Angeli e demoni Recensione del romanzo: ”I demoni di Pausilypon” di Pino Imperatore

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Da uno scrittore ed umorista sottile, arguto, di chiara fama come Pino Imperatore, napoletano purosangue per indole e caratteri bene impressi nei geni, per giunta nato per scherzo a Milano, giusto per restare in tema, ci si aspetta un libro comico, divertente.

Al più, solo un giallo diciamo così “buono”, un mistery certamente, ma come a dire semplice e casareccio, un piatto veloce aglio e olio e peperoncino, pardon assassino, se no che thriller sarebbe? Oppure una scherzosa dissertazione teologica su Allah e San Gennaro, intendiamoci, resa con garbo e delicatezza, senza offendere i sentimenti religiosi di nessuno.

In sintesi, da un riconosciuto autore umorista, che ti vuoi aspettare? Un allegro e scherzoso romanzo leggero, tipico delle letture estive sotto l’ombrellone, nulla di profondo o di impegnativo.

Niente di più sbagliato, invece; della serie non si finisce mai di conoscere una persona, o un autore che dir si voglia, qui lo scrittore mostra l’altro lato del suo modo di essere e di scrivere, quello dell’intellettuale colto, erudito, preparato, che in effetti è, e altrettanto delizioso e piacevole, se non di più. Per niente pesante, anzi, saccente o cattedratico; ma nemmeno intrattenitore di divulgazione spicciola, “I demoni di Pausilypon” di Pino Imperatore non solo conferma lo stile e la classe dell’autore, ma ce ne rivela senza veli la cultura, la preparazione, la profondità ed intensità della sua scrittura, la sua sensibilità di uomo e di artista.

Questo è un testo elegante, forbito, oserei dire di più, un classico, e ai classici si richiama

Pino Imperatore è quindi forse più noto ai più per aver firmato testi che suscitano un lieve sorriso e qualche sana e schietta risata, ma al lettore attento non sarà sfuggita la cifra di un intento etico lodevole nei suoi scritti precedenti, giacchè l’autore napoletano non sminuisce o pone in ridicolo gli aspetti più nefasti della società in cui vive, per esempio il sistema camorristico e delinquenziale tipico della sua città, e non solo di quella, o l’assurdo terrorismo islamico.

Il nostro è uno scrittore serio, arguto, sagace, quei fenomeni deleteri li analizza criticamente per come in effetti sono, e poi, e solo allora, li dissacra.

Il riso sorge spontaneo all’emergere dell’assurdità di tali fenomeni delinquenziali, ma è una logica conseguenza, il venire prepotentemente a galla dall’agire pomposamente scomposto e fuori luogo in certi contesti, quegli atteggiamenti li ridimensiona, quei modi di essere li riconduce non tanto nei ruoli del macchiettismo fine a se stante, ma in quello del surreale. Quella di Imperatore è una comicità dell’assurdo, del contrasto tra ciò che si è e quello che si vuole apparire, in ambedue i casi riduce i personaggi a povera cosa, dissuadendo sottilmente dal seguirne il nefasto esempio.

Pino Imperatore, a mio modesto parere, fa ancor di più, qualcosa di esemplare e pedagogico, intenso e significativo, mette in scena una vera e propria metafora dei sentimenti umani.

I suoi romanzi realizzano l’eterno conflitto tra bene e male, tra l’egoismo e l’altruismo, l’avidità e la solidarietà, la grettezza e la condivisione.

Lo fanno in maniera paradossale, e perciò comica, strappano il sorriso, ma fanno anche riflettere, magari suscitano un riso amaro, alla Eduardo, per intenderci, ma non aspettano che passi la nottata, ne sono certi. Quello che Imperatore richiama è un sorriso gioioso, di speranza, in più l’autore aggiunge la conoscenza approfondita e la narrazione elegante riguardo Partenope e la sua storia, dichiarandosi senza remore innamorato perso della sua città.

In questo suo ultimo lavoro, ambientato nella Napoli del 22 a.C., l’autore immagina una serie di efferati delitti seriali a carico di mammasantissima dell’epoca, attuati in modo direi creativo, per esempio con l’equivalente di gettare qualcuno in una vasca in pasto agli squali, o meglio ancora di piranha, solo che in verità trattasi di  un allevamento casalingo di murene.

O travolti da una statua di una dea a cui si è particolarmente devoti, opportunamente trattata così da farla finire rovinosamente sul malvagio malcapitato e predestinato: d’altra parte, si sa, nell’età classica gli dèi sono lo specchio degli uomini, non c’è da meravigliarsi se chi preghi è lo stesso che ti rovina addosso a tradimento.

Ad indossare i panni dell’investigatore di turno, è niente di meno che uno dei più grandi poeti dell’età classica, Publio Virgilio Marone, lo stesso che padre Dante sequestrò come cicerone personale per la sua escursione negli inferi. Virgilio si trova a Napoli per terminare la sua “Eneide”, l’opera che lo proclamò campione indiscusso, vate dell’età classica alla pari di Omero. Ed è l’occasione per l’autore per descrivere fatti e misfatti di Roma e della romanità, di Catone il Censore e l’imperatore Augusto, di Bruto e Cassio, di Emilio Lepido e Sesto Pompeo, Marco Antonio e Cleopatra. E ancora, di schiavi e ancelle, di cavalieri e senatori, di lotta di classe e classi in lotta, di legionari, centurioni, coorti, in pratica tutto l’armamentario su cui fece la sua fortuna Roma, con le sue guerre di conquista, o per meglio dire con le sue carneficine legalizzate.

E i luoghi, tutti un personale tributo ai luoghi più cari della città: Pausilypon, in primo piano, lido ameno e idilliaco tra la collina e il mare; Mare Planum, che sarebbe il sobborgo di Marechiaro, quello della famosa finestrella di Salvatore di Giacomo, il lago di Averno con tanto di antro della Sybilla, Nisida, Procida, Ischia. Tutti fatti, nomi, luoghi e attributi vergati in lingua originale, in latino, con tanto di glossario in appendice, il che rende il tutto facile da comprendere ed affascinante ad un tempo.

Quello di Imperatore è un viaggio nel tempo, sembra di percorrere le vie e i viottoli degli scavi di Pompei, ci fa immergere completamente nella società romana di quei tempi ed in quei luoghi e con quegli avvenimenti realmente accaduti. Senza parere, in tono gradevole, mai leggero o didascalico, sempre compreso nell’importanza di quel patrimonio artistico e storico pervenutoci, dal valore incommensurabile. E senza smentirsi, poiché ogni tanto si rivela la sua vena goliardica: allorché ricorda un saggio dei tempi, tal Peppinus da Caprae, noto a quei tempi per la massima “Si acqua parum profunda est, anas natare non potest”, vale a dire se l’acqua è poca la papera non galleggia.

I suoi discendenti oggi si chiamerebbero Peppino di Capri e intenderebbero: “Champagne”, ma vabbè.

Insomma, Pino Imperatore ci racconta qui di un paradiso in terra, originatosi da una bella figliola di nome Partenope, che il navigante Ulisse disdegnò, ma come fanno i marinai.

Un paradiso abitato da demoni buoni e demoni cattivi: Pino Imperatore ci mostra cioè ambedue le facce dell’antica Roma, i pro e i contro, l’operosità e la bellezza, la prepotenza e l’orrore.

E i veri, sottesi protagonisti, liberi e schiavi. A modo suo, e ne fa un classico.

 

Da Bruno Izzo

 

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