Bolzano: la donna diventata sorda per le botte del marito

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L’incubo infinito di Fatima, pakistana, 44 anni. Il matrimonio combinato, la reclusione in casa, le violenze davanti ai figli. E la ribellione a chi l’aveva resa schiava

di Luca Fregona

sordabotteNon è bastato, un mese fa, l’appello dell’assessora Maria Laura Lorenzini. Nessun imprenditore “illuminato” si è mosso per darle un lavoro. Nessun padrone di casa dotato di cuore le ha dato un appartamento in affitto. Perché è straniera. Perché è disabile. Perché è sola con tre figli. Perché non parla l’italiano né il tedesco.

La chiameremo Fatima. Ha 44 anni. Da quattro vive reclusa in alloggi protetti anti-violenza. Ma oggi che il marito non è più una minaccia e che potrebbe avere una vita normale, nessuno le dà una chance per ripartire. Fatima è “disabile”, certo. È SORDA per le botte ricevute dal marito e mai curate. Perché anche le medicine le negava. Non parla l’ITALIANO, ovvio, non sente. Vive in un mondo ovattato, tra rumori incomprensibili. Non è mai riuscita a sentire nemmeno il suono della nostra lingua. Figuriamoci a impararla. È STRANIERA, sì, e questa oggi è una colpa. Ma arrivata a Bolzano obbligata dal marito. Ha TRE FIGLI, certo. Il marito l’ha ripetutamente violentata, mettendola regolarmente incinta.

Per Fatima, da un tempo ormai infinito, la vita è solo botte, umiliazioni e delusioni. A 30 anni per lei è passato il treno sbagliato, e tutto è deragliato. Quando era solo una ragazza in una grande città del Pakistan, non era così.

Era convinta che avrebbe potuto fare altro. Ancora adolescente, il padre, un uomo benestante, le dà il permesso di studiare.

Fatima è intelligente, brava, studiosa. Si laurea in economia. Parla l’inglese meglio della regina Elisabetta. E dopo la laurea, l’università le offre subito un contratto. Insegna, e quella vita per lei è tutto. Quello che voleva. Ma il padre non la pensa come lei. Le logiche tradizionali e religiose, gli obblighi familiari e di censo, i legami tra clan e gli impegni presi: le combina il matrimonio. Fatima viene data in sposa a un uomo che non conosce né ama. Lei si ribella, piange, si dispera. Ma la sua parola vale meno di zero. Il padre è irremovibile.

Sposa un uomo violento, sgradevole, autoritario. La obbliga a lasciare il lavoro. Fatima è uno strumento. Non fa neanche finta di volerle bene. Lui fa la spola con l’Italia. Vive già a Bolzano. Ogni volta che torna, la obbliga ad avere rapporti contro la sua volontà. La offende. La denigra davanti agli altri. Se si ribella, botte. Se parla, botte. Se minaccia di andarsene, botte.

L’uomo la obbliga a vivere con i suoceri, che non hanno alcuna pietà. Deve servirli, far loro da mangiare, pulire la casa, accudirli. Che suo marito ci sia o meno, la musica è sempre la stessa. Vive segregata, e sola. Fatima contatta il padre, piange, chiede aiuto. Lui capisce, cerca di intervenire, ma è lontano. Gli unici che tentano di darle concretamente una mano sono il fratello e la sorella, che però vivono in Inghilterra, e più di tanto non possono. Intanto Fatima mette al mondo due bambini. Li ama tantissimo. Più di ogni altra cosa al mondo. L’arrivo dei figli non intenerisce però il marito. I suoceri diventano ancora più duri. Violenze fisiche e psicologiche.

Un giorno Fatima si sente male.

I colpi presi dal marito hanno probabilmente causato un danno neurologico. Perde quasi completamente l’udito da entrambe le orecchie.

Tutto intorno diventa ovattato e sordo. Non sente più la voce dei bambini, i rumori arrivare dalla strada. Se possibile, è ancora più sola e isolata dal mondo.

Il marito rifiuta di farla ricoverare in ospedale. Nessun medico viene chiamato per visitarla. Il danno diventa irreversibile. Dopo sei anni di questo inferno, lui decide che è tempo di portare Fatima a Bolzano. «Vedrai sono cambiato – dice -. Ricominciamo da capo».

Le promette una vita diversa. Un grande appartamento, lontano dalla prigione dei suoceri. Fatima ci crede, sale su un aereo e sbarca in Italia.

MA: l’appartamento è un monolocale.

MA: il marito vivacchia, non ha un lavoro fisso, è in perenne bolletta. È sempre incazzato. La rinchiude in casa. Vuole solo una serva. Rimane di nuovo incinta.

Lei mette al mondo una bimba. Lui la pesta davanti ai bambini. Pakistan o Italia, la vita è il solito schifo. Non ha amici Fatima. La comunità pakistana è molto chiusa. Gli uomini sono dei padreterni con diritto di vita e di morte, nessuno si sognerebbe di intervenire per aiutarla. Le donne la ignorano. Fatima vuole scappare. Ma parla solo urdu e inglese. Non sa a chi rivolgersi e come. Non sa nulla dei centri anti-violenza.

In qualche modo riesce a contattare il fratello in Inghilterra. «Aiutami ti prego», gli scrive. Lui prende il primo aereo, arriva e la porta via dalla “casa del terrore”. Il fratello contatta i servizi sociali. Dalla sera alla mattina, Fatima e i suoi tre figli si trovano in un alloggio protetto in un centro anti-violenza. Il marito è una furia. La cerca. Protesta. Sbraita. Si apposta. Chiede – e ottiene – di vedere i figli. Piagnucola.

La prega in ginocchio: «Torna Fatima, sono cambiato. Non ti farò più del male. Ho preso una casa più grande per te e i nostri figli. Staremo bene, vedrai…».

Fatima resiste alcuni mesi, poi cede alle pressioni e torna dal carnefice. Che, come al solito, è la bestia che è. La picchia e la manda all’ospedale con le costole rotte. Questa volta è la polizia a prenderla in carico e a portarla in una struttura protetta (il Centro anti-violenza Gea) insieme ai bambini. Fatima ormai vive nascosta da quasi quattro anni. È una donna colta, piena di voglia di fare, attaccatissima ai figli. Ha una volontà di ferro. Lei che non sa l’italiano né il tedesco, non manca mai un’udienza a scuola. Riesce a farsi capire e a capire.

Oggi Fatima non ha più bisogno di vivere segregata. Lui l’ha ripudiata e si è risposato. Si trova in Italia, ma non a Bolzano. La bestia è lontana.

Fatima potrebbe ricominciare tutto daccapo.

MA: non può andare in Inghilterra dal fratello, perché non le danno il permesso di soggiorno.

MA: non può tornare in Pakistan dalla sua famiglia, perché lì è una donna morta. Non c’è presente né futuro per chi ha avuto il coraggio di lasciare il marito. Anche se lui è un vero criminale.

Il futuro dunque è qui, a Bolzano. Le strutture protette le hanno probabilmente salvato la vita.

E lei ne è profondamente grata. «Ho trovato tante persone care – scrive in una lettera resa pubblica dalla Gea – che mi hanno permesso di assaporare una vita libera dalla violenza, che ha giovato a me, ma soprattutto ai miei figli, che hanno potuto finalmente conoscere una serenità e un senso di protezione fino allora sconosciuti».

Ma la vita in un limbo, per quanto confortevole, non è vita vera. Sono appartamenti dove si è circondati da ogni gentilezza e attenzione, ma blindati. Dei “non-luoghi” dove non puoi accogliere nessuno, dove – giustamente – devi rispettare regole ferree per la sicurezza tua e delle altre donne. Posti essenziali nell’emergenza, ma non per il ritorno ad una vita “normale”. In genere ci si sta al massimo sei mesi. Lei ci vive da un’eternità.

Fatima cerca da mesi una casa in affitto. Grazie al sostegno del fratello e dei servizi sociali, è assolutamente in grado di fare fronte alla spesa anche se non ha un contratto di lavoro.

«Eppure – spiegano le operatrici di Gea che la stanno aiutando -, continuiamo a ricevere sempre e solo dei no. Sta pagando il pregiudizio di essere straniera». Insomma, tira un’aria brutta a Bolzano. Neanche le parrocchie, interpellate, hanno offerto una sistemazione.

«Le donne straniere – spiegano alla Gea – nel momento in cui si ribellano ad una situazione di violenza, soffrono di una solitudine estrema”. Le comunità le isolano. Tutti (e tutte) voltano loro le spalle. E la gente le guarda storto perché magari portano lo hijab (il velo islamico, ndr). “È molto dura per loro».

Molte non se la sentono e continuano a sopportare, altre, come Fatima, trovano un sostegno fondamentale nei Centri anti-violenza.

Fatima vorrebbe anche lavorare. Prima che le cancellassero i sogni, era una donna indipendente, una docente universitaria. Potrebbe recuperare velocemente il “gap” con le lingue.

E forse un giorno, con un apparecchio molto sofisticato (e anche molto costoso), parte dell’udito. «Abbiamo contattato diversi imprenditori – spiegano le operatrici -, lei ha voglia di fare, è una persona eccezionale. Merita un’altra possibilità». MA: anche su questo fronte, la risposta,

se arriva, è “no”.

Questo è un appello. Partiamo dalla cosa più semplice: la casa. Non c’è proprio nessuno tra i nostri lettori che non abbia ancora un po’ di cuore e un appartamento da affittare?

Se sì, chiamate allora questo numero: 800276433.

http://altoadige.gelocal.it/

 

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