Un colpo da maestro recensione del romanzo “L’antico amore” di Maurizio De Giovanni

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Amare è un verbo che si declina in vari modi, in tutti i tempi, con tutti i generi

di Bruno Izzo

Letteralmente e in ogni senso, non solo in relazione alle regole della grammatica: l’amore nasce, cresce e volge al termine con tutte le declinazioni possibili e immaginabili. Niente di nuovo sotto il sole, comunque, l’Amore è storia antica, ne hanno già delineate il suo essere e il suo divenire, e con linee di condotta precise, redatte con cura, i grandi saggi dell’antichità classica: Orazio, Ovidio, per esempio, o Gaio Valerio Catullo, l’autore del celebre “Odi et amo”.

Ti odio e ti amo: di questo scriverà Catullo, perché l’amore è tutto ed il contrario di tutto. Il poeta prima amerà la sua Claudia, per trent’anni, con gli alti e bassi di un amore totale, fisico e spirituale, poi finirà per partire disperato, e con il cuore definitivamente infranto, per la Bitinia, come dire per la Legione straniera dei tempi suoi.

Per dire, l’amore è storia antica, ieri come oggi sempre attuale, splendida, ammaliante.

“L’antico amore”, l’ultimo romanzo di Maurizio De Giovanni, è una lectio magistralis, un colpo da maestro, una deliziosa, incantevole ed elegante dissertazione sul sentimento principe dell’esistenza di tutti noi, descrive alla perfezione quella struggente sensazione di affetto intenso basato sull’attrazione, cui segue l’innamoramento, e infine l’intenso  desiderio di unione fisica ed affettiva verso un’altra persona. Un libro diverso da quelli con il quale l’autore ha raggiunto la meritata notorietà, si dirà allora, ma questo, a mio parere, non corrisponde esattamente al vero.

Maurizio de Giovanni non è uno scrittore di genere, è uno scrittore. Un signor scrittore.

Ci presenta qui una storia davvero bella, antica e sempre nuova, resa anche molto bene, un racconto che inizia in sordina, accelera gradualmente, termina rapido in modo sorprendente, spiazzante. Un romanzo intelligente, originale, interessante. Una gran bella prova d’autore. Un romanzo che talora ci confonde, perché passa da un’epoca all’altra, da un personaggio all’altro, a capitoli alterni, fin quando all’improvviso, e manco te ne accorgi, spinge sull’acceleratore del congruo verificarsi di tante ipotesi e coincidenze che trovano contezza, ti travolge in un turbine con la malia del suo raccontare. Il lettore comprende appieno allora che l’autore sta parlando del sentimento che predilige, quello di cui ha già dato prova di sé nei suoi lavori precedenti, sempre ne ha descritto con cognizione di causa. Sia che narrasse della magia lirica e poetica, intensa e toccante, instauratasi tra due dei suoi personaggi in un lungo e silenzioso interagire soltanto attraverso i vetri di due finestre contigue; oppure della commovente ed incredibile grazia e delicatezza con il quale un rude e brutale agente di polizia si prenderà cura, innamorandosi perdutamente, di una piccola neonata abbandonata tra i rifiuti, o ancora con quanta comune amorevolezza, premura e affettività una seria e stimata professionista, una analista dei servizi segreti, ormai avanti negli anni, si spenderà per la salvezza un bimbo innocente, come una qualsiasi nonnina d’altri tempi.

Maurizio de Giovanni, ieri come oggi, sa perfettamente di cosa parla, la sua sensibilità di uomo e di artista gli suggerisce quanto sia omnicomprensivo il termine  Amore, che non è solo una parola. Perché è un sentimento che, sotto diverse spoglie, si ripete uguale per tutti, la sua essenza non ne raddoppia l’importanza, la triplica.

Perciò il suo romanzo non è un unico racconto, si snoda attraverso tre storie, antiche e sempre nuove: quella del poeta dell’età antica, Catullo che abbiamo citato, poi quella di un gentile vecchio signore, ormai molto avanti con gli anni da potersi definire anche egli antico, in apparenza un po’ confuso con la testa, assistito dalla sua fedele badante, e infine quella di un maturo professore, un accademico dei classici, prigioniero di una famiglia costruita quasi per caso e certamente senza amore, e che amore ritrova nella suggestiva e tenera malia con una sua giovanissima studentessa.

Lo scrittore qui parla solo di amore, lo stesso che alberga in ogni cuore, in ogni persona, in ogni tempo. Naturalmente, non solo di quello tra uomo e donna, abbiamo visto come con la stessa maestria ha già descritto nei suoi pregressi lavori vari modi di essere dell’amore. Quello tra padre e figlia, per esempio, reso magistralmente nell’immagine del vecchio signore gentile, in apparenza un po’ confuso con la testa, che con il capo lievemente inclinato di lato e un mezzo sorriso sulla faccia contempla quello che per lui è lo spettacolo più bello del mondo, il volto della propria figlia, che quotidianamente, al termine del lavoro, passa a salutarlo prima di riaffidarlo alle cure della fedele badante straniera, ed è un’immagine di una bellezza stupefacente.

Amore che si estrinseca all’esterno in un solo modo: con gli occhi.

Gli occhi adoranti del poeta antico, Catullo, che altro non erano che gli occhi di un ragazzo innamorato della sua Claudia, che per quell’amore era stato indicibilmente felice e indicibilmente infelice. Gli stessi occhi del maturo professore universitario, divenuti rossi e febbrili consumatosi nello studio accurato e approfondito dei pochi versi residui dell’antico poeta, catturati dalla visione di una sua allieva.

Gli stessi occhi bellissimi di quella giovanissima studentessa, altrimenti insignificante, dalla voce bassa e profonda e dai capelli tagliati senza gusto, innamorata persa di un uomo più grande, sposato e con figli, il suo docente.

Perché l’Amore è un sentimento che unisce due persone. Due. Non una. Ma si fa in tre.

Si snoda attraverso un percorso di appartenenza, non si possiede il soggetto del proprio amore, gli si appartiene. E nell’appartenersi, sprigiona energia, innesca all’improvviso temporali, che fanno paura, certo, con i fulmini, i tuoni, il fragore, ma è lo stesso un fenomeno meraviglioso, l’amore questo è, il ricordo dolce di una tempesta.

Non è il sole, non è un’immagine sdolcinata di cieli azzurri e passeri in volo, l’amore non è felicità: è un motivo. L’unico essenziale per sentirsi vivo.

Il finale del romanzo è struggente, spiazzante, sconcertante, eppure estremamente logico. Direi commovente in modo spontaneo, naturale.

Dell’amore non serve dire neanche il nome.

 

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