Il Ruanda vuole riportare la Formula 1 in Africa

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Un Gran Premio nel continente manca dal 1993, quando si tenne l’ultima edizione di quello sudafricano; c’è però un tema di sportswashing

La scorsa e la prossima stagione di Formula 1 sono le più lunghe di sempre: ventiquattro gare tra Europa, Asia, Oceania e Americhe (settentrionale, centrale e meridionale); sono rappresentati tutti i continenti abitati tranne l’Africa, dove non si tiene un Gran Premio dal 1993. Prossimamente però le cose potrebbero cambiare, perché lo scorso dicembre il Ruanda si è candidato ufficialmente per ospitare un Gran Premio, a partire forse dal 2028, e si parla inoltre della possibilità di tornare a gareggiare in Sudafrica.

L’assenza dell’Africa dal calendario del Mondiale è un tema discusso da tempo, soprattutto da quando il numero di gare ha cominciato ad aumentare; il pilota inglese Lewis Hamilton per esempio ha sostenuto spesso che anche l’Africa dovrebbe essere rappresentata: «Non possiamo aggiungere gare in altri posti e continuare a ignorare l’Africa, dalla quale il resto del mondo prende e basta. Nessuno invece dà niente all’Africa», aveva detto lo scorso ottobre. Secondo molti la presenza di un Gran Premio africano potrebbe aiutare la promozione dello sport nel continente, dove comunque da un po’ la Formula 1 sta investendo nelle academy e nello sviluppo di giovani piloti.

Gli unici piloti africani che hanno gareggiato in Formula 1 erano sudafricani e bianchi (Hamilton è il primo e finora unico pilota nero), mentre per quanto riguarda le gare ci fu un Gran Premio a Casablanca, in Marocco, negli anni Cinquanta, e poi 23 Gran Premi in Sudafrica, sul circuito di Kyalami, tra il 1962 e il 1993. La Formula 1 è uno sport tradizionalmente ricco e costoso; diventare piloti di alto livello è molto difficile senza un appoggio finanziario solido e l’accesso a un circuito, e ospitare un Gran Premio è dispendioso e complesso. La soluzione più semplice a livello logistico sarebbe probabilmente il ritorno sul circuito di Kyalami, che avrebbe bisogno di interventi abbastanza grossi per essere reso idoneo, ma che esiste già e ha già ospitato il Mondiale.

In Ruanda invece per il momento non c’è un circuito, ma l’ex pilota Alexander Wurz ne ha progettato uno che dovrebbe essere costruito nei prossimi anni vicino al nuovo aeroporto di Bugesera, anch’esso in costruzione circa 40 chilometri più a sud della capitale Kigali. BBC Sports lo ha descritto come «un tracciato veloce e fluido che si snoda attraverso foreste e attorno a un pittoresco lago, con vertiginosi cambi di elevazione e curve molto strette», sul quale i piloti Max Verstappen e Charles Leclerc hanno espresso opinioni positive. Sempre su BBC Sports si legge che, secondo alcune stime, il progetto costerà al Ruanda circa 260 milioni di euro.

Il piano del Ruanda è ambizioso e rientra in una più ampia strategia di promozione del paese all’estero attraverso lo sport. Già da qualche anno alcune squadre di calcio come l’Arsenal, il Paris Saint-Germain e il Bayern Monaco hanno avuto come sponsor la campagna Visit Rwanda, e nel paese si organizzano eventi sportivi come le finali della Basketball Africa League, un torneo continentale per club, e soprattutto i Mondiali di ciclismo del 2025, i primi nella storia che si terranno in Africa, a settembre.

Il Ruanda è però anche un paese governato da un regime autoritario e repressivo, presieduto dal 2000 da Paul Kagame, e secondo molti osservatori investendo nello sport starebbe cercando di ripulirsi l’immagine, un po’ come sta facendo, su più larga scala, l’Arabia Saudita. C’è chi pur riconoscendo l’importanza di organizzare un Gran Premio in Africa è contrario all’ipotesi di farlo in un paese non democratico.

«L’Africa merita un Gran Premio di Formula 1 e il Ruanda è il posto migliore», ha detto Mohammed Ben Sulayem, presidente della FIA (la federazione internazionale dell’automobile, che organizza il Mondiale). Del resto già da anni si tengono Gran Premi in paesi autoritari come l’Arabia Saudita, il Bahrein, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, ma anche in Cina e, fino al 2021, in Russia. Ben Sulayem, un personaggio piuttosto controverso, ha detto anche che «quando la gente non ottiene ciò che vuole, dà sempre la colpa allo sportswashing. A me non interessa ciò che dicono, penso che stiamo facendo una cosa giusta».

Il presidente della FIA Mohammed Ben Sulayem con i piloti Fernando Alonso e Max Verstappen (Mark Thompson/Getty Images)

È difficile e costoso non solo organizzare un Gran Premio, ma anche mantenerlo. In passato altri paesi emergenti hanno provato o sono riusciti a ospitarne uno, ma hanno poi dovuto mollare per ragioni economiche o di standard non ritenuti adeguati dagli organizzatori, ai quali ogni anno pervengono diverse richieste di paesi che vogliono aggiudicarsi un Gran Premio. In India per esempio si corse dal 2011 al 2013, poi la gara fu cancellata principalmente per problemi fiscali; in Turchia ci fu un Gran Premio tra il 2005 e il 2011 e poi nel 2020 e nel 2021 (senza pubblico), che non venne confermato per diverse ragioni tra cui la mancanza di fondi e la scomodità logistica (era in un posto distante e mal collegato con il centro di Istanbul).

Ancor più paradossale fu il caso del Vietnam, dove furono investiti circa 600 milioni di euro e fu costruito un nuovo circuito per accogliere la Formula 1 ma alla fine non si tenne nemmeno una gara, prima a causa della pandemia e poi per uno scandalo legato alla corruzione nel quale furono arrestati diversi esponenti delle autorità di Hanoi, la capitale del Vietnam. Il rischio per il Ruanda potrebbe essere lo stesso, ma Kagame sembra decisamente convinto che il paese entro quattro, cinque anni riporterà la Formula 1 in Africa a oltre trent’anni di distanza dall’ultima volta.

Redazione il Post

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