Nel mondo alla rovescia delle commissioni di accertamento per l’invalidità civile, può succedere che a un bambino sordo congenito con protesi acustica o impianto cocleare a un certo punto tolgano le “provvidenze economiche” della legge 104/92 sulla disabilità. Perché?
Redazione Trento – 18 aprile
Alla visita di revisione per l’accertamento della cosiddetta “gravità”, invece di togliersi gli apparecchi e “fare il sordo” il bimbo ha risposto alle domande dei commissari e quindi, per loro, adesso ci sente.
Il caso è stato raccontato da una delle associazioni presenti nel terzo convegno regionale organizzato da ASI (Affrontiamo la Sordità Insieme onlus) a Parma il 9 aprile. Il mondo associazionistico delle famiglie di pazienti ipoacusici è in pieno fermento.
Le disposizioni di legge sul trattamento della sordità ai fini dei benefici assistenziali, lavorativi e pensionistici si sono stratificate, a partire dal 1970, e hanno creato il caos. «Il quadro è frammentato e incoerente, spiega Danilo Comba dell’associazione Portatori Impianto Cocleare. Da ciò discendono contraddizioni e ripetizioni nella loro attuazione e nell’applicazione».
Il riconoscimento dell’invalidità civile, ad esempio, è regolato dalla Legge 118/1971, ma anche dalla Legge 381/1970, quella specifica sul “sordomutismo“, espressione che la Legge 95/2006 ha poi modificato in “sordità“. Ancora oggi, le famiglie sono costrette prima ad avviare le pratiche per il riconoscimento dell’invalidità civile, per poi chiedere successivamente il riconoscimento della sordità.
Di fronte a una situazione così paradossale e complicata, a Parma è stata discussa la proposta di un Testo Unico sulla sordità. «La nostra è anche una provocazione sottolinea Domenico Pinto, presidente di ASI. Vogliamo approfondire l’argomento anche con tutte le altre associazioni, per capire se può essere condivisa».
Questo articolo riprende, con lievi modifiche, un testo di Ruggiero Corcella apparso su Il Corriere della Sera il 17.04.2016