Solo una minima parte dei laureati con disabilità si affida ai benefici della normativa per trovare lavoro. Gli altri usano la rete di conoscenze, il passaparola e le agenzie interinali. I primi risultati di uno studio dell’Università di Macerata e l’analisi di Regolo, fondatore di Jobmetoo
14 dicembre 2016
Dal momento che solo un sesto del campione ha risposto finora al questionario, va detto che i risultati restano parziali: per il momento appaiono comunque più incoraggianti che altrove. Se si prendono in considerazione i laureati, infatti, salta agli occhi come la percentuale di occupazione salga al 40%, con un quarto di loro che, oltre a lavorare, sta proseguendo nel percorso di studi. Ma a colpire sono soprattutto le modalità con cui gli intervistati riferiscono di aver trovato un impiego: al collocamento mirato per le assunzioni con la 68/99, infatti, avrebbe fatto ricorso appena il 14% degli occupati. “Tutti gli altri – spiega Cristina Formiconi, dottoranda all’Università di Macerata e responsabile dello studio – hanno utilizzato canali più tradizionali: la rete di conoscenze all’interno di scuola e università, le agenzie interinali e, soprattutto, la ricerca attiva, per esempio tramite invio di curriculum o autocandidature per posizioni esistenti”. A quest’ultimo metodo, gettonatissimo anche tra il resto dei giovani italiani, avrebbe fatto ricorso, secondo Formiconi, quasi il 60% degli occupati che hanno risposto ai questionari.
L’impressione, in altre parole, è che le differenze tra le persone disabili e non vadano progressivamente assottigliandosi. Ne è convinto anche Daniele Regolo, fondatore di Jobmetoo, agenzia dedicata ai lavoratori con disabilità che al momento vanta un impressionante 80% di esiti positivi sulle selezioni. “In un certo senso – spiega – si può dire che la nostra agenzia sia l’incarnazione di questa tendenza: Jobmetoo nasce come espressione di una volontà comune a tutti i disabili, quella di essere quanto più possibile in condizioni di parità con gli altri anche nella ricerca di un lavoro. E questo lo dico da ex “figlio” della 68/99, una legge cui resta il merito di essere tra le più evolute in materia». Sordo fin dalla prima infanzia e laureato in Scienze politiche, prima di fondare l’agenzia Regolo ha infatti trascorso 15 anni «passando da un lavoro all’altro, in un insieme di esperienze poco organiche e difficilmente spendibili sul mercato”. Finché, grazie a un concorso pubblico riservato alle categorie protette, è arrivata l’assunzione a tempo indeterminato in una Asl. Qualcuno però ebbe l’infelice idea di collocarlo come addetto allo sportello ospedaliero, “una mansione del tutto incompatibile con la mia sordità”, sottolinea. Così, nel 2010 Regolo rassegna le dimissioni, andando a fondare quella che in breve è divenuta la prima agenzia online focalizzata esclusivamente su disabili e categorie protette: è stata proprio Jobmetoo a coinvolgere l’Università di Macerata nella raccolta dati, “per migliorare la piattaforma di recruiting e per stimolare un aumento dell’occupabilità delle persone disabili”.
“A oggi – continua Regolo – abbiamo più di 80 mila iscritti, con una distribuzione capillare sul territorio nazionale e una crescita delle unità profilate che viaggia sulle 2 mila al mese. I canali che utilizziamo sono quelli prettamente destinati al reclutamento: per esempio aggregatori come Indeed e Jobrapido, ma anche portali nazionali come InfoJobs e Monster”. Secondo Regolo, la percentuale di successi dell’agenzia è dovuta soprattutto al sistema di matching adottato. “Cerchiamo di portare le dinamiche tradizionali del reclutamento online nel mondo della disabilità: il candidato può disporre di un’area riservata ricca e dettagliata, e i suoi dati saranno immediatamente visibili alle aziende a cui invia o che selezionano il suo curriculum. In questo modo, gli utenti ricevono offerte attinenti al loro profilo, oltre a poter contare su uno staff di recruiter che ricerca personale compatibile alle richieste delle nostre aziende clienti”. Come a dire, ancora una volta, che – per quanto importante – la disabilità deve comunque restare un tassello nel profilo di un lavoratore.