388/2000 che attribuisce ai lavoratori dipendenti (non gli autonomi) con un grado di invalidità civile superiore al 74% (non uguale, si presti attenzione) una maggiorazione contributiva pari a 2 mesi per ogni anno di lavoro svolto (in presenza dell’invalidità) entro un massimo di 5 anni nell’arco della vita lavorativa. Tale maggiorazione potrà, peraltro, essere fatta valere al fine di raggiungere i 41 anni di contributi ove l’invalido, come appena indicato, abbia svolto almeno 12 mesi di lavoro prima del 19° anno di età. C’è da dire che sia l’ape sociale che il pensionamento con 41 anni di contributi non sono stati riconosciuti, a differenza di quanto prevede il predetto articolo 80, co. 3, in favore dei sordomuti e degli invalidi di guerra o di servizio con invalidità ascritta alle prime quattro categorie di cui alla tabella A del testo unico in materia di pensioni di guerra (Dpr 918/1975).
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