Venerdì 3 febbraio, è l’esordio in Coppa Davis in un match di singolare, è Corea del Sud-Uzbekistan di World Group, l’avversario è quell’Istomin che ha estromesso Djokovic da Melbourne. Il secondo set è coreano ma alla fine la vittoria va all’uzbeko.
di Alessandro Stella
Durante la partita l’arbitro chiama la palla out ma Duck Hee Lee continua a giocare. Non è spirito di ribellione, non è fisiologica insofferenza dopo aver perso un punto, non si tratta di distrazione. La voce dell’arbitro non la sente e a dir la verità non ha mai sentito la voce di nessuno. Il suo mondo è ovattato e scorre silenzioso, veloce esattamente come il nostro, solo senza il frastuono di cui noi, ogni tanto Murray e Djokovic, Barazzutti dopo l’ultimo tie di Davis, e tanti altri continuano a lamentarsi. Duck Hee Lee è nato a Jecheon – Corea del Sud – nel 1998 e secondo il ranking ATP esistono al mondo soltanto 135 persone più brave di lui a giocare a tennis. Tutte perfettamente in grado di sentire l’arbitro che chiama fuori una prima di servizio. Nessuno che non abbia compiuto 19 anni. A parte Duck Hee, che è già il tennista sordo più forte della storia del tennis e il primo diciottenne che compare scorrendo le graduatorie mondiali.
La storia di questo ragazzo coreano prende forma nel 2000. Mamma Park Mi-ja e papà Lee Sang-jiin per due anni hanno solo sospettato che Duck Hee non fosse un bambino uguale agli altri. Uno dei tanti camici dell’ospedale di Seoul è costretto a confermare: il piccolo è completamente sordo e lo è sempre stato. Ora se lo sport è pieno di esempi in cui le barriere della disabilità vengono sbriciolate dalla forza di volontà, barrate per essere sostituite con un “Capisco, ci hai provato, ma io lo faccio lo stesso“, la scelta dei genitori di Duck Hee è il vero motore di questa storia. A partire dai quattro anni il piccolo di casa Lee frequenta al mattino la Gwangju Inhwa School che dista un’ora da casa, dove i bambini che non possono aiutarsi con l’udito apprendono come “imparare”, al pomeriggio una scuola tradizionale perché possa vivere anche nel “mondo del frastuono”. Ma Duck Hee non deve imparare il linguaggio dei segni, papà Lee glielo vieta perché “chi conosce solo la lingua dei segni a 18 anni non può più integrarsi, né trovare lavoro“. Dopo aver assistito a una lezione nella scuola per disabili di Gwangju il babbo decide che suo figlio deve imparare a comunicare diversamente e gli insegna a leggere il labiale ed esprimersi di conseguenza. Con il trascorrere degli anni Lee impara a comprendere il suo interlocutore concentrandosi sui movimenti delle labbra. Per i sordi della nascita parlare sembra impossibile, ma in realtà può esistere una minima percezione dei suoni che viene amplificata da adeguate apparecchiature e trasformata in espressione vocale con l’aiuto di un logopedista, che insegna rudimenti della lingua parlata partendo dai movimenti e dalle posizioni della lingua. Nel 2011, quando Duck Hee Lee si affaccia per la prima volta al circuito juniores ITF, la Hyundai gli propone un contratto di sponsorizzazione – recentemente rinnovato fino al 2020 – che aiuta il giovane tennista a rendersi quasi indipendente. A 16 anni raggiunge la posizione 506 del ranking e fa sentire al mondo la sua voce.
“Quando ho visto per la prima volta mio cugino Woo giocare a tennis ho voluto provare anche io. All’inizio ho pensato che fosse troppo difficile e non volevo più giocare. Adesso invece mi sembra di avere un vantaggio perché posso concentrarmi più dei miei avversari“. Per Duck Hee il tennis non è stata una scelta del tutto casuale. Fin da subito erano sembrate evidenti le capacità di coordinazione e lo sport si era presentata come la via più razionale per dargli un posto nel mondo, i genitori avevano però scelto di privilegiare gli sport individuali per evitargli la fatica della comunicazione continua con i compagni. Il tennis, lo sport dei solitari per eccellenza, sarebbe stata la sua strada. Il primo coach di Duck Hee si è sentito dire dai suoi genitori che non si trattava di un hobby, il ragazzino andava allenato duramente. Volevano scoprire subito se quella strada sarebbe stata davvero percorribile.
E lo è diventata, ogni giorno di più. Eppure durante ogni torneo giovanile disputato il coro unanime di genitori e allenatori, subito dopo la sorpresa di vedere un ragazzino sordo colpire così bene la palla, recitava quanto sarebbe stato impossibile per lui diventare professionista, entrare in un mondo in cui la palla viaggia veloce e i tempi di reazione si accorciano. Come fa uno che non sente il rumore della pallina a competere “con i grandi”? Non esiste risposta migliore che guardare Duck Hee Lee in campo.
Chiunque abbia mai preso in mano la racchetta più di cento volte ha già imparato ad allineare il rumore dei colpi avversari all’esecuzione dei propri. È un meccanismo fisiologico, i nostri riflessi uditivi battono in velocità quelli visivi e in uno sport in cui è indispensabile la rapidità di pensiero è anche normale che l’orecchio cominci a farla da padrone. Il suono può suggerire un colpo steccato, un colpo che sarà imprendibile, un back che interrompe una serie di colpi coperti. Navratilova disse “Il rumore della pallina è la prima cosa sento. Reagisco alla velocità e all’effetto in base al suono“. Eppure il timing sul rovescio di Duck Hee è eccellente, ed è sorprendente la sua capacità di non perdere i tempi di gioco anche quando l’avversario cambia il ritmo. Il diritto è il colpo più esplosivo del repertorio, il servizio (quello meno influenzato dal suo handicap) è arma più che discreta nonostante gli – appena – 175 cm di altezza, soprattutto grazie alla solerte azione degli arti inferiori. Nella recente vittoria contro Rosol al Challenger di Rennes gli ace messi a segno sono stati 9. Non si è trattata dell’unica prestazione di rilievo di questo scorcio di 2017 in cui, oltre al set strappato a Istomin nel primo singolare di Davis in carriera, due volte è svanita per un soffio la qualificazione al main draw dell’Australian Open: contro lo stesso Istomin nel match finale dell’Asia-Pacific Wildcard Play-off (torno che assegna una wildcard per il tabellone principale di Melbourne) e contro Bublik al turno decisivo delle qualificazioni, perso soltanto 6-4 al terzo set. Scalando la classifica con questo ritmo Duck Hee Lee potrebbe presto trovarsi nella condizione di esordire in uno Slam senza passare per le qualificazioni. E presto potrebbe arrivare anche l’esordio ufficiale nel circuito ATP.
L’incredibile storia di Duck Hee Lee rischia quasi di far passare in secondo piano la sua precocità, in barba a ogni diffidenza incontrata sul suo cammino. Secondo il suo agente Lee Dong-yeop “Nessuno ha mai fatto quello che sta facendo Duck Hee“. È il più giovane tennista tra i primi 200 al mondo, il terzo nei primi 300 alle spalle dei diciassettenni De Minaur e Shapovalov. In Italia continuiamo a chiederci dove sbagliamo, perché troppi talenti si arenano contro la spietatezza del tennis professionistico, e ci diciamo che le pressioni della stampa per i giovani diventano presto insostenibili.
Ad esempio Duck Hee in conferenza stampa ci va lo stesso, perché è previsto dai regolamenti, e quanto più scalerà la classifica tanto più i giornalisti impareranno a conoscere il suo modo di comunicare, faccia a faccia con il suo interlocutore. Appare come il rito più faticoso di tutta la sua routine tennistica ma lo affronta con disinvoltura. Dal torneo juniores di Wimbledon 2015 abbiamo visto comparire sugli spalti due “angeli custodi” che segnalano al coreano quando l’arbitro chiama la palla fuori. Ogni tanto però non viaggiano con lui e se un colpo non resta in campo e Duck Hee non se ne accorge semplicemente continua a giocare. Come ha sempre fatto. E continuerà a fare, anche se a qualcuno sembrava davvero impossibile